Santa Caterina dello Ionio: il concorso farsa e il trionfo del nepotismo istituzionale
A distanza di qualche giorno, ormai alla vigilia del voto per l’elezione del Segretario Provinciale del PD, si delineano meglio gli esiti di un’operazione già scritta
SANTA CATERINA DELLO IONIO – il concorso pubblico per un posto in Comune si è appena concluso. Ma più che una selezione, si è trattato di una liturgia dell’ovvio. Un rituale stanco e cinico, dove il finale era già stato scritto – e persino trasmesso in tv – con mesi di anticipo.
Non servivano sfere di cristallo né capacità profetiche per indovinare chi avrebbe vinto il concorso pubblico bandito dal Comune. Bastava conoscere le dinamiche del potere locale, le parentele strategiche e le fedeltà politiche. A distanza di pochi giorni dalla conclusione delle prove, ciò che emerge è lo stesso copione già visto troppe volte nei piccoli comuni italiani: quello del concorso truccato, della selezione fittizia, del posto assegnato a tavolino.
Già, perché Striscia la Notizia, con la sua consueta verve da satira-inchiesta, aveva puntato i riflettori sulla figura che sarebbe poi risultata vincitrice: Domenico Carioti, nipote del Sindaco Francesco Severino. Un uomo da anni onnipresente nelle stanze comunali, sempre dietro le quinte ma con accessi da dirigente e mansioni da funzionario, senza mai esserlo ufficialmente. Ma ora sì: il concorso gli ha finalmente cucito addosso l’abito che indossava già da tempo, senza titoli e senza concorso.
Per molti, questo concorso non è stato altro che una sceneggiatura di bassa lega, con un regista già noto, un protagonista predefinito e comprimari selezionati con cura in base a equilibri politici, parentele e favori da ricambiare. La meritocrazia? Non pervenuta.
Bastava guardare i nomi, incrociare incarichi e tessere di partito, per capire che il finale era già scritto. Più che una graduatoria, una lista della spesa politica. Con buona pace dei tanti candidati preparati, che si ostinano ancora a credere nello Stato di diritto. Ma qui il diritto è uno solo: quello del più inserito.
Il curriculum che conta è l’albero genealogico
Mentre i candidati autentici si preparavano, studiavano, credevano ancora – illusi – che un concorso pubblico fosse un’occasione vera, nelle stanze del potere si giocava una partita diversa. Una partita dove vince chi è più vicino al Sindaco, non chi ha più competenze. Una partita dove i titoli contano meno dei legami, e il punteggio massimo va a chi ha saputo aspettare il proprio turno all’interno del sistema.
È così che Domenico Carioti, da “ombra” del palazzo a “funzionario” legittimato, si prende il primo posto. Nonostante le denunce, nonostante i riflettori accesi dalle telecamere nazionali, nonostante l’evidente conflitto di interessi. Perché in fondo, chi dovrebbe vigilare? Le istituzioni? L’ANAC? La Prefettura? I Carabinieri? Tutti zitti. Tutti complici. O peggio, tutti assenti.
La commedia degli (apparenti) esclusi . Quando il secondo posto è strategia
Non è finita qui. Anzi, il meglio – o il peggio – arriva proprio adesso.
Il secondo classificato – guarda caso – e qui il sarcasmo si impone da solo, è il sindaco PD di un comune vicino, Gasperina, già destinato a scalare le gerarchie del partito a livello provinciale. Un altro segnale che in questa “selezione” il curriculum non conta: conta la tessera, conta l’allineamento, conta la rete di favori. Infatti, Gregorio Gallello, è futuro – dicono le cronache di partito – segretario provinciale in pectore. È davvero finito lì per merito? Difficile crederlo. Il suo piazzamento sa tanto di operazione politica ben congegnata: una volta completata l’assunzione del primo classificato, acquisirà la graduatoria nel suo Comune e potrà così sistemare “la sua parte di mondo”. In cambio? Il suo sostegno a Severino, per quella scalata regionale che ormai è più che un’ambizione personale: è un’ossessione.
Altro che concorso pubblico: questa è lottizzazione d’antan, solo che oggi ha il timbro protocollato e la forma legalizzata. È un film già visto, ma ogni volta più amaro. In un’Italia che continua a predicare il cambiamento, la realtà resta inchiodata alla logica feudale della raccomandazione. A Santa Caterina, il concorso non è stato un’opportunità pubblica, ma un premio di fedeltà distribuito a pochi eletti. Con buona pace di chi ha studiato, sperato e creduto in un’istituzione giusta.
E il terzo posto? Anche qui, nessuna sorpresa. Mario Lentini, nome noto nei corridoi comunali, attualmente in servizio presso l’ufficio tributi dello stesso ente che ha bandito il concorso tramite l’unione dei Comuni del Versante Ionico alla quale sono ormai delegate la maggior parte dei servizi comunali (dai servizi sociali all’ufficio tributi passando per il SUE e lo sportello SUAP). Ma il capolavoro è nei legami: Lentini è infatti vicino a Enzo La Rocca, ex dirigente dell’Unione dei Comuni del Versante Ionico e – coincidenza? – presidente della commissione esaminatrice.
