Ustica, la lettera di Amato: «Nessun dietrofront, il mio è un bisogno di verità»

L’ex premier e presidente emerito della Corte Costituzionale Giuliano Amato non ha fatto dietrofront su Ustica. Lo dice lui stesso oggi in una lettera a Repubblica dopo l’intervista  di qualche giorno fa. La replica del Dottor Sottile arriva dopo la risposta a La Verità in cui Amato diceva di non avere elementi nuovi sulla tragedia del Dc9 Itavia e di aver parlato solo di ipotesi. Secondo Amato l’intervista di Simonetta Fiori «ha incontrato il mio bisogno di verità che a una certa età diventa più urgente, con il tempo davanti che si accorcia ogni giorno. Ne è scaturito un racconto storico che non aspirava a rivelare segreti sconosciuti, come è detto chiaramente nell’articolo», sostiene Amato.

Un paese a sovranità limitata

Ma era invece necessario «ad avvalorare una ricostruzione che è custodita in centinaia di pagine scritte dai giudici, nelle svariate perizie, anche nelle inchieste di giornalisti bravi come Andrea Purgatori, ma che si è dovuta arrestare davanti a più porte chiuse». E ancora: «Una ricostruzione che ho potuto fare mia e rilanciare grazie a una quarantennale esperienza dentro le istituzioni dello Stato, fin da1986 dalla parte dei famigliari delle vittime, come ha ribadito in questi giorni Daria Bonfietti, in una collaborazione stretta con i magistrati inquirenti, con la commissione Stragi e i migliori giornalisti di inchiesta. Non sono mancate quindi le sedi anche istituzionali in cui manifestare i dubbi verso le versioni ufficiali dei militari. In questi 43 anni la mia non è stata una presenza muta».

Il senso dell’appello, dice Amato, è «chi sa parli ora». Mentre riguardo Craxi e la decisione di avvertire Gheddafi del suo omicidio in programma ammette che forse la memoria lo ha ingannato. Ma insieme ribadisce «l’insofferenza di larga parte della classe politica, Craxi incluso, davanti alla ricerca della verità, contro i tentativi di depistaggio messi in atto da generali e ammiragli». Secondo Amato «nessuno aveva interesse a scoperchiare un segreto coperto dalla ragion di Stato o di Stati». Ovvero che «la tragedia di Ustica era stato un atto di guerra in tempo di pace in un paese a sovranità nazionale limitata».

La ragion di Stato

Poi l’autocritica: «Forse anche io, pur mosso dalla volontà di far luce, non ho avuto all’epoca la forza per impormi sulle forze ostili e reticenti? Può darsi. Ammetterlo fa parte di quel processo di verità oggi più che mai urgente». Infine, l’appello a Macron. La richiesta al presidente francese di approfondire la verità su Ustica nasce dalla constatazione che la tragedia del Dc9 risale al 1980. Macron all’epoca non aveva ancora compiuto tre anni. Anche per la sua totale estraneità politica ai fatti, e per la libertà che può derivargliene, Macron potrebbe aiutare a restituire giustizia a 81 vittime innocenti ancora senza colpevoli. Una straordinaria opportunità per rinsaldare il rapporto tra i due paesi».

Infine: «Con l’intervista ho voluto lanciare una sfida per arrivare alla verità su Ustica. Ora tocca a chi è in grado raccoglierla, sotto la spinta di una stampa non prigioniera del piccolo cabotaggio».