Vibo (e Catanzaro) come Gomorra: la cena a casa De Nisi per Mangialavori e Wanda Ferro

Vibo Valentia è la capitale indiscussa della massomafia calabrese ed è la dimostrazione plastica di come non ci sia nessuna differenza tra centrosinistra e centrodestra. Qui i politici sono veri e propri “boss” che accumulano migliaia e migliaia di preferenze con l’uno o con l’altro schieramento a seconda delle convenienze e delle “emergenze” come le chiamano loro. Parliamo di gentaglia come Giuseppe Mangialavori, alias Peppe ‘ndrina, il “capo” di Forza Italia, che appare in tutte le inchieste di Gratteri eppure è stato dentro la Commissione Antimafia per anni, della sua degna comare Wanda Ferro, di Tonino Daffinà, il capo della massoneria deviata grande “compare” e confidente di Robertino Occhiuto, di Brunello Censore, al servizio di tutta la “crema” dei clan, dei fratelli De Nisi, di Vito Pitaro e di tanti altri…

Vibo Valentia è al centro di ben cinque maxi inchieste condotte negli ultimi anni dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro: “Rimpiazzo” contro il clan dei Piscopisani, “Rinascita Scott” contro l’intera struttura di ‘ndrangheta del Vibonese, “Imponimento” contro gli Anello di Filadelfia, “Olimpo” contro tutti i clan “federati” del Vibonese sotto la guida dei Mancuso, dei La Rosa e degli Accorinti e adesso Maestrale-Carthago, dove si perseguono gli stessi clan e gli stessi colletti bianchi.

In ognuna di queste inchieste è venuto fuori l’allarmante grado di collusione dei cosiddetti “colletti bianchi” e le infiltrazioni delle cosche nel tessuto economico e negli enti locali. Un’area grigia formata da politici, imprenditori e professionisti a braccetto con i principali boss della malavita di Vibo e provincia. Intrecci svelati da un nutrito gruppo di collaboratori di giustizia che sembra destinato ad aumentare con lo sviluppo di altre inchieste che arriveranno nei prossimi mesi e dei processi che nel frattempo vanno avanti.

Le Politiche del 2018, tuttavia, sono state la cartina di tornasole del connubio tra ‘ndrangheta, massoneria e politica, con i successi decretati dalla massomafia di Wanda Ferro alla Camera e di Giuseppe Mangialavori al Senato. Oggi vi raccontiamo altre vicende borderline che fanno parte delle informative dei Ros che hanno lavorato per il procuratore Gratteri.

Una cena a casa di De Nisi

Per pianificare il sostegno elettorale al centrodestra era stata programmata una cena a casa di Francesco De Nisi, ex presidente della Provincia di Vibo in quota Partito democratico, ma che alle Regionali 2020 si era candidato con la Casa della Libertà e non era stato eletto malgrado una pioggia di preferenze ma che invece ce l’ha fatta alle ultime elezioni sotto le insegne di una delle formazioni politiche più repellenti del centromafia, “Coraggio Italia” e adesso vorrebbe anche darci lezioni di moralità…

Ma torniamo alla cena a casa del De Nisi, alla quale avrebbero dovuto partecipare, tra gli altri l’ex sottosegretario Domenico Romano Carratelli (nel frattempo deceduto), il primario ortopedico e big del Partito democratico vibonese Michele Soriano, la candidata Wanda Ferro.

Pietro Giamborino, il capro espiatorio di tutti i politici massomafiosi vibonesi, benché invitato, non ci va. Aveva già detto che al Senato avrebbe votato il Pd, mentre alla Camera  il centrodestra – e quindi Wanda Ferro – ma solo per far perdere il suo grande nemico ovvero Censore.

La “guerra” tra Giamborino e Censore si fa sempre più aspre ed è a questo punto che viene chiamato in causa Vito Pitaro. Più volte abbiamo avuto modo di descrivere l’incredibile percorso politico di questo soggetto, che partito da Rifondazione Comunista e passato per il Pd, adesso è approdato alla destra ed è stato eletto, con oltre 5mila preferenze, nel 2020, nella lista “Santelli Presidente”.

Giamborino attribuisce il peso elettorale crescente di Censore a Vibo città proprio al consigliere regionale del centrodestra. “… Censore bisogna «mandarlo a casa e fargli togliere le grinfie a lui ed a questa banda di delinquenti capeggiata da Pitaro, che ha costruito su Vibo Valentia, perché non è che uno deve dire “ah… ma Pitaro non è iscritto alla ’ndrangheta”, sì… ma Pitaro frequenta e non solo frequenta». E poi: «Battendo sto Censore… Che vuoi? Non è più parlamentare, non può andare in giro a minacciare la gente… Insomma. Perché la minacciano…».

