Sanità massomafiosa. Tutti i “dipendenti” della ‘ndrangheta nell’Asl di Locri. Quando la realtà supera anche la fantasia

Senza memoria non può esistere futuro. E allora, se vogliamo davvero capire quali sono i mali della sanità in Calabria è più che mai opportuno fare un salto nel passato, alla genesi del commissariamento, per farci un’idea della situazione e per arrivare alla fin troppo facile conclusione che, nella sostanza, ben poco è cambiato. Nonostante nel ruolo di commissari si siano alternati generali dei carabinieri, burocrati, boiardi di stato e ora il presidente parassita della Regione eletto con i voti della borghesia mafiosa. Altro che denunciare chi non fa altro che scrivere la verità. 

Quella che vi proponiamo in una serie di pubblicazioni è la parte dedicata a “Sanità e corruzione” della relazione della #Commissione #Parlamentare #Antimafia del 2008, quando era presidente Francesco Forgione. L’ultimo vero presidente della Commissione Antimafia, che poi è stata affidata a soggetti del tutto inaffidabili come Rosy Bindi (arrassusia) e Nicola Morra (Diocenescansi). 

PRIMA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/sanita-buco-nero-della-calabria-la-genesi-il-caso-crea-centrodestra-e-centrosinistra-nessuna-differenza/

SECONDA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/calabria-e-massomafia-locri-2006-il-sistema-perverso-per-arricchire-i-boss-della-sanita-privata/)

TERZA PUNTATA (http://www.iacchite.blog/sanita-buco-nero-della-calabria-locri-convenzioni-e-appalti-nelle-mani-della-massomafia-decine-di-milioni-direttamente-ai-boss/)

4. I dipendenti

Alcuni esempi ci danno l’idea delle pesanti e profonde infiltrazioni
delle ‘ndrine, del condizionamento permanente, quotidiano, sui dipendenti
delle strutture ospedaliere, sui degenti e sui familiari in una realtà come
quella di Locri dove tutti conoscono tutti:
Domenico Audino è figlio di Pietro Audino, noto esponente della
famiglia mafiosa Cordì.

Anna Maria Pittelli è moglie di Antonio Cataldo “ritenuto dalle forze
di polizia uno dei vertici della cosca mafiosa dei Cataldo operante nel
comune di Locri e zone limitrofe”. Quest’ultimo è figlio di Nicola Cataldo,
‘boss’ dell’omonima cosca unitamente al fratello Giuseppe. Inoltre Antonio
Cataldo è fratello di Francesco con a carico numerosi precedenti penali e di
polizia tra i quali quello di associazione mafiosa.

Pasqualina Mollica, il cui coniuge è Pietro Audino. “Lo stesso è
ritenuto dagli inquirenti personaggio inserito nell’organizzazione mafiosa
dei Cordì di Locri, sospettato di essere specializzato, all’interno del gruppo
mafioso, nei furti e negli atti intimidatori. Pietro Audino è stato arrestato
nel mese di giugno del 1999 per il reato di associazione di tipo mafioso e
scarcerato nel giugno del 2002”.

Sonia Zanirato è convivente con Francesco Cataldo attualmente
detenuto per associazione di tipo mafioso. Francesco Cataldo è figlio di
Nicola e fratello di Antonio. “Lo stesso è ritenuto capo indiscusso
dell’omonimo clan mafioso sospettato dagli organi di polizia di dirigere il
racket dei lavori pubblici e privati, nonché di imporre la tangente per i
lavori che vengono eseguiti nel territorio di Locri, ricadenti sotto il
controllo della famiglia e di dirigere parte del grande traffico di
stupefacenti per mezzo dei vari affiliati”.

Antonella Troiano è moglie di Domenico Alecce il quale “fa parte di
una famiglia composta da altri cinque fratelli tutti pregiudicati per vari
reati. Alcuni fratelli ritenuti dalle forze di polizia socialmente pericolosi
sono stati sottoposti a misura di prevenzione. Infatti il clan Alecce a Locri
ha assunto una propria fisionomia nell’ambito della criminalità organizzata
incutendo timore sull’intera cittadinanza locrese”.
Stella Strati è convivente di Giuseppe Cavalieri “esponente di rilievo
del clan mafioso Cordì”.
Maria Schirripa, è moglie di Salvatore Cavallo, “ritenuto dagli
inquirenti appartenete al sodalizio mafioso dei Cataldo”. Cavallo è cognato
di Aurelio Staltari rimasto ferito in un attentato durante la faida locrese e
suocero di Nicola Maciullo, affiliato ai Cataldo.

