San Giovanni in Fiore e la sanità delle mille proposte

San Giovanni in Fiore e la sanità delle mille proposte

di Maria Concetta Loria

Parlare di sanità in Calabria risulta molto complicato, diciamo che si trasforma in un “affare” molto complicato.
Sappiamo tutti che la lunga vicenda del commissariamento non solo non ha prodotto favorevoli risultati, ma di fatto non ha fatto altro che aumentare il nostro debito sanitario, cifre che ormai sfuggono ad una vera e propria consapevolezza.
Sappiamo tutti come il sistema abbia finito per favorire sanità privata e quel triste fenomeno chiamato ‘emigrazione sanitaria’. In tutto questo c’è da tener conto anche del piano di ripartizione sanitario che penalizza indiscutibilmente la nostra regione. C’è anche da dire che la politica ha gestito male anche le scarse risorse destinate alla Calabria, diversamente non saremmo arrivati al commissariamento.

Questa situazione di degrado, del sistema sanitario regionale, è stata un buon assist per trasformare la nostra terra in un serbatoio di voti utile al governo centrale per acquisire poltrone. La politica si fa anche con il clientelismo e ancora di più in Calabria.
Poi ci sono le campagne elettorali, quelle che riguardano tutta la regione e quelle che riguardano le realtà locali. Allora appare chiaro quella strana e inquietante malafede nel conciliare le promesse elettorali con la consapevolezza dei risultati che si possono ottenere. Durante la campagna elettorale, delle ultime elezioni amministrative di San Giovanni in Fiore, parliamo di settembre 2020, tutta la città ha assistito ai proclami e alle passerelle di benvenuto che salutavano l’arrivo di fantomatici nuovi medici che avrebbero preso servizio presso l’ospedale cittadino. Raccontare quanto è successo dopo diventerebbe noioso e ripetitivo, molto semplicemente si può riassumere in un nulla di fatto. Indubbiamente qualcosa è andato storto, molto storto.
Il risultato è che le promesse si sono perse lungo il tragitto della campagna elettorale e l’ospedale annaspa.

Promesse fatte sottolineando il fatto di poter contare sull’appoggio incondizionato della ormai compianta Presidente della regione, come se una storia di amicizia potesse servire da passepartout per risolvere problemi di qualche amministratore piuttosto di altri. Poi mi chiedo: ma se avesse vinto Pinco Pallo, la Presidente, se avesse avuto potere di risolvere la situazione, non lo avrebbe fatto?
E comunque non fa male sottolineare che la sanità in Calabria è commissariata e che forse da sola la Presidente della regione avrebbe potuto risolvere ben poco.
Molto scorretto far leva sulla buona fede delle persone.
Le associazioni presenti sul territorio, con impegno, cercano di mantenere alta l’attenzione sul presidio ospedaliero, notizia degli ultimi giorni la nascita di un comitato cittadino a difesa della sanità locale. I cittadini invece sono stanchi e disillusi.

Poi si assiste a proposte come quella presentata e approvata in consiglio comunale il 18 febbraio scorso, un piano strategico di riqualificazione per l’ospedale civile e la medicina del territorio. Una proposta di difficilissima attuazione e che prevede servizi da far arrossire poli sanitari d’ eccellenza. Espedienti che di fatto fanno perdere tempo, trascinano situazioni che di fatto non risolvono problemi semplici e progettano strutture complesse. Un modo per dire alla cittadinanza: stiamo lavorando su un progetto grandioso, ma intanto potresti morire per un attacco di appendicite perché non ci sono anestesisti.

