Robertino pigliatutto e l’ira di Zeus

Chi si illudeva che la spada di Damocle dell’inchiesta sulla testa lo avrebbe indotto a più miti consigli, o sperava in un qualche gesto di accomodamento, e che una volta rieletto avrebbe mantenuto gli accordi presi, oggi — quel qualcuno — deve di nuovo fare i conti con l’arroganza e la spavalderia di Robertino. Qualità morali da sempre appartenute al personaggio, e quindi prevedibili. E chi lo conosce lo sa bene: il suo egocentrismo, esasperato dalla superbia della sopravvivenza, lo costringe a essere così. Non può farne a meno per carattere e condizione. Ma, nonostante la prevedibilità degli isterismi di Robertino, il fuoco amico continua a prenderle di santa ragione da lui.

A nulla è valsa, almeno finora, la raffica di colpi sparata su di lui: nessun mite consiglio, nessun tentativo di accomodamento è sopraggiunto dopo la sparatoria. Anzi, se prima delle sue dimissioni — scaturite dall’inchiesta istigata da Fratelli d’Italia — il problema per il fuoco amico era l’accentramento degli intrallazzi nelle sue mani, ora, a rielezione avvenuta, lo è ancora di più: Robertino pigliatutto… e vediamo che succede.

Lo diciamo da sempre: non basta aizzargli addosso quattro cani da guardia che ringhiano a comando per intimidirlo. Gli Occhiuto sono ossi duri, abituati alle battaglie per la vita. Sanno giocare di sponda e sempre su tre o quattro tavoli, costantemente pronti — all’occorrenza — a tradire, pugnalare alle spalle, e a scaricare su sodali e complici le proprie malefatte se l’obiettivo è in pericolo o se gli intralci agli intrallazzi diventano troppi. Un modus operandi rodato, costruito in anni di pratiche spregiudicate e perfezionato fino a diventare una seconda natura: tradire per sopravvivere, colpire per restare a galla. E in tutto questo non c’è nulla di sorprendente: Roberto ha sempre agito così, fedele solo a se stesso e ai suoi interessi. Nessuno può dirsi stupito da questo suo atteggiamento.

Infatti, una volta vinta la battaglia elettorale, non ha esitato a tirare fuori tutta la sua tracotanza, imponendo agli sconfitti interni le sue umilianti condizioni: scatole vuote come assessorati e nessun controllo sugli intrallazzi. Ha tenuto per sé “il portafoglio” delle deleghe pesanti, lasciando Lega e Fratelli d’Italia a bocca asciutta. Mantiene saldamente nelle sue mani Cultura, Rapporti con l’Unione Europea, Marketing territoriale, Promozione della Calabria e dei suoi asset strategici, Attrazione degli investimenti e Incoming, Infrastrutture di trasporto, Edilizia sanitaria, Iniziativa legislativa, Protezione civile, Salute e servizi sanitari, e ogni altra materia non espressamente attribuita a un assessore. Altro che appattamento.

Ha colpito duro, Robertino: il malloppo è suo, e non si tocca. E Wanda Ferro, Fausto Orsomarso, Salvini, Galati e compagnia bella… muti. Gli Occhiuto sanno dove colpire, e quello di Robertino nei confronti del fuoco amico è un colpo mirato proprio laddove fa più male: ara sacchetta. Vuole ridurli in miseria: i loro forzieri devono restare vuoti. E con i forzieri vuoti, elargire prebende ai propri clienti e onorare le tante cambiali elettorali diventa un serio problema, che può far perdere a FdI e Lega il “controllo politico” del territorio. Un pericolo che si materializza già con l’importante appuntamento elettorale per il sindaco di Reggio Calabria, città ambita dalla Lega e decisiva per la partita del Ponte sullo Stretto. Ed è proprio alla Lega che Occhiuto aveva fatto credere — in un patto elettorale di non belligeranza, siglato per arginare Fratelli d’Italia alle regionali — che a Reggio sarebbe toccato a loro il candidato sindaco. Salvo poi, dietro le quinte, chiudere un accordo di convenienza con Cannizzaro, candidato di Forza Italia alla carica di sindaco. Dopo Fratelli d’Italia, Occhiuto è riuscito a fregare anche la Lega, confermando il suo marchio di fabbrica: nessun patto è per sempre, solo il tempo necessario a reggere il loro gioco. La Calabria è la sua ultima trincea. E Robertino non ha intenzione di mollare.