Loredana Floccari è moglie di Claudio Alì, appartenente alla ‘ndrina
dei Cataldo. “Il matrimonio con la propria consorte non ha fatto altro che
potenziare l’azione criminale dell’Alì. Infatti Loredana Floccari è figlia di
Alfredo capo dell’omonimo clan fino al giorno del suo decesso. La stessa è
sorella di Walter Floccari, che annovera numerosi precedenti di polizia,
ed è considerato un elemento socialmente pericoloso facente parte
dell’omonimo clan. Le sue vicissitudini giudiziarie hanno avuto inizio dal
6/11/1989 quando è stato, unitamente ad altre persone, tratto in arresto
perché imputato, ai sensi dell’art. 416-bis, di associazione finalizzata al
riciclaggio di denaro proveniente da sequestro di persona”.

Adele Cataldo è figlia di Michele Cataldo, deceduto, fratello di Nicola
e di Giuseppe, capi indiscussi del clan. La stessa è anche sorella di Giuseppe,
assassinato nell’anno 2005 nei pressi della propria abitazione di Locri.
Liliana Cataldo è figlia di Nicola Cataldo, “considerato dagli
inquirenti braccio destro del fratello Giuseppe nell’organizzazione mafiosa.
Inoltre si occupa in prima persona, con l’ausilio dei figli Francesco e
Antonio, degli affari relativi alla gestione delle attività illecite e dei relativi
proventi. Il Nicola Cataldo a seguito dell’uccisione del cognato Iemma
Antonio ha assunto una posizione totalitaria all’interno della cosca dello
stesso capeggiata contando su una fittissima rete di favoreggiatori e
fiancheggiatori”. Liliana Cataldo è anche coniugata con Paolo Panetta il
quale può vantare diversi procedimenti di polizia per estorsione e porto
abusivo di armi.

Anche gli appalti di lavori ed opere pubbliche seguono il
meccanismo sin qui descritto che prevedeva come costante il frequente
ricorso alla trattativa privata plurima. Naturalmente con simili metodi non
mancano le sorprese né le rivelazioni. “Nell’ambito delle procedure a
trattativa privata – secondo la relazione citata – si è potuto riscontrare che,
molto spesso, sono bandite gare differenti per lavori identici”. Il
responsabile dell’Ufficio tecnico dell’Azienda Sanitaria ha motivato in
questi termini una procedura che ha tutte le caratteristiche dell’unicità: “le
scelte operate in tal senso dall’Ufficio Tecnico, attesa l’esecuzione di due
differenti gare per l’aggiudicazione di lavori identici, relativi alle due
diverse strutture ospedaliere amministrate da questa Azienda Sanitaria,
trovano ragione, nell’opportunità che, in generale, i lavori di importo
complessivo non rilevanti, concernenti il presidio di Locri, vengono affidati
e quindi eseguiti da ditte di Locri ed analogamente, per il presidio di
Siderno, ciò al fine di evitare ‘dispetti’ tra soggetti economici dei due
circondari”.

Ovviamente in ogni appalto ci si imbatte in parenti diretti di
noti mafiosi e questo alla faccia di ogni regola, di trasparenza e legittimità
dello stesso bando di gara. Ci si imbatte in parenti diretti di noti mafiosi.
Anche sulla questione del personale, materia estremamente delicata,
non mancano le anomalie. Nonostante il lavoro svolto dalla commissione
di accesso, è stato impossibile definire il quadro certo e preciso del
personale. Scrive infatti la relazione Basilone: “Sull’argomento occorre,
preliminarmente, evidenziare come la richiesta della Commissione, più
volte formulata, tendente ad ottenere il quadro complessivo degli organici
relativi alle suddette figure dirigenziali, abbia trovato parziale e non
assolutamente esaustivo riscontro da parte dell’ufficio aziendale preposto.
Pertanto, stante la mole della documentazione da acquisire e la complessità
della medesima, non si è riusciti ad avere uno scenario certo, definito
dall’Azienda, con l’identificazione del posto in organico e della relativa
figura professionale che lo ricopre. Tale circostanza era, tra l’altro, già stata
evidenziata in una relazione ispettiva redatta da un dirigente
dell’Ispettorato Generale di Finanza della Ragioneria Generale dello Stato a
seguito di una verifica”.