Esattamente così: gli anestesisti mancano, vengono prestati dall’ospedale di Crotone. Nei mesi scorsi, in piena emergenza covid, il pronto soccorso subiva chiusure a intermittenza, oppure prestava servizio solo di giorno. Come dire:” ora è notte andiamo a dormire e se vi deve prendere una sincope spostatela a domani. “

Addirittura anche i medici di famiglia sono insufficienti a soddisfare le esigenze di tutti i cittadini. Intanto quelli che ci sono non riescono non possono reggere l’enorme numero di pazienti raggiunto. Nei mesi scorsi alcuni medici sono andati in pensioni nello stesso periodo e i loro pazienti sono stati divisi tra i pochi medici di famiglia presenti sul territorio.
Vale anche la pena ricordare della proposta avanzata presso gli uffici competenti, da parte del primo cittadino, di convertire parte dell’ospedale in reparto covid. Cosa che sarebbe di impossibile attuazione per un fatto puramente strutturale e di personale già insufficiente. Significherebbe uccidere quel pò che resta.
Quello che salta all’occhio è che tra una proposta e l’altra nulla accade. Si tampona parlando di attuare nuovi piani che in questo contesto della politica regionale non potranno essere attuati. Di tutto si parla ma non si assiste a fatti concreti, capaci di attivare quei Livelli Essenziali di Assistenza previsti per un presidio ospedaliero definito Ospedale di Montagna o di Zona Disagiata.
Ciò che può e deve essere fatto non si fa e si mostrano prospettive futuristiche lontane anni luce dalla realtà.

Si perde tempo mostrando la prospettiva di un lavoro in fase di sviluppo.
Qualche settimana fa, direttamente dalla conferenza dei sindaci della provincia di Cosenza, arriva un altro colpo di genio: costituire una rete ospedaliera tra gli ospedali della città di Acri e quella di San Giovanni in Fiore. Ospedali entrambi di zone di montagna e che dovrebbero mantenere la propria autonomia ma che dovrebbero lavorare in sinergia per migliorare i servizi erogati.
Il punto è che non si tratta di unire due forze, ma esattamente di unire due strutture che presentano delle serie carenze organizzative e di organico.
Ottimisticamente avranno pensato che unendo due zoppi la possibilità di reggersi a vicenda migliorerebbe.

Se penso alla strada che collega San Giovanni in Fiore ad Acri, a livello logistico, la cosa risulta anche più allarmante. A questo punto, forse, potrebbe essere più logico guardare verso Crotone.
Forse con Crotone, inoltre, si potrebbero stipulare convenzioni per consulenze ospedaliere specialistiche, perché per raggiungere Cosenza c’è il ponte del Cannavino, il quale subisce chiusure intermittenti, e una passeggiata in ambulanza con paziente a bordo non è quando di più opportuno possa esistere, soprattutto se pensiamo alla stagione invernale.
Il nodo centrale in questo momento dovrebbe essere garantire l’emergenza e la diagnostica, tutto il resto va centralizzato e per un semplice motivo: non c’è personale.
Le strutture ospedaliere periferiche in questo momento non possono garantire altri tipi di prestazioni, è un problema di sicurezza.

Eppure l’ospedale di San Giovanni in Fiore potrebbe puntare sull’attivazione della sua sala operatoria ancora perfettamente funzionante, per interventi in day surgery, e potrebbe servire come struttura di supporto per effettuare piccoli interventi per pazienti provenienti anche da altri centri, magari con equipe mediche prestate da altri presidi.
Così da poter coadiuvare strutture, come l’ospedale di Cosenza e Crotone, pressate dall’emergenza covid.
Prima di pensare alla costituzione di una rete ospedaliera si potrebbe pensare di riattivare il servizio di endoscopia, di cui abbiamo un macchinario perfettamente funzionante.
Manca ancora la figura di un cardiologo, ormai assente sia dall’ospedale che dal distretto sanitario.
Anche il 118 è esposto a dei seri rischi di chiusura, perché si sa che senza anestesisti e cardiologi il servizio non può rimanere in piedi.
Non si riesce neanche ad organizzare l’ufficio ticket in maniera razionale e sensata. Per accedere ad esami presso l’ospedale bisogna prima recarsi dal lato opposto della citta per far timbrare le ricette mediche che consentano il pagamento o l’esenzione del ticket. Almeno potrebbero mettere a disposizione dei poveri sventurati una navetta.
Gli stessi specialisti, quei pochi rimasti, presenti presso il distretto potrebbero coordinarsi e lavorare in sinergia nella stessa struttura ospedaliera, gli spazi di certo non mancano. Ma queste proposte che potrebbero essere logiche e di immediata attuazione ovviamente non vengono prese in considerazione.

