Sigilli al “Due Mari”, la difesa di Perri nel 2016: “Uno dei miei accusatori risentito perché estromesso da forniture”

“Uno dei miei accusatori ha motivi di vendetta nei miei riguardi poiché tempo addietro, ho escluso la sua azienda dall’elenco dei nostri fornitori. Non sono stato io in prima persona ma la mia struttura alimentare che giudica le aziende che possono o meno lavorare con noi. Fu estromesso perché erogò delle forniture di gran lunga superiore a quelle ordinate e alterò anche dei prodotti che ci aveva venduto. Per cui abbiamo deciso che non potevamo associare a lui la nostra azienda. Questo potrebbe essere un motivo di vendetta”. Lo aveva dichiarato nel corso del programma KlausCondicio, l’imprenditore Franco Perri, ex amministratore del centro commerciale “Due Mari” dell’omonimo Gruppo Perri, nel marzo 2016, all’indomani del primo sequestro del centro commerciale nell’ambito dell’operazione “Nettuno”.

“Non ho mai incontrato i tre soggetti che mi accusano, non so se siano alti, bassi, grassi e magri. Giuseppe Giampà, Angelo Torcasio e Costantino Battista non possono in nessun modo asserire di avermi mai conosciuto”.
“La chiave di volta é Angelo Torcasio (appartenente al clan Giampà e ora collaboratore di giustizia, ndr). I miei legali hanno già dimostrato che ben 4 delle accuse mosse da lui sono false e come tali già accertate dal riesame. Chiediamo alla procura di chiarire il perché di queste sue affermazioni”.

E rispondendo alle accuse secondo cui aveva ordinato di gambizzare il fratello, così continuava: “Bisognerebbe andare a vedere che rapporti ci sono tra mio fratello e questa gente. Non ho mai ordinato di gambizzarlo. Mio fratello è stato in passato socio delle mie società e per buona parte dei suoi crediti è stato liquidato”.

“Questa notizia non so da dove sia uscita – aggiungeva l’ex amministratore del centro commerciale “Due Mari”-. Mio fratello è andato via dall’azienda perché non riusciva a gestirla, è uscito nel 2011 e si è sempre ripromesso di farci chiudere. Può darsi che tutto nasca da lì”.

“La mia azienda ha oltre 700 dipendenti con un fatturato di 150 milioni di euro. In effetti ho un collaboratore che è il cognato di Vincenzo Iannazzo ma sono venuto a conoscenza della sua appartenenza all’omonimo clan solo successivamente. Si tratta di un collaboratore esterno con un lungo curriculum alle spalle, tra cui la Standa. Nel 2011 mi chiese se potevo assumere la cognata. Siccome dovevamo procedere all’assunzione di 48 dipendenti perché c’era un concorso della Regione Calabria dissi che se aveva i requisiti si poteva procedere”.

“Ho 700 dipendenti magari c’è qualcun altro che è parente senza che io lo sappia. Questo non fa di me un colluso. Chiunque nella mia condizione si sarebbe pentito di averlo fatto” aggiungeva Perri.

“La Carrefour continua la sua collaborazione con il gruppo Perri nonostante le accuse di associazione mafiosa. Hanno applicato la legge e la logica che deve guidare le imprese. Le aziende Perri hanno fatto guadagnare molto al gruppo e viceversa. In questa logica, visto che l’impianto accusatorio si è progressivamente sgretolato dal momento del mio arresto, credo che Carrefour abbia fatto la scelta giusta… Non ho mai pagato il pizzo a mafiosi e nessuno si è mai presentato. Può darsi che il prezzo che abbiamo pagato sia la terribile perdita di mio padre. E’ probabile che il conto sia quello. Abbiamo sempre denunciato”.