Sembra incredibile, ma né la Guardia di Finanza né la Prefettura di
Reggio Calabria sono venute a capo della situazione di profonda anomalia
per cui in un’Azienda sanitaria locale lo Stato non è riuscito a far luce sul
numero dei dipendenti, sul posto indicato in organico e sulla figura
professionale che quel posto è destinata a ricoprire.
E questo senza la presenza della commissione disciplinare mai più
ricostituita dopo le dimissioni di alcuni componenti.
Appare evidente che “per garantire il perseguimento dei propri
obiettivi, ed il controllo sulla gestione della ‘cosa pubblica’, la pressione
sugli organi della A.S.L. è stata possibile anche per la presenza all’interno
dell’azienda di personale, medico e non, legato da rapporti familiari a noti
esponenti della criminalità organizzata locale o comunque interessati da
rilevanti precedenti di polizia o penali. Tale presenza denota, – continua la
relazione – tanto la causa quanto l’effetto dell’ingerenza della criminalità
organizzata nella gestione dell’azienda, perché si traduce nella possibilità
di imporre dall’esterno le scelte di assunzione o quantomeno, come si
vedrà, di impedire lo scioglimento dei vincoli lavorativi, sia al fine di tener
sempre sotto verifica, dall’interno le scelte gestionali, sia per poter
garantire la tenuta di una gestione clientelare. In questo contesto, infatti, si
spiega la mancanza presso la A.S.L. di una commissione di disciplina del
personale”.

Alcuni casi sono particolarmente esplicativi dell’andazzo dei tempi,
e danno della A.S.L. di Locri una rappresentazione di zona franca per ogni
forma di legalità, di diritto, di morale. La peggiore immaginazione è
superata dalla più degradante realtà: esponenti mafiosi con sentenze passate
in giudicato che continuano a lavorare nonostante la legge lo vietasse o
mafiosi riassunti dopo trenta anni di carcere nonostante l’interdizione
perpetua dai pubblici uffici e dipendenti sanitari ospiti delle patrie galere
che continuano a percepire ininterrottamente lo stipendio. Sembra
incredibile ma è la realtà.

Il primo caso riguarda l’operatore tecnico originario di Locri Giorgio
Ruggia. Basta leggere le righe a lui dedicate dalla Commissione d’accesso
per avere aperto uno squarcio di estremo interesse. “Il dipendente in parola
era già colpito da misura restrittiva della libertà personale, ed era stato
sospeso dal servizio con delibera n. 1.180/98 con decorrenza 7.12.1998.

Successivamente con delibera n. 377/99 a seguito di un provvedimento con
il quale il Giudice per le indagini preliminari ha revocato la misura della
custodia cautelare lo stesso è stato riammesso in servizio con decorrenza
19.4.1999. Atteso che il provvedimento prevedeva una misura restrittiva
della libertà personale per un periodo superiore a tre anni, con il
provvedimento in argomento si è inteso sospenderlo cautelativamente,
nonostante la previsione di cui all’art. 5 della Legge 27.3.2001 n. 97,
integrato dall’art. 19, comma 1, e l’art. 32-quater del codice penale con cui
viene stabilito che la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a
tre anni (per determinati delitti), importa ai sensi del suindicato art. 32 c.p.
l’estinzione del rapporto di lavoro nei confronti del dipendente a seguito di
procedimento disciplinare. Il D.G. ha ritenuto con la delibera 218/2002 che
‘l’unico provvedimento utile per la tutela delle posizioni sia
dell’Amministrazione che dello stesso dipendente può individuarsi nella
sospensione cautelare con la corresponsione di un’indennità pari al 50%
della retribuzione e gli assegni familiari se dovuti per intero’.

