La corruzione dilaga in tutta la Calabria ma quanto sta accadendo nei centri del Tirreno cosentino va oltre ogni previsione. Oggi è tempo di bilanci, perché è terminato il mandato del procuratore di Paola Pierpaolo Bruni, nominato dal Csm a capo della procura di Santa Maria Capua Vetere.
Da quando si è insediato a capo della procura di Paola, nel 2017, il magistrato Pierpaolo Bruni, proveniente dalla Dda di Catanzaro e quindi già molto informato sulla marea di reati che si commettono nelle pubbliche amministrazioni, ha portato a termine un numero impressionante di operazioni contro i sindaci di questo singolare Tirreno corrotto. Sono addirittura dieci le amministrazioni finite sotto inchiesta: Amantea (poi sciolta per mafia), Guardia Piemontese, Acquappesa, Aieta, Buonvicino, Fuscaldo, Maierà, Belvedere. Praia a Mare e poi anche San Nicola Arcella con gli arresti dell’ultima operazione Archimede contro la maladepurazione.
Ma Bruni ha anche arrestato il sindaco di Scalea Licursi per motivazioni riguardanti la sua professione e messo a segno l’operazione Re Nudo che ha portato all’arresto dell’ex sindaco scaleoto Mario Russo, in una inchiesta che ha coinvolto due fedelissimi del sindaco di Diamante, l’assessore Francesca Amoroso e il braccio destro del sindaco don Magorno, tale Franco Suriano. Mentre nell’ultima inchiesta è finito nella rete Pasqualino De Summa, ii monopolista della maladepurazione a Diamante e notoriamente scagnozzo dell’attuale sindaco.
Ma Bruni ha indagato per corruzione anche il consigliere regionale Giuseppe Aieta, che rappresenta a tutti gli effetti la città di Cetraro. Riepilogando: dieci amministrazioni direttamente coinvolte alle quali si aggiungono anche Diamante e Cetraro. Più che mai opportuno ricostruire il filo delle inchieste di Pierpaolo Bruni.
AMANTEA: LA RUPA, SOCIEVOLE E L’ASSESSORE PATI

In rigoroso ordine cronologico, Bruni ha “aggredito” il malaffare e la corruzione di Amantea con due operazioni. Nella prima ha perseguito il “solito” Franco La Rupa e il consigliere di maggioranza Socievole, nella seconda ha scoperchiato un altro pentolone di corruzione arrestando l’assessore Emma Pati e rivelando il malaffare di una serie di appalti che coinvolgevano addirittura il comandante dei vigili urbani Emilio Caruso e i suoi complici. Si trattava dell’operazione “Multiservizi”, che ha ridotto ancora di più ai minimi termini l’amministrazione guidata dal sindaco Mario Pizzino, espressione dello stesso La Rupa e della terribile Madame Fifì, rimasta ancora in sella ma “sputtanata” fino al midollo e additata un po’ da tutti come ricettacolo di corruzione. Fino allo scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune. Con la speranza che i cittadini di Amantea abbiano finalmente capito che non devono più votare questa gentaglia.
AIETA, BUONVICINO E IL “SISTEMA ARTEMISIA”
Bruni ha poi fatto luce sul “sistema” che coinvolgeva le amministrazioni dell’Alto Tirreno arrestando il sindaco di Aieta Gennaro Marsiglia e indagando quello di Buonvicino Ciriaco Biondi, impelagati fino al collo in un intreccio di affari illeciti all’interno dell’operazione “Appalto amico”. Il sindaco di Aieta, Gennaro Marsiglia, è stato arrestato, in particolare, con l’accusa di corruzione e turbativa d’asta. Sono stati arrestati anche Andrea Biondi, rappresentante di una cooperativa impegnata nella fornitura di servizi per l’ente comunale, e la moglie del sindaco di Aieta, Chiara Benvenuto, vicepresidente e dipendente di un’altra società cooperativa fornitrice, posta ai domiciliari. Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Paola ha condannato Marsiglia a quattro anni di reclusione nello scorso mese di dicembre. La sentenza ha avvalorato pienamente l’impianto accusatorio messo insieme dalla procura di Paola insieme alla Guardia di Finanza di Scalea su casi di corruzione e turbativa d’asta messi in atto da Marsiglia in concorso con la moglie, Chiara Benvenuto e con l’imprenditore Andrea Biondi.

