San Giovanni, la tarantella è una sfida a Gratteri: tra i ballerini c’è un indagato di rilievo di “Stige”

Diciamocelo francamente: la gran tamarrata della tarantella di San Giovanni in Fiore per festeggiare la vittoria della “reginetta” Succurro alla quale hanno partecipato la “capretta” Santelli e il cazzaro Occhiuto, per quanto sia uno spaccato altamente squallido della nostra realtà politica e sociale, non potrebbe essere motivo di attacco “politico”. Sì, perché malgrado le tragicomiche ordinanze della Santelli – che un giorno invita il mondo a venire in Calabria e riapre bar e ristoranti prima di tutti e l’altro chiude i confini e ordina (!!!) le mascherine all’aperto -, non può certo essere una festa privata a rappresentare la pietra dello scandalo, quando poi – ogni sabato e in tutte le città – migliaia e migliaia di persone fanno la movida e si comportano molto peggio dei parassiti sociali immortalati nel filmino della tarantella.

Ma oggi finalmente qualcuno ha deciso di alzare la testa e di rivelare, sia pure con colpevole ritardo, che in mezzo a tutti quei buffoni c’era persino un indagato per un processo di ‘ndrangheta. Sì, avete capito bene: uno dei protagonisti dell’orripilante tarantella fa parte a tutti gli effetti dell’ordinanza dell’operazione “Stige” della Dda di Catanzaro ed è indagato ufficialmente dal procuratore Nicola Gratteri per corruzione aggravata dal fatto che sarebbe stata messa in essere con soggetti affiliati alla ‘ndrangheta.

Lui si chiama Giovambattista Benincasa, per gli amici Giovanni, ed è facilmente riconoscibile – soprattutto dai sangiovannesi – mentre balla con grande energia prima vicino a quel cazzone di Occhiuto (foto di copertina) mentre poi, preso dall’entusiasmo, si esibisce in una spettacolare piroetta e si cimenta nel volteggio con la stessa Jole Santelli entrando definitivamente negli annali del “trash” (spazzatura per chi non capisce l’inglese).

Benincasa è stato prima assessore all’Ambiente e poi vicesindaco del Comune di San Giovanni in Fiore dal 2011 al 2015 nelle due giunte dell’ex sindaco Antonio Barile e adesso è uno dei dirigenti di spicco di Fratelli d’Italia, che dalle nostre parti, come tutti sanno, è meglio conosciuta come Fratelli di ‘ndrangheta. E il nostro Benincasa, che fu anche arrestato all’epoca (http://www.iacchite.blog/san-giovanni-maxi-blitz-stige-le-accuse-allex-vicesindaco-benincasa-oggi-seguace-della-meloni), a leggere l’ordinanza dell’operazione Stige ha particolare confidenza e dimestichezza, per usare degli eufemismi, con gli ‘ndranghetisti, in particolare con quell’impresa dei fratelli Spadafora ormai tristemente famosa per il suo monopolio nei tagli boschivi.

E non è finita qui, perché l’ordinanza di “Stige” è piena di riferimenti al soggetto di cui parliamo. Citiamo ancora testualmente: “… Benincasa Giovambattista (all’epoca assessore all’Ambiente del Comune di San Giovanni in Fiore, nonché presidente della 1^ Commissione permanente presso il Consiglio Regionale della Calabria e successivamente anche vicesindaco del Comune di San Giovanni in Fiore) ha aiutato, in maniera indebita e sotto molteplici aspetti, Spadafora Pasquale nella gestione di pratiche burocratiche legate all’attività boschiva dell’azienda di quest’ultimo. 

Non solo, perché il Nostro si produce anche in straordinari “favori” alla moglie dello Spadafora, dipendente comunale.

Il pentito Francesco Oliverio, poi, spiega anche che la ‘ndrangheta, nel 2011 decise ancora di appoggiare Barile e quindi anche Benincasa, per come emerge ancora dalla stessa ordinanza.

Nell’ordinanza di “Stige”, dunque, sono espressamente riportati, riguardo al Benincasa, reati di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, con l’aggravante d’aver conferito pubblici impieghi (alla moglie dello Spadafora Pasquale) e per aver ricevuto utilità dallo stesso Spadafora. Vi è poi espressa menzione, nei campi d’imputazione che riguardano il Benincasa, dell’art. 7 del decreto legge n. 151/1991, che prevede che “per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà”. Nello specifico, gli si contesta, nell’ordinanza di “Stige”, di aver agevolato soggetti ritenuti intranei all’organizzazione criminale.

Per una migliore comprensione dei fatti. Tutti o quasi i media di regime, compresi quelli nazionali, hanno guardato l’assembramento e la mancanza della mascherina alla tarantella della “reginetta” e della “capretta”. Ma il vero problema è che in mezzo a questi soggetti c’è un signore che è sotto processo (rito ordinario) in un processo di ‘ndrangheta ovvero “Stige”, una delle inchieste più importanti istruite dal procuratore Gratteri.

La socia di Jole ovvero la “reginetta”, con tanto di coroncina, aveva presentato il suo contratto da sindaca, in diretta Facebook, dicendo con voce tremula ma decifrabile che la ‘ndrangheta non sarebbe mai più entrata nel Comune di San Giovanni in Fiore.
Vero è che Benincasa non è stato condannato e dunque vale anche per lui la presunzione di innocenza, ma, indipendentemente da come andrà a finire in sede processuale è chiaro, dagli stralci dell’ordinanza di “Stige” che abbiamo pubblicato, il suo rapporto di do ut des con i fratelli Spadafora, sgarristi di ‘ndrangheta senza nessuna possibilità di equivoci.Questa sua presenza alla tarantella, di conseguenza, è decisamente imbarazzante, e non solo perché la Succurro aveva preso un preciso impegno con i suoi cittadini, ma anche perché rappresenta a tutti gli effetti una sfida aperta al procuratore Gratteri. Quasi a dirgli: mentre tu istruisci i processi per ‘ndrangheta e cerchi di fare pulizia, noi sguazziamo, balliamo e ci trastulliamo con i soggetti che tu indaghi... E quei pm della Dda di Catanzaro, che certamente conoscono anche fisicamente lo “spinnato” dell’ex vicesindaco e lo hanno visto volteggiare insieme alla “capretta”, non crediamo siano stati contenti di quello che stanno trasmettendo ormai in tutta Italia.

Ricapitolando: Benincasa è sotto processo per corruzione con esponenti di ‘ndrangheta,
i fatti riportati nell’ordinanza sono molto gravi. Sul piano politico, quella scena è devastante, forse anzi sicuramente di più della storia della mascherina e dell’assembramento. Adesso attendiamo che qualcuno (il Pd… il M5s… magari a pesti ca li mbacchia...) si pronunci sulla gravità non solo politica ma anche giudiziaria della faccenda mentre siamo sicuri che gli “spadaccini” dei media calabresi, non appena Jole la capra sgancerà qualche altro finanziamento, torneranno a fare quello in cui eccellono: leccare il culo ai potenti. Di qualsiasi colore essi siano, tanto ormai non c’è differenza: né tra i politici né tra i giornalisti.