Robertino Occhiuto (e famiglia) story/4. La prima faida con i Gentile e il posto all’ex moglie a “Sviluppo Parenti”

Abbiamo lasciato Robertino Occhiuto nel 2000, direttore generale delle televisioni private cosentine “unite” sotto la sua zampa ed eletto consigliere regionale di Forza Italia con 9.000 preferenze (https://www.iacchite.blog/robertino-occhiuto-e-famiglia-story-3-lassalto-alle-tv-private-dei-poteri-forti-da-rete-alfa-a-ten/).

Gli Occhiuto avevano tergiversato un po’ prima di fare il grande passo verso zio Silvio e dopo aver sfogliato la margherita per il “corteggiamento” del Ccd di Pierferdinando Casini, con il quale i rapporti sono ottimi. Ma di Cavaliere ce n’è uno solo e così Mario e Roberto Occhiuto sono i primi a tesserarsi con Forza Italia, fondando il primo club a Cosenza. Per essere più precisi, a firmare l’operazione è Giovambattista Caligiuri detto Gegé, riferimento diretto di Berlusconi in Calabria grazie a Publitalia e incoronato direttamente da Silvio come coordinatore del partito. Gegé sceglie un bellissimo appartamento in pieno centro, con tanto di soffitti affrescati, e accoglie alla grande gli Occhiuto e le loro televisioni “unite”.

Ed è a questo punto che inizia ufficialmente la faida con i fratelli Gentile, non ancora Cinghiali, a caccia di sistemazione dopo il “big bang” del Psi, il dissolvimento del Psdi di Cariglia che niente lascia e tutto piglia e il “passaggio” sul tram nientepopodimenoche del Partito Repubblicano.

I Gentile chiedevano di entrare nel partito ma gli Occhiuto avevano decisamente rigettato l’alleanza temendo il loro potere e avevano mobilitato i combattivi giovani forzisti, organizzando persino una tragicomica occupazione del club per scongiurare il peggio. Che ricordava molto quella del giovane Robertino nella stanza di Mancini. Grande fu la mobilitazione delle televisioni “unite” ma i Gentile alla fine entrarono in Forza Italia grazie a una provvidenziale richiesta di espulsione mobilitando gli scagnozzi di zio Silvio e ad uscire fu proprio Roberto Occhiuto che sempre nel 2002, aderisce al Ccd di Pierferdinando Casini ritornando al vecchio amore cattolico. Il considerevole pacchetto di consensi dei Gentile aveva avuto la meglio: ubi maior minor cessat. Tra i Gentile e gli Occhiuto non c’è partita e l’avventura forzista termina dopo appena un paio d’anni.

Robertino aderisce dunque al Centro Cristiano Democratico di Casini e Cesa, che successivamente, nello stesso anno, confluisce nell’Unione dei Democratici Cristiani (Udc). Viene poi rieletto alle Regionali del 2005 (quelle vinte dal centrosinistra con Agazio Loiero) con circa 16.200 preferenze per l’Udc e ne diventa vicepresidente. 

Nel frattempo. il più giovane degli Occhiuto si sposa e sceglie Giada Fedele, rappresentante di una famiglia della borghesia cosentina abbastanza in vista e sufficientemente “degna” di stare al fianco del Nostro, il quale, nel 2007, pensa di “sistemarla” in perfetto stile Prima Repubblica e pazienza se siamo già nella… Seconda. E così Robertino entra a pieno titolo nel grande scandalo dei parenti assunti a Sviluppo Italia dal “grande fratello” Francesco Samengo detto Ciccio. E in questo scandalo, pensate un po’, ci sono persino i parenti dei fratelli Gentile. A dire il vero ci sono proprio tutti: non solo politici ma persino magistrati, finanzieri. Un trionfo. E lo scandalo uscì fuori proprio da un’inchiesta del vostro umile cronista, che ripercorrendo la storia di Robertino, oggi separato dalla prima moglie e in attesa di un figlio da una deputata forzista sua nuova compagna, è impossibile non citare.

Tra l’altro, come leggerete più avanti, si racconta addirittura che qualche sede veniva chiusa per fungere da segreteria ai grossi calibri dell’Udc. E poiché dell’Udc, in questo elenco di grandi parassiti e papponi, c’è praticamente solo Roberto Occhiuto, non è affatto difficile ipotizzare che questa “segreteria” dentro la sede di Sviluppo Italia fosse proprio di Robertino. Così, tanto per gradire. 

LO SCANDALO SVILUPPO PARENTI

di Gabriele Carchidi

25 luglio 2007- Fonte: La Provincia Cosentina

Un elenco di trentaquattro nomi. Tutti parenti di politici riconducibili al centrodestra e al centrosinistra (qualcuno ha anche militato in entrambi i campi), di magistrati, dirigenti regionali e persino di un capitano della Guardia di Finanza e di un maresciallo.