Gennaro Marsiglia (responsabile del servizio amministrativo già dall’anno 2004 nel comune di Buonvicino) nello svolgimento delle sue funzioni pubbliche assegnava mediante affidamento diretto alla Cooperativa sociale di tipo b denominata “Artemisia” con sede in Buonvicino, lavori per servizi pubblici (servizio di raccolta RSU e differenziata/ingombranti) per un corrispettivo complessivo pari ad Euro 213,162,71 oltre Iva, senza ricorrere alla prescritta gara d’appalto a procedura aperta violando quanto sancito dall’art. 125 del Dg.Lgs 163/2006 che prevede l’obbligo delle gare d’appalto per opere e servizi per un importo superiore a Euro 200.000,00. Per la cronaca la rappresentante legale della Artemisia era Benvenuto Chiara, moglie del sindaco Gennaro Marsiglia. Con Marsiglia, ecco cadere nella rete l’ex sindaco di Buonvicino Giuseppe Greco (sindaco dal 2004 al 2014) l’assessore Marra Ciriaco, il vicesindaco Francesco Biondi, l’assessore Ernesto Astorino; l’attuale sindaco di Buonvicino Ciriaco Biondi e l’attuale vicesindaco De Lio Ciriaco.
GUARDIA PIEMONTESE E ACQUAPPESA: ALLOGGI POPOLARI E PUBBLICITA’ MAFIOSA
Poi è arrivato il turno del sindaco di Guardia Piemontese, Vincenzo Rocchetti, arrestato con le accuse di peculato, falsità materiale e ideologica, abuso d’ufficio e favoreggiamento personale in una vicenda di assegnazione indebita di alloggi di edilizia popolare confluita nell’operazione denominata “Domus”. In particolare il sindaco di Guardia Piemontese Vincenzo Rocchetti ed un funzionario di sua fiducia si sono resi responsabili, tra l’altro, di condotte di falso strumentali all’assegnazione indebita di alloggi popolari. Essi inoltre, attingevano a risorse pubbliche appostate alla voce di bilancio dell’Ente destinata a “Spese per opere pubbliche finanziate dalle concessioni edilizie” per pagare la bonifica di locali comunali che erano oggetto di intercettazioni ambientali disposte dalla Procura della Repubblica di Paola. Sì, perché Vincenzo Rocchetti (ancora sindaco), insieme all’ormai ex sindaco di Acquappesa Giorgio Maritato e ad assessori e funzionari dei due comuni, era stato indagato già in precedenza in un’altra ’inchiesta della Procura di Paola che aveva portato al sequestro preventivo di 12 maxi pannelli pubblicitari con contestuale notifica di avviso di garanzia. I reati ipotizzati sono turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, depistaggio, abuso d’ufficio, rifiuto di atti d’ufficio, falsità ideologica. Secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri di Guardia Piemontese e della Compagnia di Paola, la gestione del servizio pubblicitario sarebbe stata affidata in violazione del Codice degli appalti pubblici. In particolare sarebbero state favorite, con affidamenti diretti, società prive dei requisiti e riconducibili a soggetti pregiudicati e/o sorvegliati speciali legati alla cosca Muto. I comuni, inoltre, non percepivano canone e non avrebbero abbattuto i cartelloni nonostante un provvedimento dell’Anas.
