“Siamo tutti figli di Padre Fedele”. Al Crocifisso della Riforma come negli anni Ottanta: gli ultrà, gli ultimi e il “suo” Cosenza Calcio

Sembrava di essere tornati improvvisamente negli anni Ottanta e Novanta. Gli stessi protagonisti della storia di Cosenza di quegli anni si ritrovano inevitabilmente al Crocifisso della Riforma per rendere omaggio a Padre Fedele che non c’è più.

“Siamo tutti figli di Padre Fedele” si legge sullo striscione degli Anni Ottanta ed è la sintesi perfetta. Chi più, chi meno ma tutti abbiamo voluto bene al Monaco come un padre. Quelli della generazione degli anni Sessanta anche e soprattutto per motivi anagrafici, ma anche quelli che sono venuti dopo l’hanno vissuto forse ancora più intensamente: per loro Padre Fedele è stato anche un nonno perché padre di tutti quei figli.

“Tra ultimi e ultrà il tuo esempio vivrà nell’eternità” è lo striscione della Curva Sud e il pensiero è volato agli ultimi che per tanto tempo sono stati la famiglia di Padre Fedele: Totonno ‘u squalo, Nunziatina, Mastru Speditu, Miliuzzo a biella, u Generale non ci sono più ma erano idealmente presenti come Osvaldo e Francesca, che invece ci sono, quasi a rappresentarli idealmente tutti.

Il piazzale esterno al Crocifisso della Riforma è diviso a spicchi quasi come una curva e negli spazi ci sono i gruppi di ultrà che hanno tenuto alti i colori del Cosenza in decenni di storia. Gli Sconvolti, la Nuova Guardia, i Boys, i Supporters, Cosenza Vecchia, Via Popilia Ghetto Ribelle, le Brigate, gli Alkool Group, Amantea: non mancava nessuno al richiamo del Monaco. Per un attimo si poteva pensare di essere in uno dei tanti treni speciali che abbiamo preso per andare appresso alla nostra fede e alla nostra passione.

Cenzino Speziale è tra gli ultrà che più a lungo sono stati vicini a Padre Fedele in tutte le sue “imprese”. Per un attimo sembra di rivederlo ragazzino strafottente mentre manda messaggi d’amore ai rivali del Catanzaro dal telefono delle Missioni Estere Cappuccine. O aiuto chef sbuffante nella Mensa dei Poveri di corso Mazzini e al ristorante di Piero Romeo, ‘U Pipariaddru. Persino arbitro o guardalinee, si capisce. E rappresenta anche lui quella generazione di ragazzi oggi sessantenni o giù di lì che sono cresciuti e diventati uomini insieme a quel frate vestito di bianco piombato all’improvviso in Curva Sud nel 1983.

U Cusenza. E certo, u Cusenza è sempre u Cusenza. Ma quello vero, non quello di oggi che non rappresenta nessuno. Paolo Fabiano Pagliuso è tra i primi ad arrivare e saluta tutti con cordialità ricordando anche lui il suo rapporto speciale col Monaco. Gli fanno corona alcuni dei suoi ragazzi: Ugo Napolitano, Gigi De Rosa, Alberto Urban, Franco Florio solo per citare quelli che abbiamo visto. L’accoglienza al Cosenza attuale, che ha mandato il direttore sportivo, l’allenatore e qualche ragazzo, gliela riserva Sergio Canaletta Crocco, che non risparmia improperi agli ambasciatori di Guarascio. Quannu ci vo ci vo. 

In tanti non entrano nemmeno in chiesa, nauseati dal trattamento che la diocesi di Cosenza e l’Ordine dei Cappuccini hanno riservato a Padre Fedele, nessuno o quasi ascolta l’omelia del padre provinciale Giovanni Loria. Finalmente esce la bara, che è umile quanto lo è stato il Monaco: una bara da ultimi. Dagli altoparlanti del Crocifisso risuonano le note di “Magico Cosenza”, l’inno storico del Cosenza Calcio. Lo cantano tutti i gruppi ultrà, davanti ai quali si sistemano i Cappuccini ma soprattutto Teresa Boero, la collaboratrice storica di Padre Fedele, che gli è rimasta a fianco fino all’ultimo respiro. Poi parte la fatidica “Maracanà” lanciata da Canaletta. Il funerale religioso finisce qui. Allo stadio l’ultimo atto, il funerale ultrà, con gli elogi funebri di Claudio Dionesalvi e Sergio Crocco. Di seguito, quello di Claudio.

Monaco, con te dobbiamo usare il tu come se ci fossi, pure quelli che non ci credono, davanti a te, perché ce lo hai insegnato, dobbiamo guardare al cielo. Ci hai insegnato che questa è una delle nostre case, forse la casa principale che abbiamo. Tu, case ne hai avute tante, in tutto il mondo. E c’è stato un momento in cui, per avere una casa, sei andato a dormire sotto i ponti.

Qualcuno ha detto e ha scritto: <Beati i perseguitati per causa della giustizia>>. Tu come tutti noi che siamo ultrà, sei stato pure un perseguitato.

Da uomo di fede hai avuto una fede incrollabile, da missionario sei stato impetuoso e ci hai spiegato che l’Africa è dentro di noi, che l’Africa è intorno a noi e che andare in Africa significa avere uno stile di vita, un modo di stare al mondo.

Da ultrà sei stato un esempio. Senza di te molte e molti di noi non si sarebbero conosciuti e non avrebbero conosciuto il mondo. Da ultrà sei stato un Francesco di nome e di fatto, una Madonna che ci ha protetto.

E com’è stato difficile per la maggior parte di noi, ad un certo punto, doverti proteggere. Tu che per noi eri una colonna, ci hai chiesto sostegno. Per noi è stato un orgoglio, Monaco! Per noi è stato un onore dire che sei stato una delle persone più belle che abbiano vissuto in questa città e in quest’angolo di mondo.

Nell’ultima lettera che ci hai lasciato, due cose ci hai detto e quelle non le dimenticheremo mai: ci hai detto che dobbiamo perdonare tutti, Monaco; e noi, per rispetto a quello che ci hai detto, ieri abbiamo abbracciato tutti, anche quelli che ti hanno cacciato da casa tua. Ci hai detto pure che non dobbiamo dimenticare, e noi non dimentichiamo, Monaco.

E tu rimani qua: in queste pietre, in questo manto erboso, in questo luogo dove ad un certo punto eri sparito e ti abbiamo trovato sul riflettore. Non sappiamo, non lo sapremo mai come cazzo hai fatto a salire là sopra.

Noi ti portiamo con noi, Monaco. Con noi rimangono, com’è stato per Salvatore, per i nostri fratelli e le nostre sorelle che ti chiediamo di salutare, per i nostri genitori e tutti quelli che in questo momento non sono con noi, ma sono con te.

Siamo sicuri che appena sei arrivato là sopra, hai cominciato a rompere i coglioni e ti volevano rimandare indietro, e siamo sicuri che tu gli hai detto: <<No, un’altra volta no! Preferisco stare qua che forse posso essere più d’aiuto>>. Chissà quante altre volte nei prossimi anni, alzeremo gli occhi al cielo e ti chiederemo aiuto.

Tu però rimani con noi. Con noi rimangono i tuoi sandali, il tuo saio, la tua sciarpa. Ciao Monaco