Su tutto incombe l’insidia della sanità privata, sempre più minacciosa, sempre più evidente, sempre più con la strada spianata.
Intanto sarebbe opportuno, per motivi di sicurezza, spostare il punto vaccinale dell’ospedale in altro luogo.
I tamponi, per lo più, vengono effettuati presso la struttura ospedaliera e non i modalità drive, scelta che mi sembra molto discutibile. Tra tamponi e vaccini è facile creare assembramenti e situazioni di contagio. Quello della sanità in Calabria è un problema complesso, nel senso che è un problema legato ad una serie di dimensioni che dovrebbero essere affrontate in maniera ramificata e non come singole unità. Senza interazione tra i vari livelli di problematiche non ci può essere soluzione.
Anche la campagna vaccinale è organizzata all’acqua di rose, non si ha contezza del numero preciso dei vaccinati, e molte persone per potersi vaccinare sono costrette a spostarsi verso altri comuni, Mesoraca va per la maggiore. Mi chiedo come mai un centro popoloso come San Giovanni in Fiore non è riuscito ad organizzare una efficiente campagna vaccinale.

L’ultima Puntata del sequel è di qualche giorno fa: la prima cittadina, Rosaria Succurro, insieme al sindaco di Acri, Pino Capalbo, e a due medici universitari, il chirurgo Giuseppe Brisinda e l’oncologo Pino Capalbo, in un confronto online dalla sua pagina personale di Facebook, ha affermato di voler spingere per una chirurgia generale complessa e qualificata. Si è detto che il momento è buono in quanto il ministro della salute, Roberto Speranza, intende modificare il decreto vigente e gli standard ospedalieri. Per far sì che San Giovanni in Fiore abbia una chirurgia generale dovrebbe unire le forze con Acri. Inoltre il Professor Brisinda si è detto disponibile ad operare nei due ospedali.
Ritengo, però, che Brisinda da solo non possa bastare ad adempiere a tutti i ruoli del personale mancante. Ma non si parla di personale. In linea generale non bisogna dimenticare che non solo in Calabria, ma in tutta Italia mancano medici (purtroppo la conseguenza del numero chiuso delle facoltà di medicina hanno questa conseguenza. Ma questa è un’altra storia).

Ora questa proposta, data come notizia rivoluzionaria, non ha nulla di nuovo, in quanto già elaborata dalla precedente amministrazione cittadina, e lo stesso Brisinda, mi sembra, si era già detto disponibile almeno da due anni. Aveva pubblicamente dichiarato di essere favorevole ad accettare l’incarico presso l’ospedale di San Giovanni in Fiore, Ma poi si sa che in Calabria si parla il “burocratese”, e per quanto riguarda la sanità ancora di più e il chirurgo approdò al Gemelli di Roma. Quindi se di questo si era già ampiamente discusso, ma ora con una buona operazione di “marketing” la proposta viene presentata come nuova e innovativa.
Ovviamente sia una chirurgia che la presenza di Brisinda sarebbero auspicabile per San Giovanni in Fiore, ma dimentichiamo che a oggi nel presidio ospedaliero di San Giovanni in Fiore non si riesce a garantire i Livelli Essenziali di Assistenza.
Non abbiamo neanche quello che sulla carta è previsto per decreto. Ma sulla richiesta del dovuto nessuno intende perdere tempo, meglio sognare fantascientifici poli di eccellenza sanitaria.
Ancora una volta si fanno proposte che non sono in grado di dare risposte immediate ad un ospedale in fin di vita. Un po’ come se si volesse costruire un palazzo senza fondamenta.
Intanto i titoli dell’informazione locale accendono i riflettori su l’ennesima proposta, e un esercito di Yes Man e di Yes Woman è pronto ad un plauso corale, tralasciando di occuparsi dell’estrema unzione del nosocomio locale.
A settembre/ottobre verranno nuovamente a farci le stesse promesse di sempre, quelle irrealizzabili, quelle che non sono mai state mantenute.