Rocchetti, dunque, è indagato ed è attenzionato dalla procura, che lo intercetta. Lui se ne accorge e senza battere ciglio fa bonificare gli uffici dalle cimici, utilizzando risorse pubbliche appostate alla voce di bilancio dell’Ente destinata a “Spese per opere pubbliche finanziate dalle concessioni edilizie”. Evidentemente temeva le inchieste. Due indagini parallele quelle svolte dalla Finanza, dal comandante Paolo Marzano e dai carabinieri guidati da Antonio Villano. Entrambe portano la firma del sostituto procuratore Anna Chiara Fasano. E’ del tutto evidente che, nel corso delle indagini, non sarà sfuggita la contiguità di Agostino Iacovo al clan Muto, già affiorata nell’inchiesta Plinius. A questo punto, Iacovo è con le spalle al muro. Anche perché non gli sarà facile dimostrare la sua estraneità a certe logiche che nel territorio sono regole ferree fin dalla notte dei tempi. Ben difficilmente un “cane sciolto” avrebbe avuto la possibilità di movimentare affari – come ha fatto Iacovo – per oltre 3 milioni di euro senza colpo ferire e senza dare spiegazioni.
Iacovo agiva in tandem con il colosso della pubblicità calabrese Pubbliemme e le sue società scatole cinesi intervenivano in quei Comuni, tipo Cosenza, dove il patron Maduli, causa morosità, non poteva chiedere spazi. Ci sono regolari fatture che coinvolgono Publidei e che sono state pagate a Iacovo dall’organizzazione di Lucio Presta, nel periodo in cui aveva ufficializzato la sua candidatura a sindaco di Cosenza. E non è un mistero che la pianificazione pubblicitaria di quella campagna elettorale del Pd era stata affidata a Maduli e alla Pubbliemme.
FUSCALDO: AFFARI PER DEPURAZIONE E RIFIUTI

E non è finita qui. Successivamente, è esploso il gran casino di Fuscaldo con l’arresto del sindaco Gianfranco Ramundo, del suo vice Paolo Cavaliere, dell’assessore Fuscaldo e del mago “Merlino” che ha dato il nome all’operazione, vale a dire il dirigente Michele Fernandez, scomparso nei giorni scorsi. Avevano messo in piedi un sistema di appalti truccati che andavano sempre e comunque ad un gruppo di ditte amiche tra affidamenti diretti e gare tragicomiche nel settore della depurazione e dei rifiuti. Un giro vorticoso di denaro e favori.
MAIERA’: AFFARI IN FAMIGLIA
A Maierà, il procuratore Bruni ha beccato con le mani nella marmellata il sindaco Giacomo De Marco e suo figlio Gino con la recentissima operazione “Affari in famiglia”, che delinea un quadro indiziario particolarmente grave in ordine a condotte di bancarotta fraudolenta ed autoriciclaggio. Le attività investigative, concentrate sul fallimento di una società riconducibile al sindaco Giacomo De Marco, sono state condotte attraverso una meticolosa attività di analisi dei bilanci, della documentazione contabile e bancaria ed hanno fatto emergere numerose condotte dolosamente distrattive dei beni aziendali e finalizzate a danneggiare i creditori, tra cui l’Erario ed una società in house della Regione Calabria, la Fincalabra. La condotta che maggiormente descrive la gravità dei comportamenti fraudolenti posti in essere ha riguardato la sottoscrizione di un contratto di affitto di ramo d’azienda tra la società fallita ed un’altra società amministrata dal figlio del sindaco (ma, di fatto, amministrata da quest’ultimo) il cui scopo è stato quello di svuotare la società fallita in danno dei creditori. Il ramo d’azienda, locato per soli € 1.200 all’anno, comprendeva importanti voci del patrimonio sociale, comprese le attestazioni S.O.A. (necessarie per partecipare a gare d’appalto) ed ha consentito alla società del figlio del sindaco di aggiudicarsi numerosi appalti pubblici per importi prossimi a vari milioni di euro. Ed è stata proprio l’aggiudicazione di questi appalti ad aver aggravato il quadro accusatorio, costituendo, l’impiego in attività imprenditoriale di beni di origine illecita, un’ipotesi di autoriciclaggio.
