Non avrei voluto arrivare alla pubblicazione di questi documenti ma l’insistenza con la quale bene individuati “sciacalli” continuano ad agitare la clava della mia radiazione dall’Ordine dei Giornalisti mi costringe a farlo. Di seguito, pubblico l’atto con il quale l’Ordine Nazionale dei Giornalisti di Roma e in particolare il Consiglio Nazionale di Disciplina ha annullato il provvedimento di radiazione invocato dall’Ordine della Lombardia (al quale sono iscritto dal 1998) dopo un procedimento disciplinare avviato su sollecitazione del deputato di Forza Italia Giuseppe Mangialavori.Â
Il 2 maggio 2024 Gabriele Carchidi, rappresentato dall’avvocato Fabio Anselmo, presenta ricorso avverso la delibera del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia specificando altresì la richiesta di essere ascoltato.
Nella memoria il legale del giornalista eccepisce vizi procedurali relativi alla formulazione del capo di imputazione e alla contestazione dell’addebito e tali da chiedere l’annullamento del provvedimento per infondatezza in fatto e in diritto del capo di incolpazione. La difesa di Carchidi solo in subordine e in ragione della diversa gravità dei fatti contestati, come illustrato nel merito del ricorso, chiede la rideterminazione della sanzione irrogata…
Il Consiglio di disciplina territoriale della Lombardia nella delibera di avvio del procedimento nei confronti di Carchidi ha inteso integralmente richiamare nel capo di incolpazione come parte costitutiva dell’atto, il file allegato all’esposto – denominato file pdf avv. Calabria – contenente una serie di articoli con brani evidenziati dal segnalante, da cui – scrive il Collegio nel capo di incolpazione – emerge una campagna denigratoria articolata su molteplici articoli nell’arco di anni, senza però indicare le date dell’arco di riferimento temporale nella quale si sarebbe consumata.
Peraltro, la trasmissione di tale documentazione, nella forma poi pervenuta all’organo disciplinare, era avvenuta proprio su richiesta dello stesso Collegio territoriale della Lombardia nella fase di acquisizione di sommarie informazioni. Allorquando, con lettera del 24 giugno 2023 il Collegio territoriale, invitando l’esponente a fornire delucidazioni circa l’eventuale presentazione di formale querela nei confronti di Carchidi, specificava tra l’altro:
Le evidenziamo che il Consiglio di Disciplina, che sta faticosamente azzerando l’arretrato cumulato sotto precedenti consiliature, ha poteri istruttori limitati e soprattutto in tema di “verità sostanziale dei fatti” non può individuare ex se (o è estremamente difficile possa farlo) quei fatti che, in termini oggettivi, possano risultare in violazione di obblighi deontologici.
Evidenze che meritano da parte di Questo Consiglio doverose precisazioni, in quanto la loro assunzione da parte dell’organo disciplinare ha determinato, insieme a ulteriori elementi, tra loro connessi, i presupposti per l’annullamento con rinvio della decisione. Non può essere affermato, infatti, che l’organismo abbia poteri istruttori limitati nell’accertamento delle violazioni deontologiche. Si può ritenere che li abbia solo se erroneamente vengono ad esso attribuiti compiti diversi da quelli declinati dalle norme ordinamentali… All’organismo disciplinare non spetta stabilire cosa è vero e cosa non lo è, non essendo certamente un ente certificante di ciò che può o non può essere detto o scritto. L’organo disciplinare non ha e non può avere compiti dell’autorità giudiziaria. Tant’è che il giudizio disciplinare è autonomo rispetto a quello penale, stante proprio la diversità dei presupposti e delle finalità dell’uno e dell’altro, con la sola limitazione dell’indispensabilità logica del fatto accertato. Il procedimento penale, infatti, non costituisce l’antecedente logico-giuridico di quello disciplinare, fondandosi quest’ultimo sulla violazione di norme deontologiche e non di norme penali (C.D.N. n.34/2018).
