dalla pagina FB di Lorenzo Tosa, giornalista e scrittore
Bisogna che si spenda più di qualche parola per l’unico vero cantautore old style di questo festival: Brunori Sas, al secolo Dario Brunori.
Uno che scrive, compone, suona, produce musica di livello assoluto da oltre vent’anni, ma di cui colpevolmente questo Paese si è accorto solo quando è salito sul palco dell’Ariston.
Lo ha fatto con una canzone-mondo, quasi una saga dal sapore marqueziano attorno a quell’albero delle noci che osserva le vite evolvere, cambiare, i figli diventare padri. E dentro c’è anche uno dei versi forse più belli mai scritti sul senso dell’essere genitori.
“E ora ti vedo camminare con la manina in quella di tua madre, e tutta questa felicità forse la posso sostenere, perché hai cambiato l’architettura e le proporzioni del mio cuore”.
Solo chitarra, voce e un look da hotel di riviera ligure anni ‘60, Brunori ha la grazia di far cadere apparentemente senza rumore massi pesantissimi come l’amore, la paura, il rimpianto per “la vita di prima e il tempo che non torna”, la terra e le radici calabresi inscindibili dalla sua epica, e quella felicità a tratti incontenibile e, insieme, l’ansia di poterla perdere in un attimo.
Ma, per favore, non chiamatelo De Gregori. Dario, per chi lo conosce da anni, è solo Brunori, inconfondibile. Questo ti aspetti che faccia: brunoreggi. Solo che lui lo fa così maledettamente bene da sorprenderti ogni volta.
Comunque vada, lui il suo personale Sanremo l’ha già vinto.