CETRARO, AIETA INDAGATO PER CORRUZIONE
Bruni ha indagato per corruzione anche il consigliere regionale del centrosinistra Giuseppe Aieta, deus ex machina della città di Cetraro da anni, anche se ha perso le ultime amministrative. Su richiesta del procuratore e del sostituto Rossana Esposito, la Guardia di Finanza di Scalea ha eseguito un decreto di perquisizione lo scorso anno a febbraio a carico del consigliere regionale neo eletto nella lista dei Democratici Progressisti a sostegno di Pippo Callipo.
Aieta è stato interrogato per diverse ore dal procuratore Bruni. Secondo l’accusa, Aieta – che risponde anche dei reati articolo 81, 319, 319 bis e 321 codice penale – in un caso assieme ad alcuni dipendenti delle Terme Luigiane per la promessa di procacciare voti in suo favore si sarebbe impegnato per ottenere la proroga della sub concessione dello sfruttamento delle acque termali delle Terme Luigiane.
Assieme a lui risultano indagati anche Pino Capalbo sindaco di Acri; Emilio Morelli, marito di una consigliera comunale di Roggiano Gravina; il sindaco di Longobucco Giovanni Pirillo. A loro, per l’accusa, Aieta avrebbe promesso l’assunzione o la permanenza nella struttura regionale dopo la rielezione.
Più complesso il capitolo che riguarda il rapporto con Giuseppe Chiaradia, imprenditore nel settore della sanità, indagato anche lui. Aieta, in cambio di voti alle ultime regionali avrebbe promesso all’imprenditore l’accreditamento delle proprie strutture presso la Regione.
BELVEDERE: INDAGATO GRANATA, MASSONERIA DEVIATA E APPALTI
C’è poi il blitz della Finanza nel Comune di Belvedere Marittimo che ha portato all’emissione di un avviso di garanzia con l’accusa di corruzione nei confronti del sindaco Enrico Granata, di un consigliere di maggioranza e di due funzionari comunali, che portano a otto le amministrazioni del Tirreno finite nel mirino di una procura che lavora sodo e senza chiacchiere, ovvero quella di Paola. Ma soprattutto l’inchiesta su massoneria e appalti, che coinvolge anche due assessori della giunta Cascini, il sindaco succeduto a Granata. Si tratta di Vincenzo Cristofaro e Marco Liporace. E un altro uomo del Tirreno, che si chiama Luigi Cristofaro (non è parente di Vincenzo ma a quanto pare stanno nella stessa loggia), ingegnere di Scalea.
Massoneria e affari privati tramite appalti pubblici: sulla “via del Tirreno”, le forti scosse del terremoto giudiziario, all’inizio e in piena fase magmatica, si sono propagate dalla Procura di Paola fino in Basilicata. Anche lucani, sia sul fronte indagati che per il versante appalti, finiti nel mirino dell’inchiesta del Procuratore Pierpaolo Bruni e dei Pm Antonio Lepre e Maria Francesca Cerchiara. Allo stato attuale delle indagini, l’elenco degli indagati è costituito da 18 nominativi e le perquisizioni sono state eseguite tanto in Calabria quanto in Basilicata. Gli inquirenti calabresi ritengono di aver smascherato un’associazione a delinquere costituita da professionisti, quali ingegneri e architetti, «taluni dei quali anche facenti parte di una loggia massonica segreta», finalizzata alla spartizione di appalti pubblici.