Il sistema delle assunzioni clientelari a Sviluppo Italia Calabria supera di gran lunga ogni possibile previsione. Un’azienda costruita su misura per tanti figli e nipoti eccellenti. Con netta prevalenza di “figli di papà”, i cui padri sono stati pronti a barattare nomine, promesse di finanziamenti e chissà quanto altro sull’altare del ” posto sicuro”.

Uno scandalo che supera abbondantemente ogni “parentopoli” nella nostra regione. Il sistema va avanti ormai dal 1999, cioè dai tempi del Bic Calabria. E dire che il “numero uno” Francesco Samengo, almeno all’inizio, aveva i suoi bravi problemi a uscire indenne dalle interrogazioni parlamentari del Polo (l’attuale centrodestra, ndr) che l’accusavano di assunzioni clientelari “favorendo oltre ogni limite parenti e affini”.

Leggendo la lista, è chiaro che molti esponenti del centrodestra saranno stati “addomesticati” grazie a qualche provvidenziale posticino. Ma, a parte questo occasionale incidente, nessuna forza politica si è mai sognata, col passare degli anni, di criticare l’opera dell’incubatore di imprese.

Considerato, che anche la sinistra, finanche quella più “irriducibile” non ha rinunciato a “piazzare” figli, fratelli e nipoti. Il sistema di assunzioni, del resto, funzionava a meraviglia. Anzitutto, nessun concorso che potesse nascondere qualche “combine”, ma una sana chiamata diretta. E poi tanti progetti: i vari Comuni mettevano mani di Sviluppo Italia e, sempre più spesso, conquistavano qualche assunzione. Allo stesso modo degli assessorati regionali.

Tutte le Giunte e i consiglieri regionali che si sono succeduti, hanno sempre “infilato” i loro protetti. Una “rete clientelare” che si è spalmata con grande soddisfazione di tutto l’arco politico nelle cinque sedi calabresi di Sviluppo Italia. Figurarsi cosa accadeva poi nei periodi caldi delle campagne elettorali.

Si racconta addirittura che qualche sede veniva chiusa per fungere da segreteria ai grossi calibri dell’Udc. Voto di scambio? Una regola non scritta ma ampiamente praticata.

Ma cosa fanno i tanti figli di papà inseriti nella struttura di Sviluppo Italia? Qualche tempo fa le telecamere di “Report” sono entrate nei santuari dell’Agenzia per lo sviluppo dell’impresa e l’attrazione degli investimenti. I cronisti hanno provato a chiedere ai dipendenti quali attitudini avessero, in quali attività fossero impegnati nelle ore di lavoro, e per tutta risposta, ricevevano monosillabi o negazioni.

Uno spaccato, già parecchio eloquente della realtà di quegli uffici. Nei quali conta soltanto la raccomandazione e non certo la professionalità. La raccomandazione stabilisce, naturalmente, anche il ruolo.

Se sei figlio o sorella di un sottosegretario avrai un livello più alto, se sei figlio di un consigliere regionale ti accontenterai di qualcosa di meno. Ma sempre con un bel contratto a tempo indeterminato e con la possibilità di timbrare il cartellino alle 9 e andare dove vuoi per tutto il giorno. La mission, gli investimenti, le strategie si discutono in altri luoghi, laddove si decide il flusso dei finanziamenti verso le imprese “amiche” . Negli uffici no. Lì regnava e regna la più grande armonia. Uno per tutti, tutti per uno.

Accomunati dalla voglia di passare il tempo nella maniera più gradevole possibile in attesa di prendersi il sudatissimo stipendio. Storie di Calabria. Una Calabria nella quale i sindacati hanno sopportato questo vergognoso andazzo senza alzare mai un dito. Solo silenzio accomodante. O il solito richiamo alla prassi della raccomandazione. Eppure questo elenco che pubblichiamo oggi lo conoscono fin troppo bene. Avrebbero dovuto indignarsi, gridare alle “assunzioni selvagge”. Niente di tutto questo. Non una parola su quelli che non hanno neanche un titolo di studio adeguato per occupare quel posto. Non una parola sul ruolo che hanno assunto. Solo silenzio.

I sindacati non hanno fatto sentire la loro voce neanche per tutelare i poveri precari che rappresentavano l’anello debole dei dipendenti di Sviluppo Italia. Anzi, hanno contribuito anche loro a farli tutti fuori per creare spazio ai figli di papà. Dovunque si parla di stabilizzare i precari. A Sviluppo Italia no. Non ce n’è bisogno. Tanto anche loro sanno che funziona così. Nella grande lista leggete nomi e cognomi illustri. Politici di destra e di sinistra. Tutti d’accordo nello sfruttare i posti di lavoro così gentilmente concessi a tutta la classe politica.