Lo sanno tutti che Vito Pitaro, il consigliere regionale eletto nella lista “Santelli presidente”, è stato l’estensione di quel gran pezzo di malacarne che risponde al nome di Brunello Censore, impresentabile per il Pd ma non certo per il centrodestra, tanto è la stessa cosa…: noi abbiamo scritto che Vito Pitaro altri non era che Censore “travestito”… Ma Vito Pitaro è stato anche il principale alleato di Giuseppe Mangialavori nella scalata a palazzo “Luigi Razza” di Vibo nel cui Consiglio comunale sono maggioranza nella maggioranza. Pitaro non è indagato ma il suo nome (come quello di alcuni consiglieri comunali di Vibo) è comparso più volte nelle inchieste “Rinascita Scott” e “Rimpiazzo”. Hanno fatto scalpore, in particolare, le intercettazioni con Rosario Fiorillo, alias “Pulcino”, ritenuto dagli inquirenti al vertice del gruppo dei Piscopisani e descritto da alcuni collaboratori di giustizia come un killer sanguinario. Intrecci tra politica e ‘ndrangheta che promettono altri clamorosi sviluppi nei prossimi mesi ma che, nel frattempo, sono andati tragicomicamente a caratterizzare la “due giorni” vibonese della Commissione Antimafia dell’ottobre 2020 quando Nicola Morra è apparso con la sua inquietante sagoma a braccetto con Mangialavori e Ferro.

Giamborino e Censore non se le mandano a dire, a volte se le dicono anche in faccia e uno promette all’altro che lo “farà arrestare”. Giamborino, che evidentemente non si aspettava le manette a dicembre 2019, dice addirittura che ha rapporti importanti a Roma, ma che evidentemente non hanno funzionato al contrario delle coperture di Censore, che ormai nessuno vuole candidare ma che almeno gira ancora a piede libero e va chiedendo a questo e a quell’altro di candidargli il… figlio.

Più chiara, invece, un’ulteriore intercettazione, nella quale, in sostanza, traspare come per talune competizioni l’appoggio di certi “grandi elettori” sia determinante. Le critiche – sintetizza il Ros – sono rivolte prevalentemente a Vito Pitaro, «reo – è scritto nell’informativa – di frequentare soggetti “ad alto rischio”, addirittura facendosi vedere al ristorante con “personaggi di peso”». È lui il “grande elettore”.

Vito Pitaro, alla fine, non è stato ricandidato dal centrodestra ma ormai tutti sanno che è stato proprio lui il “grande elettore” mascherato malissimo del dottore Michele Comito, che non a caso è stato il candidato più votato della circoscrizione Centro. 

Ma torniamo alla “guerra” tra Giamborino e Censore. Un’avversione viscerale che prova a stemperare il “capo dei capi”, ovviamente Nicola Adamo da Cosenza alias Capu i Liuni e, nell’affannosa ricerca di una più ampia convergenza possibile sulla sua rielezione, anche Bruno Censore. Scrive il Ros: «A seguito di questa apertura di Censore, Giamborino manifesta a Nicola Adamo la sua volontà di fare un cambio di rotta e fornire un supporto allo stesso Censore. Di questa decisione – si legge ancora nell’informativa consegnata alla Dda di Catanzaro – però non si ha riscontro nelle captazioni acquisite nelle giornate successive».

Anzi, ci saranno ancora parole di fuoco, per una rivalità esacerbata da ciò che avvenne nelle primarie per la designazione del candidato sindaco di Vibo Valentia, nel 2015. Testuale: «Il prefetto è stato costretto a convocare un Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza… Io ho parlato, non è che non ho parlato! Gli ho detto che le primarie hanno avuto un contesto di “Gomorra” … gli dissi, gli dissi… gli volevo dire a Pitaro e compagnia “non sei tu della mafia, ma con questi ti accompagni!”. Tra l’altro io sapevo che lui ha in itinere, ha consumato adesso, sulla città, una campagna che tutta la “mafia vibonese” vota a lui… a Censore».

Per una migliore comprensione dei fatti: Giamborino doveva essere il candidato a sindaco del pd a Vibo Valentia ma Censore fece di tutto per fargli perdere le primarie a vantaggio del notaio Antonio Lo Schiavo (eletto consigliere regionale ma… con De Magistris! E già “piroettato” a tempi record col Gruppo misto), che però alla fine fu “sacrificato” per la vittoria dell’ex magistrato Elio Costa, altro soggetto sul quale ci sarebbero da scrivere romanzi… E anche Costa alla fine fu scaricato dalla massomafia perché diventato troppo ingombrante e sputtanato per lasciare spazio all’attuale sindaco Maria Limardo, sempre espressione del centrodestra sulla carta ma rappresentante di tutto il “sistema” corrotto nei fatti.

I giudizi sprezzanti di Pietro Giamborino verso Censore ma soprattutto verso Pitaro, sottolinea il Ros, trovano sovente d’accordo i suoi interlocutori, ma vengono espressi in termini analoghi anche dal factotum del superboss Luigi Mancuso e cugino dell’ex consigliere regionale indagato in “Rinascita Scott”, Giovanni Giamborino, che usa termini trancianti per rappresentarne la «spregiudicatezza» di Vito Pitaro nel mostrarsi con personaggi in odor di mafia. In cerca di riscontri sull’allora consigliere regionale di “Santelli Presidente”, il Ros attinge peraltro su Pitaro dalla banca dati delle forze di polizia che «restituisce diversi controlli con pregiudicati della zona».

Le ultime parole dell’informativa dei Ross per Rinascita Scott, sono ancora dedicate a Vito Pitaro e al suo ruolo nella Banca di Credito Cooperativo di Maierato. Parla Giovanni Giamborino: «Se tu pensi che a Piscopio, Vito Pitaroci sono cinquanta ragazzi che hanno il conto corrente, tutti con cinquemila euro di scoperto, con la carta di credito… Ragazzi che non l’hanno mai vista… Tutti lui! E, allora, per questo gli davano i voti, hai capito?».