“San Giovanni in Fiore. Oliverio e Succurro, due volti differenti della medesima crisi”

RIFLESSIONI SU DUE STAGIONI POLITICHE A CONFRONTO
(Col cuore e la voce tremante di amarezza)

DALLA PAGINA FB DI FRANCO FABIANO E DAL GRUPPO SPAZIO CIVICO CALABRIA 

Nessuno si offenda se scriviamo queste righe con l’anima e la voce tremante, ma limpida. Non siamo professionisti della retorica, né cercatori di incarichi. Non maneggiamo interessi, né coltiviamo ambizioni di poltrone. Siamo solo figli di una terra antica e ferita, che non abbiamo mai smesso di amare e di chiamare casa: la Sila di San Giovanni in Fiore e i paesi che le fanno da corona. Siamo ex emigrati, madri e padri, lavoratori e pensionati. Siamo giovani sospesi tra il sogno di restare e la necessità di partire.

E ogni giorno ci chiediamo: ha ancora un senso restare? Restare… significa davvero credere ancora nel domani? O è soltanto un gesto d’amore cieco verso un passato che ormai ci scava dentro come un dolore irrisolto? Siamo cresciuti tra i vicoli gelidi della nostra città, tra la neve, le valigie di cartone, le partenze sorde e i ritorni intrisi di malinconia. Abbiamo imparato presto che la dignità, da queste parti, ha il volto della fatica, il silenzio dei sacrifici, il coraggio delle madri che hanno fatto la storia senza mai essere raccontate. E oggi, con il nodo alla gola e la consapevolezza nel petto, non possiamo più tacere. Non parliamo per rancore o risentimento, ma per amore. Perché chi ama davvero, lo sa: denunciare l’abbandono è un atto di cura.

In questi giorni, una nuova ferita si è aperta sulla pelle già martoriata della nostra Calabria silana, della nostra San Giovanni in Fiore. Due immagini, due momenti, due stagioni politiche a confronto: Da una parte, la conferenza stampa dell’ex presidente Mario Oliverio sui debiti fuori bilancio della Provincia di Cosenza. Dall’altra, un Consiglio comunale svuotato, disarticolato, “incapace perfino di offrire un’ombra di speranza sul rendiconto di bilancio amministrativo”. Due contesti diversi, certo. Ma uniti da una stessa linea di smarrimento. Due volti differenti della medesima crisi: una politica che ha smarrito il senso umano della propria missione, che non ascolta più, che non vive tra la gente, ma si specchia nei riflessi opachi delle telecamere e nei titoli dei giornali o dei social.

L’onorevole Mario Oliverio è stato, per anni, protagonista della scena politica regionale e nazionale. Ha camminato tra strade e borghi, ha lottato e affrontato poteri e commissari, ha promesso e – per un tempo – acceso speranze. Ma oggi, davanti ai microfoni, non abbiamo più visto il leader. Abbiamo visto un uomo stanco, rifugiato nei tecnicismi di numeri e delibere, piegato dalla fatica. Un uomo che ha dato tanto, anche in termini di presenza, ma che – forse – non è riuscito a lasciare un’eredità viva della sua forza propulsiva e rivoluzionaria. Solo silenzi. Promesse lasciate a metà, come la piazzetta-variante sul Vallone di Bellini. Promesse di giustizia sociale, di servizi essenziali, di un futuro degno.

Poi è arrivata la Dottoressa Rosaria Succurro, sindaca della nostra San Giovanni in Fiore e oggi presidente della Provincia di Cosenza. Una donna capace, intelligente, portata avanti come simbolo di rinnovamento e competenza. E in molti, sinceramente, hanno voluto crederci e stimarla ovviamente per quello che è riuscita a fare. Ma quel “nuovo” tanto atteso si è rivelato – almeno finora – un abito elegante ma senza anima. Più forma che sostanza. Più comunicazione che visione. L’ascolto è diventato selettivo. Le assunzioni, come più volte è stato denunciato dalle opposizioni, strumenti di riconoscenza politica. Le strade, le scuole, la sanità, la giustizia sociale, il lavoro… sono ancora appesi ai proclami. La politica è scesa nelle piazze solo con manifesti e slogan da social, non con soluzioni sicure e definitive.

