di Emilio Iantorno
Non c’è niente di male nella rimozione di un monumento, a mio modesto avviso oggettivamente non bello, all’interno di un progetto di riqualificazione urbana. La mia preoccupazione da bucitese che ha trascorso buona parte della sua giovinezza passeggiando a Piazza Miniaci, era dettata dal fatto che dietro la demolizione del monumento ai caduti potesse esserci una sorta di improvvisazione.
Il mio terrore era che al posto di un manufatto di cemento armato rivestito in travertino con lapide dedicata ai caduti e pianta a forma di croce greca (ammetto di essermene accorto solo ora a conferma della regola che le cose le apprezzi quando le perdi), potesse spuntare una banale fontana in ghisa comprata su Amazon a 350 euro. L’incubo oggi è diventato realtà!
Chissà se qualcuno ha pensato che alcuni elementi architettonici, seppur discutibili, diventano parte di un luogo poiché raccontano il rapporto tra uomo e l’ambiente. Quante corone deposte ai caduti il 4 Novembre con tutti i bambini intorno a sventolare bandierine tricolori, quante bevute alla fontana nelle calde e spensierate estati bucitesi, quanti tentativi di salirci sopra per vedere da vicino i cantanti ai concerti dell’Otto Settembre, quante storie raccontate sulla base di marmo ogni mattina con lo zaino in spalla aspettando il pullman per Cosenza o le sere fumando di nascosto. Domani mattina per andare al mare ci troviamo tutti davanti “u monumentu”. Peccato. E’ un peccato soprattutto perché quella fredda fontana di ghisa non potrà mai avere un’anima, perché il vecchio monumento non ha avuto un degno sostituto in grado di prenderne l’eredità dal punto di vista architettonico ma soprattutto simbolico; è un peccato perché forse a questo vuoto urbanistico e affettivo non si è nemmeno minimamente pensato.
Pazienza, d’altronde gli interrogativi su chi e come decide le scelte di pianificazione sono storia antica, chi è artefice di modificare l’identità di un paese? La risposta è da cercare evidentemente alle forme della democrazia e all’idea di cittadinanza nei suoi risvolti più concreti, dove il coniugare polis (intesa come cittadinanza) e civitas (intesa l’insieme dei cittadini) diventa scelta collettiva anche nelle politiche urbane e territoriali. Molto semplicemente la democrazia assegna il governo al popolo, il popolo elegge il governo, il governo decide di demolire un monumento, il popolo ha deciso di demolire il monumento, come dire: ognuno ha i demolitori che merita.
Consoliamoci con le parole del Prof. Vito Teti che non finirò mai di ammirare… Dal libro “Il senso dei luoghi”.
“Non ricordo bene quando ebbi per la prima volta la sensazione che i luoghi avessero un loro senso, un loro sentimento; immagino sia accaduto molto presto, nella mia infanzia. Nel mio paese i luoghi hanno un nome e sono tutti speciali. Ogni posto ha un segreto. C’è il luogo delle fragole, quello dei funghi, il luogo delle castagne e quello delle ciliegie, il luogo dell’acqua e quello dell’argilla. Ognuno intrattiene un rapporto particolare con un determinato luogo. Ricordo ancora il posto dove da piccolo trovavo i funghi, o dove le castagne cadevano formando dei castelli, delle effimere opere d’arte. Era un segreto tra me e quei luoghi. E gli altri bambini avevano i loro luoghi magici e misteriosi. Ancora oggi, quando qualcuno torna dalle campagne con erbe selvatiche, funghi, frutti di bosco, e viene guardato con un misto di sorpresa e di invidia dagli altri, che non hanno trovato nulla, risponde con orgoglio e soddisfazione: «Sacciu i luaghi» conosco i luoghi, li sento, ho con essi un’abitudine e una frequentazione. I luoghi ci si rivelano, ci scelgono.
I luoghi rispondono con generosità al legame che con essi decidiamo di intrattenere Mi vengono in mente i giochi all’ammucciareddra, a nascondino, nelle strade, nelle campagne, tra gli alberi, tra i solchi di pomodori o di fagiolini, tra i viottoli e i vecchi muri del luogo in cui sono nato. Mentre mi sottraevo alla vista degli amici, con il cuore che batteva di ansia e di piacere, mentre catturavo le voci e i passi di chi cercava di individuare il mio nascondiglio, mentre mi rannicchiavo solo con me stesso, avevo come l’impressione che qualcuno mi osservasse, mi accompagnasse, mi proteggesse. Era come se il luogo mi guardasse e mi guidasse, avesse qualcosa da dirmi e da comunicarmi. Davvero, tutto accade, forse, nell’infanzia. I luoghi diventavano, da allora, miei amici, miei interlocutori. Le nostre sensazioni, le nostre percezioni, la nostra memoria, la nostra vita non possono che essere raccontate e rappresentate rispetto a un luogo. Noi siamo il nostro luogo, i nostri luoghi: tutti i luoghi, reali o immaginari, che abbiamo vissuto, accettato, scartato, combinato, rimosso, inventato…”.