di Vito Barresi
Come sempre in queste sequenze improvvise di un eterno terremoto italiano, c’è un luogo che già spicca negli annali e nelle cronache dei tremendi tremuoti d’Italia come simbolo delle rovine e del pianto.
E questa volta di certo sarà Amatrice, comune divelto da una stratigrafia senza prevenzione alcuna, poco più di duemilacinquecento abitanti, provincia di Rieti, nel Lazio, non lontano da Roma. Un borgo di nobilissima storia sabina che nel dialetto antico (ma perché no vera lingua ancestrale) è localmente chiamato L’Amatrìci.
A perimetrare il senso dell’ultima catastrofe, che poi descrive nei resoconti che pervengono dalla zona interessata alle repliche (aftershocks), la totale, piena, irrazionale insensibilità e disattenzione dei vari e sempre uguali governi di questo nostro Paese fragile e vulnerabile, sono i dati geografici di uno dei tantissimi ‘comuni polvere’ che compongono l’ossatura della dorsale appenninica, struttura portante della geologia italiana.
Parte dalla Comunità Montana del Velino, territorio di un prezioso giacimento gastronomico e del gusto universalmente conosciuto in ogni parte del mondo perché patria della famosissima Amatriciana, altrimenti detta in romanesco ‘Matriciana’, un sugo su pasta insieme regale e popolare che rende quel piatto speciale e inimitabile per il sapore e gli odori, la qualità e il profumo dei suoi principali ingredienti tra cui guanciale, formaggio pecorino e pomodoro.
E da qui, da questo amaro retrogusto che a mezzogiorno ogni italiano a tavola potrà avvertire ascoltando in radio, vedendo in tv, seguendo online il procedere tumultuoso dei soccorsi, si potrà comprendere quanto sia ormai divaricato, contraddittorio e distinto il sentimento più profondo e autentico del popolo italiano, che sembra in attesa biblica di un cambiamento politico forte, e le superficialità, le arroganze, le confusioni politicamente egoistiche ed egemoniche (altro sarebbe maggioritarie) del ceto di governo e dirigente che in questo momento, purtroppo, sta dalla parte del segretario generale del PD Matteo Renzi.
Un Presidente del Consiglio politicamente multicariche che in questi mesi è apparso esclusivamente interessato a quel che potrà succedere alle sue ambizioni e alla sua carriera se dovesse vincere il No a un Referendum che demolisce la Costituzione.
Inorgoglito della sua ormai matura e scaltra giovinezza, rafforzato da quell’apparente decisionismo che altro non è che il resto delle incredibili debolezze strategiche dei vari capi di stato dell’Unione Europea, tra cui spiccano i suoi due sponsor Hollande e Merkel, Renzi ha sbandierato fin qui il suo atlantismo codino e filo americano come l’emblema di un’Italia ad una dimensione che lui vorrebbe narrare in quanto vera ma che in realtà è solo una fiction descritta ad arte dai suoi interessati comunicatori pubblicitari.
Se proprio si vuole stare ai fatti, anche questo terremoto è la prova che la geopolitica in Italia è una scienza data in mano agli ignoranti per conto terzi.
Solo i ciechi e gli ottusi non vedono che il nostro problema strategico, prima ancora che la Libia, è il Molise, la Calabria, l’area vesuviana e quant’altro di dissestato e rischioso esiste in uno dei bacini leader del turismo mondiale.
Che il riscatto e la decadenza italiana sono sempre stati coincidenti con i grandi e immani cataclismi naturali lo sappiano dagli abbecedari della scuola elementare e dalla tavole di Walter Molino sulla Domenica del Corriere.
Da qui però, da questo passaggio la politica di destra-sinistra non ha alcuna intenzione di passare, né di sostare operativamente per salvare una Nazione complessivamente sbilanciata, starata, sregolata rispetto ai ritmi della modernizzazione interna e della globalizzazione esterna.
Uno stato in cui convivono grottescamente e tragicamente l’abbandono dei piccoli comuni, la desertificazione del mezzogiorno, la fine degli interventi di tutela e salvaguardia del territorio, l’ingigantirsi convulso dei poli metropolitani e delle grandi città e quanto di altro si potrebbe elencare a fronte di una totale mancanza politica che metta in capo la riorganizzazione del territorio unitario, per dare spessore e forza alla ripresa complessiva dell’economia e delle manifatture.
Siamo certi che rivedremo le solite liturgie. La faccia contrita del Presidente Mattarella, il solito Renzi che polemizza con i populisti e chiede di votare Si.
Noi, come ormai la maggioranza degli italiani, non ci stiamo più a questa permanente pantomima. Ci attiviamo come sempre ma in senso solidale. Perché il piatto dell’Amatriciana sia ancora più solare, vitale, locale e italiano. Comunque, anche nel momento tristissimo del cordoglio e della pietà.