Sistema Catanzaro. Il giudice Valea, l’avvocato Staiano e il gruppo Perri: come si compra una sentenza

Era il 17 dicembre 2020 quando Giovanni Tizian descriveva con dovizia di particolari come il gruppo imprenditoriale Perri di Lamezia Terme (i proprietari del centro commerciale Due Mari tanto per intenderci) era riuscito a “comprare” una sentenza di dissequestro dei beni dal famigerato giudice Giuseppe Valea attraverso i buoni uffici dell’altrettanto famigerato avvocato catanzarese Salvatore Staiano (l’avvocato di Pittelli tanto per capirci). A distanza di poco più di un anno la Dda di Catanzaro ha (ri)sequestrato tutto l’impero dei Perri e stavolta alla prossima udienza del Riesame Valea non ci sarà e la sensazione di questi giorni è che non basteranno più le mazzette di Perri e Staiano. Per ricapitolare i fatti, ripubblichiamo uno stralcio di quell’articolo di Tizian. La seconda parte è dedicata ad un altro campione delle “mazzette”, il cosentino Pietro Citrigno. Ma quella è un’altra storia… 

di Giovanni Tizian

Fonte: Domani 

Diecimila euro che passano di mano con una mossa rapida, dentro un ascensore, al riparo da occhi indiscreti e da eventuali telecamere. I protagonisti di questa storia non sono gangster di strada, ma colletti bianchi corrotti. Dentro l’ascensore ci sono un giudice, un commercialista e un medico in pensione. Il loro arresto ha travolto l’amministrazione della giustizia calabrese. Il trio, però, come raccontano i testimoni, è solo l’apice di un sistema.

“Una congrega nella massoneria che incorporava avvocati, medici e qualche giudice, racconta un boss della ‘ndrangheta pentito che ha pagato per essere scarcerato. Un mercato delle sentenze e degli incarichi, svelano avvocati e commercialisti nei verbali inediti che “Domani” è in grado di rivelare. Un sistema che si basa su un doppio binario: sul primo corrono le trattative per le sentenze, sul secondo l’accordo tra i legali di indagati o imputati, anche sospettati di mafia, giudici e professionisti che ottengono perizie sui beni sequestrati sulla base delle leggi anti cosche.

Un meccanismo corruttivo ricostruito nell’inchiesta della procura di Salerno diretta da Giuseppe Borrelli che ha portato prima all’arresto e poi alla condanna in primo grado di Marco Petrini, ex presidente della seconda sezione della Corte d’appello di Catanzaro, e a capo della commissione tributaria del circondario. L’accusa del procuratore aggiunto Luca Masini, che lo ha portato a processo, era di corruzione in atti giudiziari. L’inchiesta era stata ribattezzata dalla Guardia di finanza con il nome “Genesi”. Dalla storia di Petrini che incassava mazzette e aggiustava sentenze anche dei personaggi legati alle famiglie della ‘ndrangheta locale sono nati diversi filoni di indagine, tutti ancora in corso. Rivoli confluiti tutti a Salerno dove c’è la procura che si occupa dei procedimenti penali e delle segnalazioni sulle toghe degli uffici giudiziari di Catanzaro. Il caso Petrini è per l’appunto la genesi, l’inizio, l’argine visibile di un fiume sotterraneo fatto di favori, amicizie, clientele, e corruzioni tra avvocati, giudici e commercialisti. Da quanto risulta sarebbero almeno cinque i fascicoli di indagini aperti frutto di due diverse inchieste: quella che ha scoperto il giro di corruzione gestito da Petrini e l’altra che ha portato a centinaia di arresti su mafia e politica. Alla procura di Salerno il compito di ricostruire “il sistema”.

I PROTAGONISTI 

Alcuni protagonisti coinvolti nel filone Petrini, hanno deciso di parlare. E rivolgono accuse pesanti nei confronti di alcuni giudici calabresi che ricoprono ruoli cruciali: parliamo di giudici della Corte d’appello e di presidenti di sezione del Tribunale di Catanzaro. Il distretto giudiziario del capoluogo di regione è il più esteso per numeri, territori e competenze. Tra questi c’è l’avvocato Francesco Saraco, accusato di aver pagato il giudice Petrini con l’obiettivo di salvare il padre da una dura condanna in secondo grado e ottenere la restituzione dei beni sequestrati dall’antimafia nell’inchiesta su una cosca della provincia di Catanzaro. Una mazzetta da 150mila euro divisa in più tranche per risolvere la questione familiare. Saraco è stato condannato a un anno e otto mesi. Ai magistrati ha ammesso di essere un corruttore ma allo stesso tempo si è anche definito vittima di un sistema gestito da avvocati, commercialisti e alcuni giudici di Catanzaro. Il sistema a monte che gli inquirenti stanno cercando di esplorare, partendo dalle dichiarazioni di Saraco, di Emilio Santoro, ex dirigente dell’Asp di Cosenza, e da fascicoli in passato archiviati che oggi assumono rilevanza alla luce delle ammissioni di alcuni protagonisti.

