Via Popilia, cemento a volontà

Servizio fotografico di FABRIZIO LIUZZI

Prende il suo nome dalla via consolare romana che univa Capua con Reggio Calabria, ma nessuna testimonianza o simbolo contribuisce a restituire identità al luogo. Parliamo di via Popilia, uno dei quartieri più discussi della città, che ancora oggi pare soffrire di problematiche non di poco conto. Continue segnalazioni, reclami e denunce accentuano lo stato di degrado in cui versa il quartiere che conseguentemente influisce sul malessere dei suoi residenti.

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I secolari progetti di riqualificazione di via Popilia, negli anni, non hanno fatto altro che innescare un processo di espansione edilizia (soprattutto nelle vaste aree abbandonate che non avevano alcuna destinazione). I lavori hanno generato solo fenomeni speculativi, ma non si è riusciti a utilizzare organicamente gli spazi territoriali. L’ultimo gesto di Mancini, previsto dalla variante del Piano Regolatore, doveva essere un definitivo rilancio del quartiere, un recupero della sua dimensione urbana. Una sorta di sfida per fermare l’espandersi demografica verso la vicina Rende. Per via Popilia doveva essere il momento del superamento della sua condizione di criticità. Ma non è stato così e ancora oggi la situazione è drammatica.

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Lo spazio è totalmente consumato da un agglomerato di case, palazzi, edifici e continue costruzioni che si ammassano le une alle altre, in una area già congestionata, afflitta da problemi di traffico e di parcheggi. Nonostante l’evidente soffocamento del quartiere (ristretto nelle sue aree cedute a cantieri aperti perenni), l’espansione edilizia prosegue a ritmi serrati. Non solo questo angoscia i residenti della zona; anche se vi sono stati lavori di pulizia e decespugliamento effettuati dall’Amministrazione, si riscontrano innumerevoli disagi: la mancanza di marciapiedi, ruderi, sfascia carrozze parcheggiati permanentemente, balconi e palazzi comunali che cadono a pezzi, sporcizia e via dicendo. Eppure si procede con le costruzioni che completano l’originario disegno di junkspace (lo spazio spazzatura, secondo la definizione dell’architetto olandese Rem Koolhaas: un insieme di enormi scatoloni in cemento armato dove sono stipate migliaia di persone).

Appare, perciò, sempre più difficile credere che dopo decine di anni il quartiere possa testimoniare l’importanza del nome che gli è stato affidato.

Valentina Mollica