Figli, mogli, fratelli, sorelle, nipoti, cognati, cugini…
Fin qui l’articolo del vostro umile cronista. 
Lo scandalo dilaga e diventa nazionale grazie a Gian Antonio Stella, che pubblica un memorabile pezzo qualche giorno dopo, il 4 agosto 2007, con tutto l’elenco dei parassiti e dei loro padrini. Anche il titolo è memorabile: “Sviluppo Parenti”. 
Ed ecco Nerina Pujia, figlia del potente ex parlamentare della Dc Carmelo.
Carlo Caligiuri, figlio dell’ex consigliere regionale diessino Enzo.
Cecilia Rhodio, figlia dell’ex presidente regionale democristiano Guido.
Paola Santelli, sorella dell’ex sottosegretario alla Giustizia e oggi deputata azzurra JoleMarco Aloise, candidato sindaco per An a Paola nel 2003.
Luigi Camo, figlio dell’ex senatore ulivista Geppino.
Giovanna Campanaro, nipote dell’ex deputata democristiana Anna Maria e dell’ex assessore regionale Giampaolo Chiappetta.
E poi ancora Andrea Costabilenipote dell’ex assessore regionale ed ex senatore Udc Gino Trematerra.
Ed Emilio De Bartolo, assessore comunale diessino di Rende, figlio dell’ex assessore ed ex preside della Facoltà di Economia all’Unical Giuseppe.
Giada Fedele, moglie del casiniano vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Occhiuto.
Sandro Mazzuca, assunto con la moglie Fausta D’Ambrosio per la felicità dello zio acquisito Pino Gentile, consigliere regionale azzurro.
Antonio Mingrone, nipote dell’ex deputato forzista G. Battista Caligiuri.
Giovanna Perfetti, figlia dell’ex consigliere regionale buttiglioniano Pasqualino. E via così.
Se «Sviluppo Italia» è «Sviluppo Parenti»
In Calabria l’agenzia conta 34 assunti tra figli, fratelli e consanguinei. Di destra e di sinistra – di Gian Antonio Stella – Corriere della Sera – 4 agosto 2007 –
«Sviluppo Parenti»: tanto varrebbe chiamarla così, la società Sviluppo Italia. Almeno in Calabria. Tra i dipendenti di quella che doveva essere una specie di nuova Iri «ma più moderna, agile ed efficiente» per rilanciare il Sud attirando investimenti esteri, figurano infatti decine di figli, cognati, sorelle, cugini e parenti vari di politici, sindacalisti, giudici. Assunti senza concorso, per chiamata diretta. E decisi a sostenere bellicosamente d’essere stati assunti per brillanti meriti professionali.
Che la società, al di là della pomposità manageriale della «mission» dichiarata («L’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa è impegnata nella ripresa di competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno») sia diventata un carrozzone non è una novità.
Lo sostiene il Sole 24 Ore che ne ha chiesto la chiusura perché «sbaraccare sarebbe un segnale di svolta più forte di qualunque riforma annunciata». E lo ha ammesso perfino l’amministratore delegato Domenico Arcuri: «Ho ereditato una farsa, una società con una struttura così elefantiaca che al cospetto la General Motors si intimorisce»… 

Se la Sicilia ha due sedi a Palermo e Catania, la Puglia una più due «incubatori» e la Campania ancora una più due «incubatori», l’assai meno popolata Calabria ne ha cinque. Quattro sedi a Cosenza, Crotone, Reggio e Vibo Valentia più un «incubatore» a Catanzaro… 

FRANCESCO SAMENGO
Come mai? Tutto «merito», dicono affettuosi gli amici e critici gli avversari, di quello che è stato il patriarca calabrese della società: Francesco Samengo. La cui biografia merita qualche riga perché rappresenta plasticamente le contraddizioni della macchina pubblica. Venti anni fa venne infatti passato allo spiedo dagli ispettori mandati dall’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi a capire come diavolo avesse fatto la «Carical» (Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania), a lungo feudo della Democrazia cristiana e pilastro d’una politica spendacciona e clientelare, a inabissarsi in una voragine di mille miliardi di debiti. Saltò fuori di tutto.
Mutui accordati per pagare assegni protestati. Altri accordati accendendo due o tre ipoteche sulla medesima casa. Conti in rosso da incubo tollerati in base a «una buona impressione soggettiva ». Fidi da tre miliardi di lire dati per «finanziamento campagna pesche e pomodori » a un tipo che assicurava (e nessuno controllò se fosse vero) che avrebbe avuto un contributo europeo. Prestiti astronomici concessi «in attesa incasso contributo della Regione Calabria» nonostante fosse stata accertata «l’inesistenza della contabilità interna» del cliente.
Una gestione scellerata. Che sfociò in un tormentone processuale evaporato tra rinvii e assoluzioni, rinvii e prescrizioni. E in una causa civile, con richiesta di danni per 80 milioni di euro, contro vari amministratori tra i quali appunto Samengo. Allora ras della banca a Cassano Jonico. Dove una casalinga (Angelina Lione) era arrivata ad avere un mutuo dando in garanzia «costruzioni abusive» e a ottenere finanziamenti vari, secondo Bankitalia, «denunciando un patrimonio netto di 4,3 miliardi esistente solo nella sua mente». Altri, in Paesi seri, sarebbero stati spazzati via. Samengo no.
E dopo qualche anno di apnea, grazie all’appoggio dell’Udc («io non ne so niente di niente», giurò Giulio Tremonti) si ritrovò nel 2002 promosso ai vertici nazionali di Sviluppo Italia da quello stesso Stato che da lui avanzava i soldi della Carical. Bene.

