«C’è l’odore che arriva a due chilometri di distanza» e non si tratta di un problema «che si risolve con una tettoia». A parlare in questi termini dell’impianto di trattamento di rifiuti Eco Call di Vazzano sequestrato nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Vibo, e della circostanza che ci fosse materiale lasciato a “maturare” all’esterno, non erano i componenti di qualche battagliero comitato civico della zona, ma funzionari e tecnici della Regione e dell’Arpacal.
Sulle linee telefoniche della Cittadella nell’estate del 2021 si discuteva di un possibile aumento di quantitativi di rifiuti in ingresso, richiesto da Eco Call, fino a 1100 tonnellate alla settimana. Si trattava di rifiuti organici che arrivavano nell’entroterra vibonese da tutta la provincia e anche dal Reggino e che lì dovevano essere “lavorati” per diventare compost, ovvero fertilizzante, ma che invece sarebbero finiti su ettari di terreni agricoli pur essendo ancora, secondo le ipotesi della Procura, dei rifiuti veri e propri contenenti in alcuni casi vetro, plastiche e anche metalli pesanti.
I titolari dell’impianto, i fratelli Eugenio e Ortenzia Guarascio, hanno sostenuto davanti al Gip – che il 15 marzo 2024 aveva disposto nei loro confronti l’obbligo di dimora – che il compost in uscita fosse a norma, certificato come tale sia da controlli interni sia da controlli esterni.
Secondo gli inquirenti, diverse conversazioni intercettate nel corso delle indagini rappresentano, invece, la conferma che Eco Call non abbia rispettato quanto previsto dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) e che alla Regione ci fosse chi era conscio delle criticità dell’impianto.
Per esempio, nell’agosto di quell’anno, un funzionario Arpacal, Franco Dario Giuliano (indagato) chiedeva a un funzionario del Dipartimento Ambiente della Regione (non indagato) delucidazioni circa l’eventuale aumento a 1100 tonnellate settimanali. Giuliano sosteneva che non poteva esserci già stata un’autorizzazione perché la Regione non aveva ancora ricevuto la relazione dell’Arpacal e il suo interlocutore ribadiva che personalmente non aveva autorizzato nulla e che quando il suo direttore generale (all’epoca era Gianfranco Comito, indagato) gli aveva prospettato l’autorizzazione per le 1100 tonnellate settimanali, lui aveva rappresentato la possibilità di un aumento massimo del 20% oltre la soglia già autorizzata con l’Aia per complessive 720 tonnellate settimanali: “E questa mattina mi parlava di queste 1100 tonnellate il mio direttore generale, perché nonostante io gli abbia detto che sono 600 quelle ordinarie e che l’impianto è già in difficoltà con 450… E che gli ho detto “ci possiamo spingere, aumentando al massimo, dietro, dopo una… del venti per cento… Possiamo arrivare a 720. Quindi è già un valore altissimo… Lui mi parlava di 900, 1000… quindi non vorrei che lui già avesse detto di sì…”.
Insomma, c’era il rischio che l’aumento fosse stato già autorizzato dal direttore generale Comito poiché qualche giorno prima Ortenzia Guarascio era nel suo ufficio: “Niente di più facile – prosegue infatti il funzionario della Regione – che abbiano fatto già, perché ti premetto che la signora, la dottoressa era già lì venerdì e mi hanno chiamato”. Lo stesso funzionario poi aggiunge: “Io gliel’ho detto perché io un impianto del genere non lo avrei neanche autorizzato perché non ho mai visto la plottazione e la maturazione che avviene all’esterno in questo tipo di impianto. Io non l’ho mai vista, di solito avviene sempre al chiuso la maturazione, nelle camere a temperatura controllata. Quindi, siccome è la prima volta che la vedo ed è la prima volta che venivo nell’impianto, non va bene, ma non per via dell’azienda che lo gestisce ma per via della costruzione… per questo c’è l’odore che arriva a due chilometri di distanza…”. Fonte: Gazzetta del Sud