Sanità. De Bortoli: “Ci vuole un patto tra pubblico e privato per salvarla, con prevenzione, Ai e dati”

di Ferruccio De Bortoli

Fonte: Corriere della Sera

L’economia della salute è un ossimoro. Un accostamento all’apparenza improponibile. La sanità è un servizio primario. Ridurla alle regole del mercato è deprimente, ma ignorare le questioni della sua sostenibilità economica è altamente irresponsabile. Il diritto a essere curati è costituzionalmente sancito, ma spesso ci dimentichiamo che occorrono i mezzi per garantirlo. Se la sanità è il principale bene comune allora dovrebbe ridurre le disuguaglianze e non aumentarle come sta avvenendo.
Una maggiore sensibilità civica ci dovrebbe indurre, come cittadini, a esigere una gestione rigorosa delle risorse pubbliche che non sono per loro natura infinite. E anche a chiederci chi, alla fine, sostenga il Servizio sanitario nazionale che è costato (nel 2023) 136 miliardi cui se ne aggiungono 44 di spesa privata. Il 60% degli italiani non paga le tasse ma tutti hanno, giustamente, il diritto ad essere curati e assistiti. Le esenzioni sono sacrosante; le evasioni delittuose e prive di scusanti. Gli sprechi nella sanità pubblica e nel consumo dei farmaci sono doppiamente dannosi: si disperdono soldi dei contribuenti e si finisce per penalizzare i più fragili e deboli economicamente.

Il ruolo del privato e le malattie croniche

Il privato ha un ruolo importante, sbagliato negarlo. Giusto che abbia un ritorno tale da remunerare il capitale e assicurare gli investimenti. Ma se gode di una comoda nicchia profittevole che lo ripara dalla concorrenza, scegliendo le cure più redditizie, perde la sua funzione sussidiaria e rischia di avvinghiarsi al potere politico. Un rapporto, non raramente, oscuro e incestuoso. Dobbiamo rallegrarci di vivere in un Paese che ha una speranza di vita tra le più alte al mondo. Anche in buona salute. Ma chi ha un’istruzione superiore vive mediamente quattro anni di più di chi non ha potuto averla. Le disparità regionali sono intollerabili e ingiuste. Con differenze, nella speranza di vita in buona salute, che arrivano addirittura a vent’anni. Concentrati sui ritardi nelle visite e negli esami, stiamo sottovalutando l’esplosione delle malattie croniche e l’aumento della platea dei soggetti non autosufficienti.

Lo studio

E qui si pone una questione ineludibile, affrontata in uno studio, di cui diamo conto in anteprima, a cura dell’Associazione Peripato e della Fondazione Anthem. Il sistema pubblico non sarà in grado di affrontare la futura, ed inevitabile, emergenza sanitaria e sociale. Sarà necessario coinvolgere di più la sfera privata, soprattutto del privato sociale, investire in tecnologie, rivedere l’organizzazione sul territorio, programmare meglio le professionalità. Un’enorme sfida sociale, economica, scientifica e manageriale. La presenza in una famiglia di una persona disabile o di un anziano bisognoso di un caregiver è la principale causa di impoverimento di un nucleo familiare. Le malattie croniche interessano, direttamente o indirettamente, il 40,5% della popolazione italiana, ovvero 24 milioni di individui. Le persone affette da almeno due patologie croniche sono 12 milioni. Il 30% degli over 65 convive con limitazioni nell’attività di base della vita quotidiana (mangiare, lavarsi, vestirsi, muoversi). La spesa pubblica per la non autosufficienza ammontava nel 2023 a 13 miliardi. Quella a carico delle famiglie per l’assistenza sanitaria di lunga durata a 4,4 miliardi. La somma (oltre 17 miliardi) è il doppio del costo di tutta l’università italiana.
Nel 2030 si stima che la popolazione non autosufficiente crescerà del 25% per un totale di 5 milioni di soggetti. I caregiver sono circa 8,5 milioni, in maggior parte familiari. Tra badanti e collaboratori domestici il tasso di irregolarità è del 47%. Tra gli oltre 800 mila regolari, la metà è classificata come badanti. Prevalgono gli stranieri, soprattutto da Romania, Ucraina e Moldavia. Messe in fila queste cifre fanno semplicemente paura. Dunque, vengono rimosse nella discussione pubblica. Ed è l’aspetto più grave. C’è anche la patologia della rimozione.