IL «CARTELLO» E IL MODUS OPERANDI Tra Calabria e Basilicata, come da teorema accusatorio, ha operato «un vero e proprio “cartello” formato da due distinti gruppi professionisti che, attraverso la presentazione di offerte precedentemente concordate e-o la partecipazione fittizia alle gare per conto della organizzazione, hanno conseguito l’aggiudicazione di appalti, procedendo successivamente a suddividere al 50% gli importi liquidati dalle stazioni appaltanti a titolo di corrispettivo, anche tra i soggetti non aggiudicatari».
Indicato come figura apicale, e quindi vertice dell’associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di un programma criminoso avente lo scopo di commettere una serie indeterminata di reati contro la Pubblica Amministrazione, il «promotore e capo dell’associazione» Luigi Cristofaro. Cristofaro compare ufficialmente come professionista privato con incarichi di supporto al Rup presso i Comuni di San Nicola Arcella e Scalea. Proprio Cristofaro, insieme a Francesco Arcuri, nonchè a Donato Vincenzo Rosa, è per gli inquirenti calabresi il promotore di «una associazione segreta» che, in violazione della Costituzione e della legge Anselmi, «occultava la sua esistenza, tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali e rendendo sconosciuti in tutto e in parte i soci, così svolgendo attività diretta ad interferire sull’esercizio di Amministrazioni pubbliche e Enti pubblici con particolare, anche se non esclusivo, riguardo al versante tirrenico».
SCALEA, ARRESTATO LICURSI
Il sindaco di Scalea, Gennaro Licursi è stato arrestato da Bruni per questioni riguardanti la sua professione all’Asp.
Le indagini, protrattesi per alcuni mesi, hanno consentito di svelare un radicato e consolidato meccanismo di illiceità che ha consentito al sindaco di Scalea Gennaro Licursi – nella sua qualità di dipendente dell’A.S.P. di Cosenza – con la complicità di tre suoi colleghi, di assentarsi senza alcuna giustificazione dal luogo di lavoro. Infatti, lo stesso, una volta timbrato il “cartellino”, lasciava l’ufficio e si dedicava allo svolgimento di quotidiane attività di natura personale; sovente, il pubblico amministratore attestava falsamente di essersi recato in “missione” per conto dell’ufficio, occupandosi, anche in questo caso, di questioni non attinenti al servizio. In tal caso, le indagini hanno permesso di accertare, altresì, la complicità dei suoi colleghi, i quali, dipendenti presso diverse sedi dell’A.S.P. (Cosenza, Amantea, Scalea), attestavano che la missione si era svolta regolarmente, nonostante il sindaco non si fosse nemmeno mai recato presso le stesse. Le condotte criminose, accertate mediante l’installazione di telecamere all’interno degli uffici del Distretto Sanitario del Tirreno di Scalea, analisi dei tabulati telefonici e monitoraggio con sistema GPS, sono state ricostruite in maniera capillare, anche grazie ad un’accurata attività di pedinamento e sono state incrociate con i dati delle presenze giornaliere risultanti dalla macchina marcatempo.
Il quadro che ne è emerso – oltre 650 ore di “assenteismo” nel periodo oggetto di indagini – ha fatto rilevare la marcata disinvoltura con la quale gli indagati hanno agito e resa necessaria l’emanazione del provvedimento cautelare, oggi eseguito.
SCALEA. RE NUDO
Ma a Scalea Bruni ha messo a segno una grande inchiesta, denominata Re Nudo. L’arresto eccellente è quello di Mario Russo, medico dipendente dell’Asp di Cosenza e a lungo ex sindaco di Scalea, per due mandati consecutivi dal 2000 al 2010, sfiorato anche da inchieste antimafia in passato, esponente di spicco di Forza Italia e ampiamente chiacchierato.
