Unical 2012, l’ironia di Benigni: “Dopo di me e Berlusconi a chi darete la laurea, a Jugale?”

Era il 17 gennaio 2012 quando Roberto Benigni aveva ricevuto all’Università della Calabria la laurea honoris causa in Filologia Moderna (o «filmologia romanza» come lui stesso aveva ironizzato) da parte della facoltà di Lettere e Filosofia. All’epoca il rettore era Latorre e a svolgere un’appassionata laudatio per il neolaureato era stato il professore Nuccio Ordine, scomparso qualche giorno fa. Quella giornata ritorna di attualità perché la laurea a Benigni arrivava a 11 anni di distanza da quella conferita dalla facoltà di Ingegneria a Silvio Berlusconi e la circostanza è stata ricordata un po’ da tutti ieri in concomitanza con la scomparsa del Cavaliere e della ricostruzione del suo importante rapporto con la Calabria.

Ma vale la pena ricordare anche la giornata della laurea di Benigni, che non aveva mancato di ironizzare su Berlusconi, ma anche su se stesso, sempre alla sua maniera.

Benigni aveva fatto i suoi altissimi voli pindarici, come di consueto, abbracciando tutta la platea e piazzando qua e là qualche battuta al fulmicotone. La migliore del campionario l’aveva riservata proprio a Silvio Berlusconi, anche lui laureato ad honorem dell’Unical nel 1991: “Mi hanno detto che, dopo quella cerimonia, le agenzie di rating hanno tolto le tre “A” ad Arcavacata, che è diventata Arcavct… dopo di me e Berlusconi a chi darete la laurea, a Jugale, il mio personaggio calabrese preferito?”.

Come Benigni sapesse di Jugale è un mistero che si svela in pochi secondi: “Lucio Presta (il suo agente cosentino, ndr) mi riempie la testa di cose calabresi quando siamo in giro. Anche se è la mia prima laurea in Calabria (ne ha collezionate altre sei in giro per l’Italia, ndr) conosco bene questa regione e la amo. Infatti sto cercando casa ad Aria di Lupi…”.
Non restava che un omaggio culinario per completare l’opera: “Mi hanno tenuto dalle 5 alle 8 del mattino per sostenere trenta esami, perché qui non si regala niente a nessuno. Poi, per mantenermi in piedi, mi hanno nutrito con scaliddre, turdiddri e cuddruriaddri…”. La pronuncia era (comprensibilmente) quella che era, ma la platea aveva decisamente apprezzato il tutto.