Le proposte

Lo studio è stato redatto da un gruppo di specialisti (Silvio Brusaferro, Guido Cavaletti, Sergio Dompé, Luca Degani, Daniele Finocchiaro, Giada Lonati, Cristina Messa, Nicola Montano, Fabrizio Oliva, Rosanna Tarricone) coordinati da Sergio Harari e Stefano Paleari. È stata formulata una serie di proposte operative su come integrare un nuovo modello di sanità pubblica a una rete più efficiente di strutture, non solo ospedaliere, sul territorio. Segnalato il grande dramma della carenza di figure professionali. Denunciata una visione delle Regioni troppo concentrata sull’autonomia politica e di governo. «Anche in Lombardia — si legge — non esiste la possibilità di una reale integrazione tra servizi sociosanitari. Le risposte viaggiano a silos, i bisogni no». Proposti forti investimenti in tecnologia sanitaria. Non sufficienti però «senza un adeguato cambiamento organizzativo e amministrativo».

La cassaforte dei dati

Il punto fondamentale è quello di sfruttare meglio i dati, in particolare il fascicolo sanitario nazionale, facendo sì che ci sia «una reale connessione tra sistemi di prevalente natura ospedaliera con la componente di assistenza e cura territoriale». Oggi sono due mondi che non si parlano. «Le piattaforme di analisi predittiva offrono alle organizzazioni sanitarie approfondimenti basati sui dati e sulle tendenze della popolazione dei pazienti». Si pone grande attenzione alle soluzioni innovative di Digital Medicine e Digital Therapeutic, ovvero a software «progettati per trattare o alleviare patologie disturbi e condizioni mediche attraverso interventi digitali con un impatto clinicamente dimostrato sulla salute dei pazienti».
L’Italia, a differenza di altri Paesi europei e degli Stati Uniti, non ha ancora regolamentato e finanziato queste terapie digitali. Forte l’accenno alla prevenzione. Consigliate forme di incentivo o disincentivo (non punitive) per promuovere «comportamenti che possano modificare il profilo di rischio verso le malattie croniche e la non autosufficienza». E ancora: «Si potrebbero realizzare percorsi diagnostico-terapeutici integrati che partendo dalla domanda di assistenza del paziente, rilevabile anche a distanza mediante device indossabili e strumenti di monitoraggio, vadano a ridisegnare la gestione condivisa tra medico di famiglia e specialisti». Ciò rivoluzionerebbe il numero delle visite e sfoltirebbe le liste d’attesa.

L’emergenza, la privacy

«La prima cosa da fare è prendere atto che, se non facciamo niente, l’attuale sistema sanitario non è sostenibile, soprattutto sotto il profilo economico — spiega Rosanna Tarricone, docente di Politica Sanitaria all’Università Bocconi e tra i firmatari dello studio — la tendenza è chiara e difficilmente reversibile: la popolazione diminuisce, gli anziani aumentano, i giovani emigrano. Le patologie croniche, in forte crescita, rappresentano già l’80% della spesa sanitaria. Almeno il 50% sarebbe prevedibile. Questo significa che dobbiamo certamente curare meglio i malati cronici ma anche e soprattutto evitare che i sani si ammalino. Serve una visione strategica: programmazione, valorizzazione delle risorse umane e tecnologiche, innovazione nell’organizzazione dei servizi e un equilibrio più efficace tra pubblico e privato. La prevenzione, per sua natura, è una responsabilità a valenza pubblica. Le Regioni dispongono di molti dati ma spesso non li usano o non sono messe nella condizione di utilizzarli al meglio. L’intelligenza artificiale potrebbe costituire uno strumento potente per costruire una prevenzione di precisione utilizzando i big data per stratificare la popolazione e realizzare messaggi, incentivi e interventi mirati a soddisfare bisogni specifici. Questa possibilità è oggi fortemente limitata da vincoli normativi legati soprattutto alla privacy. È arrivato il momento di affrontare con coraggio anche questo tema. Altrimenti rischiamo di morire, paradossalmente, per troppa privacy».

Le assicurazioni

E il ruolo del settore privato, in questo scenario quale potrebbe essere? «Svolgere una funzione complementare al pubblico e contribuire a generare una competizione sana e collaborativa, fondata su regole chiare e uguali per tutti. Servono più trasparenza ed equità». E il mondo assicurativo? «Coperture assicurative sociali, regolate dallo Stato, con premi proporzionati al reddito, possono rappresentare una parte della soluzione — conclude Tarricone — soprattutto di fronte alla crescente sfida della non autosufficienza e dell’assistenza a lungo termine. Ma devono essere pensate in modo equo senza generare disuguaglianze. Un modello da seguire può essere quello tedesco con premi regolati e accessibili».