Ma non è tutto: Due membri su tre della commissione appartenevano proprio alla stessa Unione: oltre al dirigente in quiescenza, anche la Dott.ssa Annamaria Cossari, figura notoriamente vicina a La Rocca. Un assetto studiato a tavolino, che ha garantito il controllo totale della selezione. Dopo la nomina di Carioti e l’acquisizione della graduatoria dal Comune di Gasperina per piazzare (piazzarsi) il sindaco Gallello, non resta che l’ultimo tassello: l’assunzione del terzo classificato, alla stessa Unione dei Comuni del Versante Ionico, e il disegno è completato. Tra registi occulti, protagonisti consapevoli e comparse compiacenti, il disegno politico-amministrativo orchestrato da Severino avrà raggiunto il suo obiettivo finale. Un cerchio che si chiude alla perfezione.
Non servono investigatori né intercettazioni. Basta aprire il calendario, incrociare le parentele, seguire le nomine, e il puzzle si compone da solo. È la solita storia: si fa finta di cercare i migliori, ma si assumono i più vicini.
Un film già visto. Ma stavolta con il finale in anticipo
Il risultato di questa farsa era noto da tempo. La gente lo sapeva. I dipendenti lo sapevano. Persino la televisione nazionale lo aveva capito. Ma l’amministrazione è andata avanti senza vergogna, portando a termine l’ennesima selezione cucita su misura, come se nulla fosse. Come se la legalità fosse solo un dettaglio noioso, una perdita di tempo da superare con disinvoltura.
E intanto i cittadini tacciono. Qualcuno per paura, qualcuno per rassegnazione, qualcuno perché è abituato da troppo tempo a vivere in un paese dove i diritti si ottengono chiedendo un favore, e non esercitandoli.
Meritocrazia, questa sconosciuta
Nel frattempo, chi ha studiato, chi ha partecipato con onestà, chi ha ancora fiducia nella Costituzione e nei concorsi pubblici, torna a casa con un pugno di sabbia e un foglio con scritto “idoneo ma non vincitore”. Una formula elegante per dire: “Grazie di aver partecipato, ma non sei parte del sistema”.
E mentre si celebrano i vincitori, i veri sconfitti restano i candidati veri, quelli con curriculum di peso, titoli e anni di esperienza sulle spalle. Gente che ha studiato, lavorato, creduto – ancora! – nel principio di uguaglianza e nelle opportunità offerte da un concorso pubblico. Illusi. Sono stati scartati, umiliati, messi da parte. Perché il risultato era già scritto, e non nei verbali ufficiali, ma nei corridoi della politica di provincia, dove si decide tutto: chi entra, chi resta fuori e chi fa carriera.
Non ci si aspetta più neanche la decenza di una recita ben fatta. Basta un bando scritto a tavolino, una commissione obbediente, qualche telefonata tra segreterie e, naturalmente, il sangue giusto nelle vene.
Quello che emerge con chiarezza non è solo la mancanza di trasparenza, ma la presenza chirurgica di una strategia politico-familiare. Non un concorso, ma una partita a scacchi dove le mosse sono state decise mesi fa, e i pezzi – amici, sindaci, nipoti – piazzati con cura sulla scacchiera comunale.
Merito? Una parola vuota, buona per i convegni e i post social. Qui si premia la fedeltà, non la competenza. Qui si assume chi è funzionale, non chi è capace. E lo si fa senza più nemmeno la fatica di nasconderlo. E mentre il cittadino comune si chiede perché i servizi non funzionano, perché gli uffici sono inefficienti, perché tutto va a rilento, la risposta è sotto gli occhi di tutti: perché i posti vengono occupati non da chi sa fare, ma da chi deve stare lì. La pubblica amministrazione come bottino, le graduatorie come merce di scambio, i concorsi come formalità.
E le autorità competenti? Dormono. O fanno finta. Nessuno che si alzi a chiedere conto, nessun organo di vigilanza che apra un’inchiesta, nessun partito che si indigni. Tutti zitti, tutti comodi. Chi ha il potere, lo usa. E chi dovrebbe controllare, guarda altrove.
Nel frattempo, in Calabria, a Santa Caterina dello Ionio, si continua a emigrare, a studiare altrove, a cercare fortuna fuori. Perché qui, il futuro non lo costruisce chi ha talento, ma chi ha il contatto giusto.
E allora no, non è solo una farsa. È qualcosa di peggio: una messinscena legalizzata, con tanto di firma e timbro. Un abuso fatto norma. Un sistema marcio che non si vergogna più nemmeno di apparire tale.
Il silenzio delle autorità è assordante. Il fastidio per la legalità, palpabile. La giustizia, se esiste, è relegata al ruolo di figurante muto in un teatrino che si ripete ad ogni tornata. E mentre i cittadini osservano, qualcuno applaude, qualcuno ride amaramente, ma la maggior parte china la testa. Perché a Santa Caterina, per ottenere un diritto, bisogna prima chiedere un favore.