A questo punto la domanda è: da dove gli viene tutta questa spavalderia a Occhiuto? Certo, l’istinto di sopravvivenza aiuta, ma c’è qualcosa di più. Perché da uno che è accerchiato, che ha tutti contro, che non ha più coperture giudiziarie, bersagliato dai suoi stessi alleati, ci si aspetterebbe un po’ più di diplomazia, di prudenza, magari un tentativo di uscita onorevole. E invece no: Robertino innesta la baionetta e va all’assalto. Potrebbe aver capito che solo facendo della Calabria la sua roccaforte — e la conquista di Reggio Calabria si inserisce perfettamente in questo disegno — può far valere il proprio peso politico, prima dentro Forza Italia e poi al tavolo del governo. Un modo per convincere Giorgia a intervenire sui suoi guai giudiziari. Più rafforza il suo potere all’interno del partito, e da qui l’alleanza con Cannizzaro, più può far pressione sulla Meloni presentandosi come una pedina indispensabile dell’equilibrio di governo.

Ci sta, ma potrebbe non essere sufficiente a risolvere i suoi guai. Perché Giorgia e il fuoco amico potrebbero non avere più alcun controllo sull’attività della Procura di Catanzaro, ormai avviata per la propria strada. Una volta accesa la miccia, non possono più spegnerla. E anche se volessero, non potrebbero: la Procura sa che di quella proroga d’indagine notificata a Occhiuto, con accuse gravi e circostanziate — sfociate addirittura in un secondo filone, ancora più pesante, legato alla sanità — dovrà prima o poi dare conto all’opinione pubblica calabrese. E in tempi in cui si parla tanto di “autonomia della magistratura”, sul caso Occhiuto Curcio si gioca la faccia. Anzi, a ben vedere, l’intera magistratura si gioca la faccia. E forse è proprio questo il motivo per cui il fuoco amico continua a restare fermo, incassando schiaffi: sanno che presto sarà la Procura a chiedere conto a Occhiuto di tante cose. E allora se così è, o se così fosse, perché non cercare una strada accomodante, magari con il fuoco amico, visto che con la procura non c’è trippa per gatti, almeno da assicurarsi un minimo di copertura politica a casino scoppiato?

Sarà forse la sua enorme sete di vendetta ad alimentare la sua arroganza? Potrebbe. Ma resta, comunque, una “mossa” fine a se stessa, se l’epilogo della sua vicenda giudiziaria è già scritto. Perché, a scandalo scoppiato, sarà costretto a lasciare, e le umiliazioni imposte al fuoco amico svaniranno come polvere al vento. La sua sarebbe una vendetta incompiuta. E non può essere neanche una mossa alla “muoia Sansone con tutti i Filistei” a muovere la sua spavalderia. Se così fosse stato, a quest’ora in parecchie redazioni sarebbero già arrivati spifferi sugli intrallazzi del fuoco amico; o, peggio ancora, si sarebbe premurato di far circolare avvertimenti sotto banco, accennando a una chiamata in correità nei suoi intrallazzi del fuoco amico. Chiamata in correità che però implica un’ammissione di responsabilità, e questo — si sa — non rientra nel patrimonio genetico degli Occhiuto. E allora cosa lo rende così arrogante e spavaldo?

Forse una spiegazione c’è: Occhiuto non rientra più nelle grazie di Zeus.
E quando un re perde il favore degli dèi, la punizione non è il fulmine, ma la condanna alla follia — una lenta discesa che lo lascia marcire nella sua stessa arroganza. Lo lascia convinto di regnare, mentre tutti intorno preparano il funerale (politico). È il modo in cui Zeus regola i conti con i superbi: facendoli credere invincibili, proprio mentre li accompagna — passo dopo passo — verso la fine. Potrebbe essere…