Storia del baccalà

vichinghi I migliori testimonials del merluzzo sono i Vichinghi, i grandi navigatori provenienti dal nord della Norvegia. Dalle loro parti, al largo delle isole Lofoten, di merluzzi ce n’erano a iosa: i Vichinghi li pescavano, e li facevano essiccare all’aria aperta. Ne veniva fuori un alimento perfetto per le loro esigenze: lo stoccafisso. Nutriente, leggero (poca acqua, poco peso) di lunga conservazione (perché disidratato, come le mummie).stoccafisso appeso

Per i loro interminabili viaggi per mare, verso la Groenlandia, l’America o vattelapesca, non c’era di meglio. Un bel giorno però i Vichinghi persero il monopolio della pesca del merluzzo.

Baleniere con arpione (James Bartley)Per colpa delle balene. Le popolazioni basche del Golfo di Guascogna (tra la Spagna settentrionale e la Francia) davano loro la caccia, e in effetti le cacciarono da lì: scappando verso nord, con i baschi alle calcagna, ben decisi a non perdersi quelle montagne di risorse alimentari, le balene si portarono nell’Atlantico settentrionale, fin nel mezzo dei Grand Banks: dei banchi di merluzzo così fitti, che per catturarli bastava affondarci dentro le mani. Una volta scoperti questi giacimenti di merluzzo, i baschi ci tornavano tutte le volte: ma per conservarlo, invece di esporlo all’aria (che in Spagna è meno fredda che in Norvegia!) all’uso dei Vichinghi, lo mettevano sotto sale: abitudine che avevano preso con le balene.

dissalare-baccalaNasceva così il baccalà. I vichinghi impararono dai baschi questo nuovo sistema di conservazione del merluzzo, e ne estesero l’impiego: oltre che come cibo, sulle loro navi il baccalà fungeva anche da barometro. Dopo averlo messo sotto sale, lo appendevano a bordo con delle corde. Quando il baccalà cominciava a gocciolare, voleva dire che era in arrivo una tempesta: la maggiore umidità dell’aria faceva infatti sciogliere il sale. Oggi i barometri saranno magari più sensibili, ma non sono commestibili come quelli di una volta. I Vichinghi portarono il baccalà in molte parti del mondo, ma solo quando finì in mano agli americani la b di baccalà si coniugò davvero con la b di business.cape-codpadri pellegrini

Nel 1620 i Pilgrim Fathers, i Padri Pellegrini, protestanti in fuga dall’Inghilterra, sbarcarono con la Mayflower su di un promontorio del nuovo mondo che aveva un nome profetico: Cape Cod. Che non vuol dire altro che “Capo Merluzzo”. Questo nome ci fa capire di quale pesce fossero pieni quei mari. Non capendo un’acca di agricoltura, i Padri Pellegrini si diedero alla pesca.

La cosa dovette funzionare, se già pochi decenni più tardi le navi degli “americani” partivano dal New England stivate e stipate di baccalà, dirette ai Caraibi, a Capo Verde e alle Canarie, con destinazione finale Portogallo. Il baccalà veniva scambiato con prodotti coloniali (zucchero, melassa, ecc.) e anche con schiavi, che venivano trasportati in America per lavorare nelle piantagioni. Arrivati là, gli schiavi venivano nutriti con la stessa moneta con cui erano stati comprati: il baccalà, appunto. Il desiderio degli Inglesi di inserirsi in questo lucroso commercio provocava continui scontri fra le navi di Sua Maestà Britannica e gli schooner, le veloci barche americane impiegate per la pesca del merluzzo, che per meglio difendersi si erano dotate di cannoni. La guerra del baccalà contribuì insomma a inasprire il clima già teso tra l’Inghilterra e la sua ex colonia d’oltremare, consolidando quell’ostilità che avrebbe condotto, nel 1776, alla dichiarazione d’indipendenza americana. Sulle banconote da un dollaro, oltre alla faccia di Lincoln dovrebbe perciò comparire un bel merluzzo, magari di profilo. Come quello tuttora presente nello stemma municipale di Boston. Se non una banconota, il baccalà meriterebbe per lo meno un francobollo commemorativo: nei secoli ha salvato la vita a tanta gente, che altrimenti sarebbe morta letteralmente di fame. Ancora nell’ottocento, la classe operaia inglese tirava avanti a forza di “fish and chips”, fish-chips-un binomio in cui il fish era (ed è ancora) il merluzzo, che si coniugava con le chips (patate) per il semplice fatto di essere cheap: economico.

Il mercato inglese assorbe 170.000 tonnellate di baccalà all’anno, ed è al primo posto nel mondo. Sarà per questo che gli inglesi, quando si tratta di baccalà, non si rivelano mai dolci di sale. Per citare soltanto degli episodi recenti, nel 1973 fregate e cannoniere inglesi ed islandesi si sono fronteggiate a muso duro – e a colpi d’artiglieria – per il controllo dei grossi banchi di merluzzo che si trovano nei mari tra i due paesi. Nel ’94 i britannici hanno accusato i pescherecci spagnoli di eccessiva intraprendenza nella pesca del merluzzo nelle acque irlandesi. Insomma, è dal 1600 che gli inglesi sul merluzzo tengono gli occhi aperti. Fanno bene: chi dorme non piglia chi piglia pesci. Ovviamente, parliamo dei pregiatissimi merluzzi.

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Il baccalà, dal mare alla tavola:

lavorazione merluzzo sulla barcaAppena pescato, il merluzzo che sta per diventare baccalà viene aperto a libro, gli viene estratta la lisca dorsale, e viene ficcato in un barile contenente sale a strati. Qui rimane per tre settimane. Poi viene messo in vendita. I merluzzi destinati a diventare baccalà vengono dal Labrador e da Terranova; sono il baccalà morbido, assai salato (detto salted fish), e quello molto secco (chip fish).

Per riconoscere un buon baccalà il fattore più importante è il sapore; elemento che non potetefiletti-di-baccala-tagliati-e-dissalati-780x520 indagare sul banco del pescivendolo. Impiegate allora l’olfatto (l’odore sia penetrante, ma di pesce), e aguzzate la vista: la lunghezza del baccalà dev’essere non inferiore ai 40 centimetri, e lo spessore non inferiore ai 3 nel punto centrale. La pelle badate che sia molto chiara, e la polpa traslucida, morbida ed elastica. Fate particolare attenzione al colore della polpa: non dev’essere giallastra, ma bianca. Non però bianchissima: ciò denuncerebbe un truffaldino trattamento sbiancante con la calce.

baccalà in acquaPortato il baccalà a casa, provvederete a dissalarlo. Mettetelo in acqua, o meglio ancora sotto un filo d’acqua corrente. Se è di buona qualità, e non è troppo vecchio, basteranno 18-24 ore. Per capire se lo potete togliere dall’ammollo, assaggiatene una scaglia: se è morbida, e ben dissalata, si tiri fuori il baccalà, e lo si strizzi delicatamente. A questo punto (vivaddio!) si può cucinarlo.

Tratto dal sito ufficiale www.baccala.it