IL GIUDICE E L’AVVOCATO

Sia Santoro che Saraco hanno parlato di un importante giudice di Catanzaro e di un “potente” avvocato. Il primo è Giuseppe Valea, presidente del Tribunale del Riesame, l’ufficio cioé che ha il potere di scarcerare indagati colpiti da misure cautelari e di dissequestrare i beni. Il secondo, il “potente” legale è Salvatore Staiano, del foro di Catanzaro, a inizio anno rinviato a giudizio per una storiaccia di perizie fasulle per favorire un boss poi pentito della ‘ndrangheta. una coppia sulla quale si sono concentrati i magistrati di Salerno, soprattutto perché nei verbali dei protagonisti della vicenda Petrini, i loro nomi ricorrono spesso. “In particolare Staiano, stando a quanto riferitomi da Claudio Antonio Schiavone (il commercialista pure lui al centro del giro di corruzione con Petrini,  ndr), aveva ottimi rapporti con Giuseppe Valea, avendo anche ricevuto dallo stesso diversi incarichi… Sono a conoscenza che Staiano era stato difensore di Valea in un procedimento che aveva avuto a Salerno…”. Procedimento poi concluso con un’assoluzione, confermano fonti giudiziarie a “Domani”. L’avvocato Saraco, nell’interrogatorio di giugno scorso, ha precisato: “Nell’anno 2018 Schiavone mi riferì che, grazie a Staiano, aveva ricevuto incarichi da Valea. Si trattava di un’azienda in odore di ‘ndrangheta. Quest’azienda se non ricordo male si trovava a Lamezia Terme e si occupava di onoranze funebri.. Non so riferire se, in cambio delle nomine di Schiavone, Valea percepisse soldi o altra utilità”.

Saraco aggiunge anche nuovi dettagli su una sentenza del Riesame che ha stabilito il dissequestro dei beni del gruppo imprenditoriale Perri, noti imprenditori locali proprietari di centri commerciali, sospettati in passato di legami con i clan. Tra gli avvocati che hanno gestito il caso c’è Staiano, “in ottimi rapporti” con il presidente del  Tribunale del Riesame. Saraco ricostruisce nei dettagli la vicenda Perri anche sulla base delle confidenze ricevute dal commercialista Schiavone “nominato consulente” e di cui “i clienti conoscevano le sue importanti relazioni anche con magistrati”. Insomma, il solito giro, sostiene Saraco, che spiega: “Tornando alla vicenda Perri, Schiavone mi disse che l’avvocato era riuscito a corrompere il giudice… mi disse a chiare lettere che l’esito era stato favorevole in ragione dell’accordo corruttivo e che il Perri aveva pagato il giudice”. Qui non è chiaro se il riferimento è ancora a Valea o a qualche altra toga, forse di grado superiore, per esempio della Cassazione. Al momento su quei nomi c’è un omissis.

Una delle ultime sentenze firmate da Valea risale al 4 dicembre scorso. Il presidente del Riesame ha concesso i domiciliari per incompatibilità causa Covid 19 a Nicolino Gioffrè, fino ad allora detenuto a Napoli, condannato in primo grado a 13 anni per essere il referente di una potente cosca. Il difensore di Gioffrè è Staiano.

Pochi giorni prima aveva fatto discutere un’altra decisione di Valea che ha permesso di lasciare il carcere ad Antonio Pontoriero una settimana dopo la condanna in primo grado a 22 anni per l’omicidio di Soumalia Sacko, il bracciante ucciso a colpi di fucile il 2 giugno del 2018 nelle campagne della piana di Gioia Tauro. Pure Pontoriero si è affidato alla difesa di Staiano.

Dice il boss pentito Mantella, che ha confessato di aver pagato Staiano per una scarcerazione: “L’avvocato mi diceva che aveva bisogno di ungere… di ungere qualcosa”. Contattato da “Domani”, Staiano dice: “Non commento e laddove dovessi avere un danno da quello che sta accadendo, eserciterò ogni azione legale consentita”. Staiano però conferma di conoscere Schiavone da molti anni: “ha lavorato per me per tantissimi anni”…

Nella seconda parte dell’articolo si parla invece del noto boss della sanità privata Pierino Citrigno, al quale il presidente del Riesame Giuseppe Valea ha dissequestrato il suo impero da 100 milioni di euro. Ma di questo caso ci occuperemo a parte.