di Daniela Zeko
Fonte: Collettiva
C’è un grande vuoto nell’informazione italiana, un silenzio assordante che circonda i cinque referendum abrogativi in programma per l’8 e 9 giugno 2025. Sono quesiti che toccano temi fondamentali: il lavoro, i diritti, la cittadinanza. Eppure, i telegiornali, le trasmissioni di approfondimento, i talk politici – perfino il servizio pubblico – li ignorano quasi del tutto. La Rai, in particolare, è finita al centro delle critiche per una copertura praticamente inesistente. I promotori parlano di vera e propria censura.
I quesiti referendari sono promossi in gran parte dalla Cgil e riguardano l’abolizione delle norme sui licenziamenti illegittimi introdotte dal Jobs Act, l’eliminazione del tetto agli indennizzi per chi lavora nelle piccole imprese, la reintroduzione delle causali nei contratti a termine, la responsabilità del committente negli appalti in caso di incidenti sul lavoro, e infine un cambiamento rilevante sulla cittadinanza, per ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza richiesto. Si tratta di temi che riguardano la vita concreta di milioni di persone e che proprio per questo meriterebbero attenzione, confronto, dibattito.
E invece nulla. A denunciare per prima il blackout informativo è stata la Cgil, che ha parlato apertamente di “boicottaggio del referendum” e ha avviato una serie di presìdi davanti alle sedi Rai in tutta Italia. A Roma, Bologna, Torino, Napoli e altre città, manifestanti hanno chiesto alla tv pubblica di “rompere il silenzio” e di garantire almeno il minimo sindacale di informazione su una consultazione che, come prevede la Costituzione, è uno degli strumenti fondamentali della partecipazione democratica.
Il problema non è solo l’assenza di contenuti nei palinsesti. Ciò che rende la situazione ancora più grave, secondo i promotori, è che molte persone non sanno nemmeno che si voterà. L’obiettivo è far fallire il quorum, cioè non raggiungere il 50% più uno dei votanti, in modo da rendere nulli i referendum. È questo che denuncia anche il costituzionalista Michele Ainis, secondo cui si sta creando “una distorsione democratica” gravissima: se non se ne parla, il popolo non decide.
Si arriva così a un paradosso. In un Paese in cui ci si lamenta spesso dell’apatia civica, dell’astensionismo, della distanza tra cittadini e politica, quando finalmente si offre alla popolazione la possibilità di decidere su questioni concrete, i canali che dovrebbero informare restano muti. Ma il silenzio non è neutro: è un silenzio che favorisce chi vuole l’astensione, chi teme il giudizio popolare, chi pensa che meno si sappia, meglio è.