L’organo disciplinare non agisce per stabilire la verità altrimenti rischia, come avvenuto nel caso in esame, di acclarare un principio insidioso e cioè che si possa usare o non usare determinate espressioni, come l’appartenenza a un’associazione criminale solo se la persona indicata come tale dal giornalista sia risultato essere sottoposto a indagini o interessato da provvedimenti da parte della magistratura, come peraltro ribadito più volte nella delibera. Ciò confligge con il diritto insopprimibile del giornalista alla libertà di critica e di cronaca che non può dunque ammettere limitazioni. In questo caso si affermerebbe che il giornalista può dare conto solo di ciò che è stato accertato dalla magistratura.Â
Il giornalista, tuttavia, nell’esercitare il diritto insopprimibile alla libertà di critica e di cronaca, ha certamente dei liniti che deontologicamente fanno riferimento alle modalità attraverso le quali restituisce al pubblico più vasto la rappresentazione dei fatti in relazione alla sua verità putativa: ciò interroga la continenza espressiva. Il superamento del limite deve essere valutato in relazione agli obblighi che ogni iscritto all’Albo è tenuto a osservare tra i quali il rispetto della dignità della persona e non ultimo certamente il rispetto della sostanziale verità dei fatti. Carchidi nel corso del procedimento ha illustrato a sua discolpa fatti e circostanze dalle quali ha lasciato scaturire le sue affermazioni.Â
Le modalità espressive attraverso le quali l’incolpato ha rappresentato al pubblico più vasto quanto da lui acquisito dalle sue fonti, compresi gli stralci da atti giudiziari, hanno rispettato i canoni etici alla base della professione giornalistica? Peraltro è stato lo stesso Carchidi ne corso dell’audizione davanti al Consiglio territoriale della Lombardia, ad ammettere di avere superato i limiti della continenza. Carchidi: “Io ci vado pesante, però Lei si deve mettere pure nei miei panni, perché 436 procedimenti sono una cappa continua”. Relatore: “Il problema è che uno rischia, magari avendo ragione dalla propria prospettiva…”. Carchidi: “Sotto questo aspetto ha ragione, cercherò di contenermi…”. Peraltro c’è da aggiungere che più volte la Corte di Cassazione ha richiamato il limite della continenza…
Non può ritenersi corretta, dunque, la scelta del Collegio territoriale della Lombardia di considerare come elemento costitutivo del capo di incolpazione il file redatto dall’esponente senza che gli articoli in esso contenuti siano stati autonomamente valutati per lasciar emergere gli elementi configuranti la violazione deontologica. In questo caso il Collegio territoriale con la sola elencazione di brani evidenziati dall’esponente, non solo ha rinunciato alla loro contestualizzazione, ma non ha potuto provare l’esistenza di quella campagna denigratoria, lamentata dall’esponente, sulla quale si basa l’impianto della delibera. Il Collegio non l’ha potuta dimostrare anche perché dalla mole degli articoli richiamati come parte integrante del capo di incolpazione e contenuti nel file trasmesso dall’esponente, sono state prese in esame 12 citazioni segnalate dall’esponente riferibili a 10 articoli pubblicati nell’arco temporale di poco più di tre anni, aventi sì per oggetto al figura dell’esponente, peraltro una personalità politica di spicco nella realtà regionale con incarichi parlamentari – ma tra loro non conferenti rispetto alla principale contestazione. Peraltro, i brani “incriminati”, richiamati nel capo di incolpazione, differiscono da quelli citati nella delibera impugnata sebbene il file che li conteneva tutti sia stato acquisito dal Collegio di prime cure nella fase di acquisizione di sommarie informazioni.
Come emerge da una consolidata giurisprudenza domestica quando nell’atto di incolpazione non sono contestati i fatti come poi ritenuti e posti a base della delibera impugnata, il provvedimento sanzionatorio è nullo perché deve sempre essere garantito il diritto di difesa dell’incolpato (C.D.N. n. 48/2016), L’esposto infatti ha solo il carattere di mera denuncia di un fatto che deve essere valutato dal titolare del potere disciplinare per l’eventuale procedimento d’ufficio e la formazione di un autonomo convincimento di archiviazione o di acclarata violazione delle norme deontologiche (C,D.N. n. 5/2017).
Nel caso in esame è venuta meno la necessaria valutazione dell’esposto con la conseguente mancata indicazione da parte del Collegio territoriale della Lombardia dei fatti da contestare – nella fattispecie si è semplicemente proceduto senza contestualizzazione e senza contestazione puntuale dei fatti dai quali far scaturire gli addebiti. Tutto ciò anche in sede di audizione dell’incolpato. Il Collegio, infatti, ha rinunciato a chiedere conto all’incolpato della precisa sequenza dei brani tratti da quegli articoli che avrebbero dovuto dimostrare la presunta campagna denigratoria messa in atto dal giornalista che pure nel ricostruire la vicenda aveva collegato quanto contestatogli nel capo di incolpazione con i fatti locali e nazionali avvenuti nel tempo e dei quali anche testate diverse dalla sua come Repubblica e Il Fatto Quotidiano avevano riferito.
DI SEGUITO, IL PDF CON LA DECISIONE E LE MOTIVAZIONI IN VERSIONE INTEGRALE
DECISIONE ORDINE NAZIONALE GIORNALISTI ROMA SU GABRIELE CARCHIDI
del.-CDN-n.-4_2025-1_compressed