Salvatore e la parola mancata

di Michele Santagata

Salvatore cercava la sua libertà nella conoscenza e nel sapere, un sapere di cui era diventato assetato e che elaborava nei modi e nelle forme a lui più congeniali. Salvatore cercava la libertà nelle parole, quella libertà che non riusciva ad afferrare nella sua quotidianità. E, come tutti i poeti, dopo una lunga ricerca, aveva capito che c’era un solo modo per afferrarla, almeno per un attimo: catturare il suo respiro nelle parole. E Salvatore aveva imparato a farlo, spinto dal suo immane bisogno di sentirsi libero da tutto ciò che lo affliggeva. Gli bastava calarsi in quell’attimo di libertà per trasformare il tempo di un respiro in un eterno istante. Roba da grandi maghi. Con le parole, Salvatore volava: riprendeva fiato dalla sua vita imprigionata dai vincoli del corpo e della società.

Salvatore amava inventare nuove parole. Spesso le sue composizioni si limitavano a due o tre parole che occupavano un intero foglio di computisteria, che usava come una sorta di tela su cui dipingere ogni nuova parola. Nuove erano per chi leggeva, non certo per Salvatore, che nel suo lungo viaggiare aveva costruito un suo vocabolario alternativo a quello ufficiale. A ogni parola usata, a noi sconosciuta, Salvatore aveva dato anche un suo preciso percorso etimologico. Non amava il conformismo, non usava le parole convenzionali per esprimere un sentimento, troppo deboli per reggere il peso della sua complessità. Perciò coniava nuove parole. Parole forti, che non temevano peso, capaci di legare saldamente l’immaginazione alla sua visione della realtà.

Il suo approccio alla cultura era originale, insolito, bizzarro, ma non per questo meno efficace di quello che si rifà a modelli predefiniti. Era il suo tratto distintivo, ma anche un modo per invitarci a seguirlo nella ricerca di verità nascoste sotto strati di memoria e accettazione. Salvatore non intendeva le parole come semplici suoni, per lui erano simboli che, per chi riusciva a leggerli, decifravano il suo mondo. Un mondo che all’apparenza poteva sembrare irraggiungibile ai più, ma che si apriva con generosità a chi sapeva fermarsi, ascoltare e accettare l’invito al viaggio. Perché i suoi scritti, anche i più criptici, erano inviti a scoprire l’invisibile, a sostare nell’indefinito come in un tempio. Non c’è mai stata separazione tra il suo pensiero e le parole. E non esiste niente di più vero. La verità, si sa, porta con sé la libertà. Bisogna essere veri per essere liberi. E Salvatore non ha mai nascosto le sue verità. Nelle sue computisterie viveva e volava libero. Molto più libero di quanti, credendosi liberi, lo hanno sempre visto imprigionato nel suo mondo.

Viaggiare con lui non era facile. Le strade che sceglieva erano sempre irte e piene di pericoli. Ma non c’è libertà senza sacrificio. Questo Salvatore lo sapeva bene: ha sempre lottato per sottrarre qualche attimo di libertà alla prigionia del corpo e della mente. E con le parole ci riusciva. Perciò non mi capacito del fatto che Salvatore, che scolpiva precise parole per ogni sensazione, abbia scelto di abbandonare questa terra senza lasciarci una parola.