Russia. Il gioco delle ombre

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – In un certo senso Putin e Prigozhin se la sono voluta. Il loro affannarsi a esistere minuto per minuto, in diretta perenne, ad apparire sul selvatico etere televisivo o sui canali più ribaldi e menzogneri dell’istantaneo, dal vivo e dal remoto, adescanti con flusso continuo anime instabili, non poteva, con l’aria che tira, non appena si prendono un attimo di visivo respiro, che generare il dubbio della loro inesistenza. Soprattutto fisica. È il prezzo che si paga a non imitare l’antico segreto degli autocrati asiatici: il silenzio pesante, l’ombra fitta, il mistero che mette tremarella. Post scriptum. Il golpe che non ha svelato nulla dei misteri del Cremlino ha messo a nudo invece meccanismi del nostro comportamento di occidentali, arci nemici di questi due sinistri personaggi. Noi i buoni, e soprattutto i cattivi, li vogliamo tener d’occhio. Continuamente.

Non erano passate ventiquattro ore dall’insurrezione che poteva cambiare la Storia del mondo e forse non ha cambiato niente ed ecco che già si lanciavano interrogativi ulcerati dal digiuno visivo: dove è finito Prigozhin? Che fine ha fatto Putin? Con il solito codazzo di ipotesi succulente: precipitati nel mondo migliore, in fuga, indeboliti: con codazzo di sosia al lavoro e milioni di dollari negligentemente abbandonati. Ci si interrogava pensosamente: i trenta denari di Giuda o i fondi cassa della Wagner? Mistero a Mosca, un classico. Ci siamo affezionati: mal abituati alle dirette degli anni Novanta dalla Cnn, abbiamo scambiato le pericolose tempeste di Russia per una sorta di Grande Fratello in cui abbiamo diritto di occhieggiare ogni secondo. Putin Prigozhin Shoigu insomma: dove siete?

Prendiamo Prigozhin, il molto presunto Catilina del Don. L’ultima immagine che ci teniamo stretta non è proprio memorabile per “pathos”. Al quartiere generale del fronte ucraino a Rostov: parla con due altissimi generali (complici, prigionieri, inviati dal comando supremo a trattare?) Sembrano tre pensionati, un po’ disfatti dal caldo, al dopolavoro che fan passare il tempo per arrivare a cena. Non pare proprio che sia l’ora delle decisioni irrevocabili. Qualcosa avrebbe dovuto metterci sull’avviso: questi Attila in pantofole mimetiche dovrebbero riuscire dove son falliti Napoleone, Kolciak e i nibelunghi con la svastica, ovvero conquistare Mosca? Dopo aver conquistato alcune centinaia di chilometri di confortevole autostrada Prigozhin di colpo ci tradisce, esce di scena in una indisponente nebulosa di si dice.

Come se non ne avessimo abbastanza delle sue frottole prodotte a livello industriale e dei suoi misfatti invece concretissimi, scatta la domanda: perché non appare in un video a spiegare la ritirata come faceva prima quando recitava da capitan Fracassa a Bakhmut? A confermare che c’è qualcosa sotto, come sempre ecco l’argent: 34 milioni dimenticati nella furia in ufficio. E forse di lui resterà solo questa carrata di soldi, in fondo sintesi perfetta del suo passaggio, dannoso, nella Storia. Ci accontentiamo di ipotesi: lo hanno visto, giura qualcuno, al Green Hill hotel, pare mediocre rifugio a Minsk dove non si tratta a champagne. Ma no! È già impegnato, nell’ombra, la faccia più boia di prima, a costruire nuove insidie contro gli ucraini; o forse in Africa con i suoi Implacabili, l’Africa dove i golpe sono più sempliciotti, giurano altri ben informati. Non ci basta certo l’audio di undici minuti in cui minimizza. Si costruisce, per così dire, su terra di riporto. Che talora è nutrice della letteratura.

E Putin? Per sua fortuna è apparso tutto contegnoso in televisione nell’ora del golpe. E poi di nuovo ieri sera. Altrimenti sarebbe già braccato dalle ipotesi più estremistiche. In fuga ovviamente! Che volete faccia un dittatore con i nemici alle caviglie, rimasto solo con qualche irriducibile? Pensa all’amante e al conto in banca e fugge. Chi la sa lunga ne ha seguito il volo verso San Pietroburgo, si capisce: prima che Mosca diventasse una trappola. Poi, altro balzo, è in Kazakistan. Prima tappa verso Cina e nord Corea. Era semplicemente dal truccatore che lo ombreggiava per il discorso alla nazione. Ieri lo si è rivisto in una cerimonia ufficiale, con gli aspiranti ingegneri, dove ha parlato, alla larga, di industrializzazione. Mistero finito? Niente affatto: immagini vecchie e riciclate, si garantisce. Oppure non era, lui era uno dei sosia.

In un vecchio film come quelli che si programmano in tv a ferragosto sarebbe apparso anche Shoigu che doveva secondo i piani omicidi esser fucilato o sotto processo e che invece si è intrattenuto al fronte con i soldati. Immagini di venerdì scorso, dicono gli esperti in queste ardue cronologie, prima della rivolta. Insomma. È scomparso pure lui come il suo grande nemico Prigozhin. Ah, i tempi in cui Stalin e Mao ordinavano di cancellare dalle foto ufficiali le immagini dei traditori o dei radiati dal potere: uno smacchio e via Trotzki e Lin Piao sparivano e restava il solo dittatore con uno sghembo sguardo a lato dove non c’era niente. È un caso da riflettere questo elemento del pretendere la visibilità della Storia nel suo farsi, anche la più complicata e contorta, e che non sia stato ancora oggetto di ampie analisi.

La guerra in Ucraina è un caso da manuale: sappiamo poco o nulla di quanto avviene sanguinosamente perché tutto è avvolto da un anno e più dal silenzio del segreto militare e della propaganda. Allora cerchiamo di colmare la lacuna con immagini che vengono fatte cadere goccia a goccia: un carro armato che salta in aria, un drone che colpisce qualcosa, un cannone che spera verso non si sa cosa e con quali risultati. E di lì si traggono vaticini e previsioni strategiche. Il fatto è che noi non ci accontentiamo mai del due più due fa quattro, della legge causa effetto. Ovvero: nonostante il golpe, finto o fallito prima di sbocciare, tutto è rimasto come era prima purtroppo, l’autocrate è al potere fino a quando un altro fatto modificherà la situazione. Non sopportiamo il buio che circonda vicende difficili da immaginare come guerre e rivoluzioni.