di Santo Gioffrè
Ho letto l’espressione, come risposta ironica data dal Ministro degli Affari Esteri Tajani, al presidente della Campania De Luca che lo aveva apostrofato: “Guardando Tajani, con quella panza e quel vestito gessato, mi è venuto un senso di disgusto. Sembrava un baccalà che cercava di darsi un tono da statista”.
Al che Tajani ha risposo: “OMME ‘E PANZA OMME ‘E SOSTANZA”. Quell’espressione sa di una Meridionalità colorata, passionale, fatale, bellissima, tragica. Io mi sono cresciuto nelle terre selvagge, violentissime, terrificanti di Seminara, ma, anche, calpestate da un’Umanità povera, genuina, solidale, spontanea, maestra della mia formazione e ascoltavo spessissimo quell’espressione che era semantica e parafrasistica contemporaneamente.
Davanti al focolare o tra i sedili della grande, madre, Piazza del Paese, quante volte ho inteso, parlando di qualcuno, indicandolo: “chiju è omu i panza e di sustanza”… Quante volte! Intanto, nelle Regioni Meridionali, e in Calabria in particolare, storicamente, avere “panza” adipe addominale abbondante, era indice e garanzia che non si era prossimi a morire per fame ma, anche, era assicurazione futura e indicatore di un buon stato di salute. Insomma, la panza era un marcatore di selezione di classe.
Tutti i feudatari, nobili e i ricchi avevano ‘a panza. Tutti i contadini e gli altri, erano filiformi, “tenimi ca cadu”. Tutti i picciotti, prima, e gli ‘Nranghetisti, dopo, erano anch’essi ca panza, perchè, più di tutti, persino dei feudatari, padroni o ricchi, avevano, o attraverso la violenza o per rispetto, accesso alle migliori provviste alimentari, sia sottoforma di proteine, di grassi e di glucidi. A questo, con l’evoluzione del rapporto tra il feudatario e il campiere delle sue proprietà, col secondo che prende il sopravvento e la comparsa della picciotteria organizzata, incomincia a comparire il termine, oltre alla panza, “omu ‘i sustanza”.
Ecco, quando io mi crescevo, prima d’intraprendere altre vie sovversive e pericolosissime, in quelle magnifiche contrade dove ho vissuto tra grotte, caverne e buchi sottoterra, quante volte ho udito “chiju è omu i panza e i sustanza… “riferito a picciotto ‘ndranghetista, al signorotto o ad uomo politico di paese che stava sempre ai limiti dei contesti sociali e diveniva indistinguibile con certi atteggiamenti ‘ndranghetistici, pur mantenendo un non so che di stile… infetto. Quante volte! Allora, non vi era “omu i sustanza” che non fosse, pure, “omu i panza”. L’avere panza, significava avere, oltre l’adipe, la buona creanza, il saper destreggiarsi, la buona dialettica, il giusto e deciso comportamento, rapportato e modificabile col variare delle diverse situazioni che si affrontavano. A “Sustanza” era il Rispetto.
Quello che si acquisiva attraverso azioni violente, di terrore, intraprese e portate avanti all’interno di un contesto di dinamiche di ‘Ndrangheta, ma, anche, attraverso la tessitura di inter-relaziomi di scambi di favori e reciproche convenienze con soggetti e istituzioni dello Stato, bancarie, con gli Uffici pubblici, in grado di andare incontro alle esigenze dei soggetti che “all’omu di panza e di sustanza” si rivolgevano, il quale, a sua volta, procurando il favore, ne ricavava totale sudditanza e sottomissione, incominciando dal possesso del voto del soggetto sottomesso.
Ecco, dopo tanto tempo, risentire quest’espressione, mi ha fatto ritornare ragazzino davanti al grande fuoco che, d’inverno, tra gli uliveti giganti di Seminara, accendevano per ripararci del freddo, e si raccontavano fatti, mentre aspettavamo l’alba per andare a caccia di cinghiali e volpi per farne salsicce a Natale armi da caccia chissà da quali fabbriche tedesche provenienti. E già, a Seminara, dal 1943 al 1970, vi era la più alta concentrazione di armi leggere e qualcuna, pure pesante, che i Tedeschi, in fretta e furia, dovettero abbandonare attorno alle campagne del paese nell’agosto del 1943.