 

Sono passati giusto 15 anni da quell’inchiesta, che, così come diverse altre, hanno conosciuto la ribalta delle cronache nazionali ma in Calabria non è cambiato mai niente. Questo vergognoso elenco di parenti “bipartisan” dei papponi della politica è praticamente uguale a quelli che in ogni concorso e in ogni assunzione pubblica vengono utilizzati dagli amici degli amici.

Non solo: questi stessi parenti, per quanto siano stati sputtanati sul Corriere della Sera e per quanto Sviluppo Italia, sulla scia dello scandalo, sia stata liquidata, sono stati “riassunti” in altri carrozzoni. Hanno la faccia come il culo. Non li ferma nessuno e anche se qualcuno di loro cade nella trappola (tipo i Caridi, i Sarra, gli Scopelliti) loro sono pronti a riciclarsi con altre piroette.

L’articolo di Stella e la mia inchiesta, tuttavia, servono ancora oggi per ricordare a gentaglia come Roberto Occhiuto soprattutto che il loro modo di fare politica è sempre uguale. Il fratello del cazzaro, che fa tanto il “pulitino”, ha messo addirittura la moglie (da qualche tempo ex, considerato che sono separati e lui ha avuto anche un figlio dalla sua nuova compagna, una deputata forzista siciliana di nome Matilde Siracusano) dentro questo elenco di papponi raccomandati. E naturalmente non manca il centrosinistra con vecchi arnesi del “calibro” di Caligiuri, Camo, De Bartolo, Pujia, Rhodio… Che vergogna! Gli Occhiuto dicevano di essere diversi dai Gentile ma sono andati avanti con le stesse, identiche pratiche clientelari.

Ritroveremo Giada Fedele anche “dentro” il primo tentativo imprenditoriale di Roberto Occhiuto con la società Aplus ma l’abbiamo trovata anche recentemente anche in altre “imprese” di Robertino.

Quando era ancora solo candidato alla presidenza della Regione, il Nostro andava dicendo a chi gli chiedeva cosa facesse nella vita che era un “vignaiolo” ovvero produttore di vino e si faceva finanche fotografare mentre “tastava” (o “trappava” se preferite) l’uva con una convinzione degna di miglior causa.

Il piccolo Occhiuto possedeva quote in 4 diverse società col socio d’affari Paolo Posteraro, che aveva sborsato per l’acquisto della vigna una cifra vicina ai due milioni e mezzo. Arrivò il Covid, il vino non lo vendevano manco ai parenti e fu subito crisi… Ottennero un prestito di circa 400.000 euro portando in banca a garanzia un decreto di Invitalia (ex Sviluppo Italia, dove Robertino – eccola che ritorna – aveva trovato un posto alla ormai ex moglie Giada Fedele…) di fondi Emergenza Covid: un trucco vecchio come il cuccoche infatti non passò inosservato a Bankitalia. In più, tanto per far quadrare il cerchio, Paolo Posteraro era stato a sua volta nominato dal fratello sindaco (grazie a Dio non più) Mario amministratore unico dell’Amaco: un do ut des grande quanto una montagna. Insomma un mangia mangia generale.

Non solo la “promozione” in Ferrovie della Calabria del manager (insieme a quella di Ferraro che pure lavorava in Amaco) dopo il crac dell’Amaco. C’è anche dell’altro: Posteraro è sì, capo segretario della sottosegretaria Matilde Siracusano, ma è anche il liquidatore della Gusti del sole srl, società del figlio di Mario Occhiuto, Giovanni. E della Best Italian Good, in cui ha quote – eccola che torna ancora… – Giada Emanuela Fedele, sempre lei, l’ex moglie del governatore della Calabria.

A questo punto Paolo Posteraro entra naturalmente nella società di vini acquistando anche il casale della Tenuta del Castello. Un intreccio tra politica e affari che ora è al vaglio degli investigatori. Dove porterà? Ma per oggi ci fermiamo qui, perché la storia parassita, clientelare e anche criminale dei fratelli Occhiuto è ancora decisamente lunga.