di Lorenzo Giarelli e Antonella Mascali
Fonte: Il Fatto Quotidiano
È sempre la destra di Silvio Berlusconi, soprattutto sulla giustizia: ieri più che mai, con il sì definitivo del Parlamento alla riforma della separazione delle carriere e del doppio Csm, vecchi cavalli di battaglia di Arcore. Il fondatore di FI provò a realizzarla per due volte, nel 1997 e nel 2010, e per due volte fallì.
Ora quel sogno potrebbe avverarsi postumo, ma solo se in primavera gli italiani confermeranno la legge al referendum, la cui campagna vede un governo meno spavaldo del solito: “Ci sono sicuramente ragioni per essere perplessi su alcune scelte della riforma”, si lascia sfuggire Carlo Nordio, che ribadisce di voler apportare “aggiustamenti” coi decreti attuativi. E in serata Giorgia Meloni mette le mani avanti: “Il referendum non avrà conseguenze sul governo”.
Il sogno di “Mister B.” e, prima di lui, di Licio Gelli e Bettino Craxi, viene approvato con 112 voti sì,59 no e 9 astenuti, tra cui Iv. L’ok arriva tra i cartelli di protesta di Pd, M5S e Avs: “No ai pieni poteri”. Forza Italia lancia un flash mob in Piazza Navona, e tanto per cambiare al centro c’è Berlusconi, presente su una gigantografia. È un flop, senza alleati né il ministro. In serata interviene Marina Berlusconi: “Ci sono vittorie che arrivano forse troppo tardi, ma restano grandi. Questa è la vittoria di mio padre. Sono la sua forza, il suo coraggio e, purtroppo, anche la sua sofferenza, ad aver reso possibile una giornata che segna un passo avanti per la democrazia e la verità ìn questo Paese”.
Maurizio Gasparri aveva provato a trascinare Nordio in piazza, inutilmente. D’altra parte avrebbe dovuto presenziare all’altro flash mob, quello di FdI, se non fosse che all’ultimo minuto il partito di Giorgia Meloni sceglie un profilo basso, annullando tutto. La premier posta un selfie e poi parla al Tg1:“La riforma è un’occasione storica, non sono d’accordo con le critiche dell’Anm, che d’altra parte non è mai stata favorevole a nessuna riforma della giustizia”. Non le solite intemerate contro i pm, segno della volontà di non esasperare la campagna. È lo stesso concetto che Meloni ripete in un vertice con gli alleati e poi in tv: “Il referendum non avrà profili politici, sarà sulla giustizia. Non avrà ricadute sul governo, arriveremo a fine legislatura”. Nordio da Bruno Vespa conferma: “Temo che il voto verrà politicizzato”.
Giovanni Donzelli, FdI, posta sui social una card di Giovanni Falcone, arruolandolo tra i sì, mentre Pierantonio Zanettin (FI), porta in piazza qualche vittima di ingiusta detenzione e ricorda il martire per eccellenza: “Berlusconi è stato l’emblema della persecuzione giudiziaria”.
IL CLIMA in Aula si innervosisce durante l’intervento di Roberto Scarpinato, senatore M5S, ex Pg di Palermo. Questa riforma, dice, rappresenta un tassello di “una guerra per destrutturare la Costituzione, pezzo a pezzo”.
Ma Scarpinato è convinto che esista “una maggioranza di italiani che non se la beve la panzana che Berlusconi, Dell’Ultri, Cosentino, Matacena, Previti, Galan erano tutti fiori di giglio condannati dalla magistratura politicizzata”. Scarpinato li definisce “uomini simbolo di una politica corrotta e collusa con le mafie”. Per vincere il referendum, è la tesi del 5S, ai cittadini andrà spiegato che “non è una guerra destra-sinistra, ma tra amici della Costituzione e nemici della Costituzione mascherati da amici”.
Applausi dai banchi M5S, Pd e Avs. Un coro di “buuuu” da destra, con Gasparri e Licia Ronzulli che interrompono più volte il senatore. Si sente Ignazio La Russa, con il microfono acceso, dire: “Ce l’abbiamo fatta”. E aggiunge sornione, guardando l’aula: “Non c’è il campo largo”, probabilmente con riferimento al mancato applauso di Iv. In memoria di Silvio (salutannua, ndr).









