Tortora, il depuratore-killer di San Sago rischia di riaprire: vi spieghiamo perché

di Saverio Di Giorno

Il depuratore-killer di San Sago di Tortora rischia di riaprire. Perché? Per questioni burocratiche e procedurali e con buona pace delle associazioni ambientaliste e dei cittadini che negli anni si sono battute per tenere alta l’attenzione.

Ad aprile 2021 una determina del dipartimento Ambiente ed Energia della Basilicata autorizzava la riapertura dell’impianto. Il comune di Tortora fa ricorso prima al TAR del Calabria (che però è incompetente in quel territorio) poi a quello della Basilicata, ma quando era troppo tardi.  Ora tocca al dipartimento Ambiente della Regione Calabria: se ci sarà l’ok la riapertura diventa realtà. L’impianto era stato sequestrato nel 2011 dalla Procura di Paola che si era messa ad indagare per inquinamento ambientale e di lì inizia una querelle giudiziaria.

L’impianto di San Sago non è solo pericoloso all’ambiente, ma come spesso accade è stato il simbolo di una gestione del potere che passava per commistioni, intrecci, amicizie. Una piccola vicenda, simile ad altre che ne abbiamo raccontate su più vasta scala, ma che alla luce degli avvenimenti recenti vale la pena rammentare.

Al centro di questa vicenda troviamo nel 2011 un maresciallo in servizio a Lagonegro, tale Carlomagno Giuseppe, che forte dei suoi rapporti con i proprietari “di fatto o di diritto” dell’impianto, scrivono gli investigatori, si opera per far assumere persone alle Recuperi Srl e Ecologica srl.  Aziende operanti negli impianti. Non solo, ma secondo un esposto, i gestori dell’impianto stipendiano il maresciallo per avere un appoggio e informazioni sull’indagine. In una serie di intercettazioni della Guardia di finanza che risalgono al periodo 2014/2015 è lo stesso Carlomagno che fa riferimento all’inquinamento quando in una conversazione concitata si dice sicuro che non ci siano elementi probanti, altrimenti ci sarebbero stati gli arresti “quando scaricavamo”. Parole che lasciano pochi spazi ai dubbi. Il Carlomagno in questa vicenda sembra emergere come figura centrale capace di mantenere tanto con la parte imprenditoriale, quanto pieno di amicizie con la procura, soprattutto con l’ormai ex procuratore Greco. I due, ad esempio, si muovono per procacciare voti o sempre Carlomagno (mai cognome fu più azzeccato per dipingere una persona), si interfaccia per lavori e altre questioni. Alcune propaggini di queste vicende sono ancora in corso.

Non è poi una novità che un impianto o un’opera che distrugge o inquina il territorio sia attraversata da relazioni e mercanteggiamenti altrettanto inquinati e torbidi. Non potrebbe essere altrimenti. Progetti sbagliati o in deroga a normative, appalti fuori regola, impianti e fabbriche contestate non potrebbero continuare ad esistere e operare impunemente se non avessero all’interno uno stuolo di personaggi (da uomini in divisa, a uomini togati, imprenditori e politici) che ne beneficiano e allo stesso tempo garantiscono. Non è forse in questo schema che rientrano l’aviosuperficie di Scalea, la Marlane, la discarica sempre a Scalea e via dicendo sulla costa?  È uno schema che ritroviamo da queste vicende locali a quelle transnazionali delle navi.

Episodi che hanno sfigurato e inquinato un territorio e le cui vittime (per tumori, intossicazioni ecc.) chiedono ancora chiarezza. La riapertura dell’impianto sarebbe una ferita che torna a riaprirsi e ad aggiungersi a queste altre che tutti hanno fretta di dimenticare frastornandosi invece di bandiere, giardinetti e luci e cotillon.