Schiavonea, l’insediamento industriale? Sembra un film come “Promised Land”

di Alberto Laise

La discussione sul possibile insediamento industriale all’interno del porto è importante a patto che non si dicano bugie. Ed è dovere delle istituzioni e dell’impresa rispondere sul merito e sui dubbi.

Intanto il paragone con Civitavecchia non è consono perché a) Civitavecchia non è un’area turistica e di pesca b) Civitavecchia nasce come porto “industriale” ed è inserito in un contesto dove si può parlare di sviluppo industriale c) in Calabria c’è un esperienza simile: Crotone… ed abbiamo la prova tangibile dei danni ambientali ed occupazionali ha lasciato.

Il porto di Schiavonea ha bisogno di un importante intervento infrastrutturale. Probabilmente si può anche ragionare sulla creazione di un porto nel Missionante così come si può e si deve potenziare la funzione di porto crocieristico. Ma l’idea che la produzione industriale possa convivere pacificamente con turismo e pesca è irrealistica se non si considera che insediamento si autorizza.
Quello della multinazionale americana è estremamente vago. Intanto andrebbe presentato il piano industriale perché occorre capire il motivo per cui si vuole investire qui e a Vibo. Il dubbio che possa essere un investimento “mordi e fuggi” legato o all’acquisizione di finanziamenti ovvero alla realizzazione di un’opera (parchi eolici nell’area, oleodotti eccetera) che poi non porterà mai ad una produzione duratura ma all’abbandono dell’area non può lasciare indifferenti.

E non è solo un discorso da ambientalisti (che però è legittimo vista l’incidenza tumorale nella piana ad esempio) ma un ragionamento sui costi e sui benefici. Qui si parla di un paio di centinaia di posti di lavoro ma turismo, pesca ed agricoltura ne garantiscono diverse migliaia. E poi queste assunzioni che collegamento avrà con il territorio? Dubito che la specificità della produzione non abbia bisogno di professionalità già nel core business dell’azienda. Quanti di quei posti saranno destinati alla città? Immagino quelli dei servizi accessori: sicurezza, pulizie, mensa e poco altro.

Altra questione è il tipo di impianto: un conto è una piattaforma d’assemblaggio un conto è la produzione. Perché la produzione potrebbe prefigurare anche la presenza di vernici e quindi di prodotti chimici. Se poi l’impianto sarà siderurgico c’è l’esempio di Taranto.
Sono domande legittime perché in gioco c’è un’area fragile la cui economia non può basarsi sulla “predazione” ma ha bisogno di progetti e programmi connessi con l’intera area jonica.
Invece gli americani – forse abituati al loro particolare modo d’esportare la democrazia – iniziano una campagna stampa che sembra la pubblicità del Mulino Bianco.

Beh, a me sembra piuttosto un altro film, ma sono decine che parlano di questo “stile” d’impresa: Promised Land. Anche lì si parla di un’industria che vuole convincere una piccola comunità rurale in crisi economica che il proprio intervento non ha pericoli e sarà la fortuna della città. Però non parla del “Freaking” e dei rischi che corre e dei disastri causati. Ecco… ora non è che il salto nel buio lo dobbiamo fare perché lo dice un ammiraglio che a questo porto ha fatto solo danni e che si è dimostrato sempre un militare arrogante e ignorante in tutto ciò che riguarda quest’area. Ne possiamo fidarci alla cieca di una azienda che in concreto non ha detto nulla. Ora se qualcuno ha già intascato l’obolo… beh sono problemi suoi… quel che è certo è che il conto non può lasciarlo alla città ed alla Sibaritide.