Il provvedimento raggira così la normativa. Ma vi è di più. Il Ruggia
è stato condannato con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria
dell’1.2.2001, divenuta irrevocabile il 16.1.2002, a 3 anni ed 8 mesi di
reclusione con la pronuncia dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
Ciò nonostante con delibera n. 890 del 13.10.2004 il Direttore Generale
della A.S.L. riammette in servizio il Ruggia che difatti riprende il servizio
in data 18.10.2004, vanificando così la pronuncia giudiziale della Corte di
Appello. Il Ruggia attualmente presta servizio presso la A.S.L.”.

Da dove deriva tanta forza a Ruggia? E’ ben possibile che gli derivi
dal fatto di essere “ritenuto ‘vicino’ alla consorteria criminale Cordì attiva
in Locri ed in campo nazionale, contrapposta alla cosca Cataldo”.

Il secondo caso è quello di Femia Resistenza, operatore professionale
di Locri assunto nell’anno 1974 e riassunto il 21 gennaio 2004, a distanza
di ben 30 anni. Nel periodo tra le due assunzioni Resistenza era stato
arrestato per associazione mafiosa, per traffico di stupefacenti, ricettazione
ecc. Con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, in data
14.06.1999, irrevocabile nel 2000. Resistenza è stato condannato ad anni
10 e mesi 6 di reclusione e lire 60.000.000 di multa, interdizione perpetua
dai Pubblici Uffici e libertà vigilata per anni 3. Ciò nonostante è stato
riassunto. Era stato tratto in arresto per l’operazione antidroga denominata
Onig. E’ rimasto in carcere dal 1994 al 2003. Era ritenuto un esponente di
livello della cosca Macrì di Siderno. Ma per l’A.S.L. di Locri l’interdizione
perpetua dai pubblici uffici non esiste.

Il terzo caso è quello dello psicologo Pasquale Morabito originario di
Bova Marina. Con “delibera del Direttore Generale n. 250 dell’11.4.2002”,
veniva estinto il rapporto di lavoro presso la SAUB di Bovalino, a far data
dall’1.11.2001. “Dalle motivazioni poste a supporto del provvedimento si
evince che il predetto è risultato assente dal servizio fin dal 1992, pur
continuando a percepire regolarmente lo stipendio di competenza. Le
ragioni di tale assenza sono da ricercare nella circostanza che il Morabito
nel 1996 era stato condannato dalla Corte di Appello di Messina, con
sentenza passata in giudicato nel 1997 a 6 anni ed 8 mesi di reclusione, con
pronuncia di interdizione legale per la durata della pena, per il reato di
partecipazione ad associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze
stupefacenti in concorso. In data 11.6.1999, con sentenza della Corte di
Appello di Reggio Calabria, divenuta irrevocabile il 16.10.2000, il
Morabito veniva condannato a 8 anni di reclusione, con la pronuncia
dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici per il reato di associazione di
tipo mafioso di cui all’art. 416-bis. Occorre al riguardo rilevare che
l’Azienda, a seguito della privazione della libertà personale, aveva sospeso
dal servizio il Morabito, con conseguente riduzione dello stipendio in
applicazione della normativa all’epoca vigente. La sospensione è durata per
tutto il periodo del primo quinquennio di detenzione, dopodiché la A.S.L.
anziché prendere atto dello stato di perdurante detenzione, e comunque
ignorando che il Morabito non era in servizio, ripristinava l’erogazione
dello stipendio per intero. In sintesi, la A.S.L. ha erogato l’intero
trattamento stipendiale, in favore di un dipendente che non prestava
servizio perché detenuto.