I reati contestati, che si sarebbero consumati presso la commissione invalidi di Diamante, vanno, a vario titolo, dall’associazione a delinquere al falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e truffa aggravata, per il conseguimento di erogazioni pubbliche, concussione e corruzione commesse nell’ambito di attività relative al riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap, falso ideologico e corruzione nell’ambito relativo al riconoscimento rinnovo delle patenti di guida e requisiti per il porto d’armi. È stato disposto anche il sequestro preventivo su beni e conti correnti bancari. Gli elementi a carico degli indagati hanno preso il via dal 2016, le fonti di prova si riferiscono a intercettazioni telefoniche e ambientali, video riprese e attraverso banche dati. Una indagine che parte dalla conclusione dell’operazione “Plinius”, con lo scopo di verificare la fondatezza di alcune notizie di reato, per scambio elettorale politico mafioso e altri reati in materia elettorale.
E’ una storia di colletti bianchi, dunque. Arrestato nella sua qualità di presidente della Commissione per le invalidità civili che ha sede nella vicina Diamante -gioiello turistico della riviera cosentina, finita a sua volta al centro dell’inchiesta per almeno tre posizioni riconducibili direttamente all’amministrazione in carica- Mario Russo, classe ‘61, otorino-laringoiatra, dal 1991 dipendente e poi dirigente medico dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, impersona agli occhi dei locali il classico esempio di leader politico cresciuto a colpi di clientelismo spicciolo. Pronto a qualunque compromesso finalizzato ” (…) sia al proprio arricchimento illecito e sia a mantenere ed incrementare il pacchetto di voti che egli movimenta in occasione delle varie consultazioni elettorali, come da lui stesso affermato nel corso di alcune conversazioni captate (…)”, come scrive ancora il Gip Mesiti. Un cursus politico, il suo, degno della miglior parabola ascendente: da sempre attivissimo nella vita politico-amministrativa territoriale, primo cittadino nel decennio 2000-2010, leader della coalizione di centro-destra che si rifaceva alle posizioni dell’allora governatore della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti (2010-2014), e, soprattutto, a quelle della defunta presidente della Regione Jole Santelli (2020).

Poi, ancora, una straripante affermazione al consiglio provinciale (1999), un’elezione sfiorata al consiglio regionale nel 2010, bilanciata dalla nomina, nel giugno del 2011, nel consiglio di amministrazione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Regione Calabria, per la quale venne anche rinviato a giudizio, nel 2015, insieme all’allora presidente del Consiglio regionale. Ma è nel corso della sua lunga sindacatura che Russo pone le basi per quell’intreccio politico-clientelare sfociato, alla fine, proprio nella nuova inchiesta “Re Nudo”, che per gli inquirenti altro non sarebbe che la versione da “colletto bianco” delle ben più sconquassanti inchieste “Plinius” e “Plinius 2”: queste due, coordinate dalla Dda di Catanzaro, rasero al suolo un complicato intreccio politico-mafioso da tempo imperante nella città cosentina. Ecco spiegato perché, oggi, ad affiancare la procura paolana in questa nuova inchiesta siede un giovanissimo sostituto procuratore distrettuale, Romano Gallo, assegnato per il territorio costiero.
DIAMANTE, INDAGATI DUE FEDELISSIMI DI DON MAGORNO
Ci “azzuppavano” il pane tutti a Diamante sull’invalidità. Tutti i politici che contano e che bene o male stanno al potere da decenni rastrellando centinaia di voti ad ogni occasione. Non solo Mario Russo, capo assoluto della cosca, ma anche la Diamante Migliore con la Francesca Amoroso, assessore da 480 voti di dote deus ex machina della commissione per le invalidità civili in testa, seguita da Franco Suriano, braccio destro del sindaco senatore Don Magorno, e dallo stesso sindaco che sapeva tutto su quanto accadeva in quelle stanze del poliambulatorio di Diamante, avendo lì “sue spie”.