E allora, tra ieri e oggi, tra Oliverio e Succurro, la distanza è meno profonda di quanto si voglia far credere. Ciò che li accomuna è una drammatica, e ormai insostenibile, sordità verso il dolore autentico della nostra gente. Perché mentre si discute nei palazzi, fuori la vita grida. La vera Calabria non era all’Hotel President di Rende. Non era nel Consiglio comunale, deserto d’anima e spirito. Era fuori. Tra le case ancora senza fogna. Nei disoccupati. Negli operai licenziati. Nei giovani con la valigia e il cuore spezzato. Nei padri in attesa di un contratto che non arriva. Nelle madri che fanno la spesa contando i centesimi. Negli emigrati che da Toronto, Zurigo, Bologna, Milano, Clarksburg ancora si chiedono: “Possiamo tornare?” Questo è lo scandalo più grande: mentre si giocano partite di potere, la nostra gente muore per mancanza di sanità pubblica, di scuole, di trasporti, di dignità.

E la politica? Tace. O peggio, recita. Il Consiglio comunale che ha preceduto quella conferenza stampa non ha acceso alcuna luce. Solo parole vuote. Interventi spenti. Miserabili cambi di casacca che offendono l’intelligenza e la coscienza dei cittadini. Un teatrino. L’ennesimo. Che ha ferito, ancora una volta, la speranza. Ma non è il dissenso a spaventarci. Né ci fa paura il dissesto. Il dissenso è libertà. Il dissesto, se affrontato con verità e coraggio, può essere l’inizio di una rinascita. Ciò che ci sgomenta è l’assenza di visione. L’incapacità, o la mancanza di volontà, di guardare in faccia le urgenze vere: sanità, lavoro, scuola, trasporti, servizi pubblici. Rispetto. Cura. Dignità.

I giovani vengono trattati come un problema. L’ambiente come un ostacolo. San Giovanni in Fiore come un nome su una cartina, e non come la città millenaria che è. La città di Gioacchino da Fiore, del pensiero profetico e del misticismo messianico. Ma anche la città degli artigiani, dei muratori, dei contadini, dei commercianti. Delle donne forti e silenziose che hanno costruito il futuro senza mai apparire. Degli emigrati che, da lontano, non hanno mai smesso di amare. E allora no, questa città non può diventare l’arena delle piccole vendette personali. Chi la rappresenta deve sentirne il peso. Deve onorarne il battito. Non servono più foto. Non servono più premi. Non servono più numeri da sventolare o delibere da annunciare. Servono fatti. Servono strade. Ospedali. Scuole. Servono risposte. Serve politica. Quella vera.

A noi cittadini – ai giovani, ai lavoratori, agli insegnanti, ai pensionati, agli emigrati che ancora sognano – non resta che una scelta: smettere di guardare in silenzio. Riprenderci la voce. E il posto nella nostra storia e nella nostra civiltà. Dobbiamo risvegliare una nuova coscienza popolare. Una Calabria viva. Consapevole. Giusta. Che non si inginocchia più. Questo è il tempo del dovere. Non delle promesse. Non dei proclami. San Giovanni in Fiore ha ancora un’anima. Ma va salvata. Dall’apatia. Dalla rassegnazione. Dall’indifferenza di chi governa senza ascoltare. Tocca a noi. A chi crede ancora che patria e cittadinanza siano cura, rispetto, appartenenza. A chi, anche deluso, non ha mai smesso di amare questa terra. Con parole nuove. E con il vecchio, indistruttibile coraggio di chi non arretra.