Per di più, tale situazione è perdurata anche dopo
la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 1999 che
pronuncia l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il provvedimento di
cessazione dal rapporto interviene tardivamente nel 2002, e fino a quel
momento l’Azienda ha proseguito nell’indebito pagamento, per il quale,
peraltro non ha nemmeno avviato azioni di recupero”.133
Pasquale Morabito ha parecchi precedenti penali, è stato coinvolto
nell’operazione Tuareg ed è stato varie volte condannato: nel 2001 il
Procuratore Generale della Repubblica di Reggio Calabria, determinava la
pena da eseguire in anni 8, mesi 1 e giorni 11. Inoltre le forze di polizia lo
ritenevano “inserito a pieno titolo nel clan mafioso denominato SperanzaPalamara-Scriva che da tempo è contrapposto nella cruenta e sanguinosa
faida di Africo-Motticella, che ha provocato circa 50 vittime, a quella del
Mollica-Morabito, entrambe attive in Africo e zone limitrofe”.

Nella A.S.L. di Locri ha lavorato anche Giuseppina Morabito,
medico, figlia di Giuseppe, meglio noto come “Tiradrittu”, arrestato nel
febbraio 2004 mentre era in compagnia di Giuseppe Pansera, genero di
“Tiradrittu” e marito di Giuseppina Morabito.

Tra il personale medico 13 persone hanno precedenti penali,
frequentazioni con pregiudicati oppure parentele con noti esponenti
mafiosi. Tra queste Francesco Nirta di San Luca, figlio di Antonio Nirta
capo dell’omonima cosca, Giuseppe Baggetta, che ha come cognato
Giuseppe Commisso; Giovanna Morabito coniugata con Giovanni Antonio
Bruzzaniti, implicato in vicende di ‘ndrangheta, e sorella di Salvatore
Morabito, anche lui “ritenuto vicino alla cosca mafiosa MorabitoBruzzaniti-Palamara capeggiata da Giuseppe Morabito, alias Tiradrittu”.

Le ‘ndrine potevano contare anche su 29 persone che facevano parte
del personale amministrativo e che avevano precedenti penali o erano in
rapporti familiari con noti ‘ndranghetisti. Una nutrita rappresentanza:
Alessandro Floccari, figlio di Alfredo, considerato il capo della cosca e
fratello di altre sei persone pregiudicate e collegate prima ai Cataldo ed ora
alla famiglia Cordì; Alessandro Marcianò attualmente sotto processo
perché considerato il mandante dell’assassinio del vice presidente
Francesco Fortugno; Francesco Giorgi, figlio di Antonio Giorgi di San
Luca, noto come ‘u ciceru’, alleato con i Nirta e accusato di essere il
mandante del duplice omicidio in danno del Sovrintendente della Polizia di
Stato Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano, avvenuto a
Lamezia Terme il 4 gennaio1992.

Anche la scelta dei medici esterni seguiva la medesima logica sin qui
descritta, e dunque anche tra di loro c’era una folta schiera di persone con
precedenti penali o strettamente imparentati con ‘ndranghetisti. Si può dire
che tutte le principali ‘ndrine attive nei comuni della zona avessero più di
un rappresentante dentro la struttura ospedaliera o presente nelle
convenzioni da essa stipulate oppure nelle gare d’appalto.

Scrive infatti la Commissione Basilone che “la presenza all’interno
dell’A.S. di personale, medico e non, legato da stretti vincoli di parentela
con elementi di spicco della criminalità locale o interessati da precedenti di
polizia giudiziaria per reati comunque riconducibili ai consolidati interessi
mafiosi, ha permesso di verificare non solo la presenza di un ‘contatto’ tra
le organizzazioni malavitose e l’Azienda, bensì una vera e propria
‘infiltrazione’ in quest’ultima… Il quadro che emerge fa ragionevolmente
presumere che forze mafiose locali si siano infiltrate nell’area
dell’istituzione sanitaria, e sovrapponendosi ai rispettivi organi abbiano
potuto minacciare la serenità nelle scelte decisionali di fondo in modo tale
da non poterle più ritenere riconducibili all’autonoma e consapevole
volontà dell’Azienda Sanitaria”.
Insomma, non erano gli organi istituzionali e legali dell’A.S.L. a
decidere, ma le ‘ndrine che avevano occupato, anche fisicamente, le
strutture sanitarie, pubbliche e private, ricadenti sul territorio dell’A.S.L. 9
di Locri. Ma per farlo c’era bisogno di una politica cieca, sorda, muta
succube o compiacente. Molto più probabilmente, è stata semplicemente
complice.