Dalle trascrizioni delle intercettazioni, che pazientemente stiamo leggendo, costituite da oltre mille pagine, si leggono cose da pazzi. Le registrazioni sono avvenute direttamente nella stanza della commissione che si riuniva per valutare le varie pratiche, quindi trattasi di prove inoppugnabili sul coinvolgimento dei vari membri della commissione. In una di queste, la Amoroso a tutti i costi vuole l’approvazione dell’invalidità di una sua “assistita” nonostante l’opposizione di un membro della stessa commissione, il dottore Biagio Bianco, il quale si preoccupa solo che si venga a sapere del suo diniego alla pratica piuttosto che dell’imbroglio che stavano facendo gli altri. Ma ce ne sono ancora altre.
MARE SPORCO E MALADEPURAZIONE. MISURE CAUTELARI PER SINDACO DI SAN NICOLA ARCELLA, DIPENDENTI PUBBLICI, IMPRENDITORI E TECNICO ARPACAL
Il sindaco di San Nicola Arcella Barbara Mele, 3 responsabili degli uffici tecnici di Comuni dell’Alto Tirreno Cosentino (Diamante, San Nicola Arcella e Buonvicino), vari imprenditori (Pasqualino De Summa e Maria Mandato su tutti) e un tecnico dell’Arpacal (Francesco Fullone) sono i destinatari di 10 misure cautelari richieste e ottenute dalla procura della Repubblica di Paola. Sono state emesse dal gip del Tribunale di Paola Rosa Maria Misiti e sono state eseguite dai carabinieri di Scalea.
L’indagine coordinata dal procuratore Pierpaolo Bruni ha ad oggetto una serie di illeciti riguardanti procedure ad evidenza pubblica nel settore della depurazione ed è stata denominata “Archimede”. Per quattro degli indagati sono stati disposti gli arresti domiciliari, mentre per il sindaco Barbara Mele è scattato l’obbligo di firma presso la polizia giudiziaria e per il resto degli indagati sono state disposte interdizioni dai pubblici uffici o a esercitare la professione.
“In particolare – si legge in un comunicato stampa -sono state ricostruite condotte collusive e fraudolente finalizzate ad avvantaggiare uno o più operatori economici con riguardo ad appalti e affidamento di servizi in diversi comuni dell’alto Tirreno Cosentino, anche in violazione dei criteri di rotazione nell’affidamento di lavori e aggirando il dovere di effettuare indagini di mercato.
“E’ emerso dalle indagini che gli imprenditori coinvolti avrebbero violato gli obblighi contrattuali assunti con comuni della fascia tirrenica con riguardo ad appalti afferenti la gestione e la manutenzione dell’impianto di depurazione e degli impianti di sollevamento e hanno smaltito fanghi di depurazione senza adeguato trattamento presso terreni agricoli anziché mediante conferimento in discarica autorizzata, talora anche attraverso lo sversamento del refluo fognario in un collettore occulto.
“In alcune circostanze sono state immesse nelle acque sostanze chimiche in assenza di un preciso dosaggio rapportato alle caratteristiche microbiche delle acque, con la finalità di occultare la carica batterica delle acque prima dei previsti controlli, la cui esecuzione veniva in anticipo e preventivamente comunicata al soggetto da controllare da parte di un tecnico dell’ARPACAL che, violando il segreto d’ufficio, avrebbe concordato direttamente con i gestori degli impianti di depurazione le modalità di esecuzione dei controlli, oltre che la scelta del serbatoio da verificare, così determinando una alterazione della genuinità delle analisi effettuate”.
Questo è il quadro generale delineato dalle inchieste di Bruni, che certamente è un magistrato radicato sul territorio e straordinariamente attivo, se si confronta il suo lavoro con quello, per esempio, della procura di Cosenza, porto delle nebbie per eccellenza della Calabria e dell’Italia intera.
Bruni però è stato fermato perché le sacche di malaffare e corruzione da eliminare sono ancora tante e avrebbero avuto bisogno dell’intervento della Dda su una serie di soggetti, che vantano “coperture” al momento insuperabili e legate a doppio filo al potere politico nelle procure.