E basta con: “lei non sa chi sono io”
di Rocco Tripodi
“Cu si pungi, nesci fora”, diceva mio nonno. Quale nervo scoperto avrò toccato all’immarcescibile, inarrivabile, megagalattico tridottore GianPiero Menniti. Ebbene sì:
3 lauree con voti talmente alti che toccano i bordi del suo libretto, giornalista, scrittore, manager, dirigente di imprese in ruoli apicali, amministratore unico, amministratore delegato, presidente del consiglio di amministrazione, ruoli nei quali, udite udite, “se non si è capaci di sporcarsi le mani (?), si torna a casa”. Basterebbe questa, neanche tanto, ambigua affermazione per chiuderla qui. Aggiungiamo soltanto, per completezza, che non ha fatto il lagunare nel battaglione San Marco, il sagrestano oblato nella chiesa dei Carmelitani smutandati, la controfigura di Marlon Brando e, per poco, neanche il Papa.
Sono moderatamente rattristato a vederlo, meschina creatura, in lacrime con in mano un mio commento scritto su di lui che mostra alla santa donna che sarà la madre, piena di grazia, ma anche di tanta pazienza, che pietosamente lo rassicura e lo ammansisce preparandogli un caldo infuso di scaglie di eternit in acqua dell’Alaco e promettendogli un succulento piatto di brasato alla cocacola, di cinghiale appena giustiziato, una delle tante ricette dei verdi ambientalisti contemporanei di cui lui ne è presidente provinciale.
Gioca alla cavallina con un unicorno, si fa male, si lamenta e sclera. E si rivolge a me sui social definendomi IDIOTA, e, un po’ anche per dare ad intendere che non è il primo cazzone che passa, non pesca nella letteratura russa, troppo facile, ma nella lingua dei Greci antichi, quindi “IDIOTA nel senso di cittadino privato che non pensa alla politica ma solo ai propri interessi personali”. Ho quindi libertà di confessargli che già da tempo avrei voluto rivolgermi a lui chiamandolo testadiculo dal francese moderno: testicule nel senso di.. sì dai è facile. Così entriamo meglio in confidenza. Devo, confessare che anche io, nel mio piccolo, l’anno in cui ho frequentato il quinto (si. Confermo che non so scriverlo in numero romano) ginnasio, sono stato eletto capoclasse a pieni voti. Ma, ad onor del vero, bisogna anche dire che quell’anno ci fu un solo alunno bocciato in quella classe: Io.
La parte centrale del suo articolo è uno sproloquio acido e astioso ed inizia ad accusarmi di essere un giornalista mai iscritto all’albo “per il tristemente noto giornale Iacchite’, con idee confuse, offrendo al ridotto pubblico che lo segue facezie per pettegoli da bar… La sua [mia per chi legge] evidente boria da pseudoletterato per cui seguirne un suo discorso è come ingurgitare un bicchiere di olio di ricino. Un fegatoso in età matura”. L’età matura ci sta tutta. Ed è a questo punto che inizia a sparare a raffica citazioni dotte con l’efficacia e la mira di uno sventurato coscritto, ma che a lui servono per ingozzare il suo ego ormai stressato. E giù altri sfoghi lamentevoli, con una pretesa accademica lezione su cos’è l’economia culturale, l’economia green, l’ambientalismo contemporaneo che vi risparmio. Se poi vi dovesse interessare, basta ascoltare l’arguto ministro Lollobrigida che degnamente lo rappresenta quando espone pubblicamente la sua stessa idea di salvaguardia ambientale. Poi osa ed estrae dal cilindro una frase monella e sibillina: “D’altra parte si è capito chi lo mandi”. I servizi deviati? I poteri forti? I cugini di campagna? BOH!
Certamente, oltre a lui, mi ci mandano…in tanti come lui. Tra questi i suoi due fari, gli ultimi Primi cittadini: Focularu e Ciminera che tanto lo stimano e tanto lui sa ricambiare al momento del “bisogno”.
Qualcosa di fastidioso la dice, quando definisce le mie fonti (i cittadini) “palloni gonfiati e mezze voci starnazzanti”. E anche lui azzarda delle critiche su ciò che non va in questa città: “Vorrei una efficace cura degli alberi (?); che via Salvemini (quella che lui vuole scocuzzare) diventi un polmone verde (costruendo muraglioni lunghi 20 metri). Gli alberi vetusti vanno abbattuti per fare posto ai giovani arbusti”. Un vecchio detto calabrese recita: CAVULU NOVU CHIANTALU, MA U VECCHIU NON SCIPPARI. Obiettera` che è superato come qualsiasi cosa vecchia. È inutile nasconderlo.
Questo risentimento trasformato in dottrina e pseudoscienza, nei confronti degli alberi maturi, che si porta probabilmente dall’infanzia, andrebbe indagato perché ci racconta manifestamente di un conflitto non risolto con la figura paterna.
Non ancora pago si vanta di non frequentare la società civile (tipico di un attivista ambientalista…’?’). In ultimo, fa il brillante, con una esortazione a non perderci di vista. Su questo non fatico a rassicurarlo. Io sto sempre in costante osservazione dei potenti e dei politici, di giannizzeri, sherpa e campieri di ogni partito, per cui stia tranquillo io ci sarò sempre. Continuerò a scrivere di lui perché è una risorsa, una manna. Ma risponderò a lui solo quando scrive pubblicamente sui giornali. Di lui, invece, scriverò quando mi pare. Io, ribadisco, non sono un giornalista. Scriverò idiozie, ma sono le mie idiozie delle quali rispondo io, perché non sono pagato da nessuno neanche con tre torroncini e un limoncello a Natale.
È lo stesso per lui?
L’ALBERO NON GIUDICA NESSUNO. È LÌ DRITTO NEL CIELO CON TUTTA LA SUA GENTILEZZA E MERAVIGLIA. IL SUO TRONCO RIPOSA E RASSERENA. I RAMI NON FANNO MAI POLEMICHE CON IL MONDO, OFFRONO SOLO OMBRA E COLORI. PERCHÉ L’UOMO CONTINUA A TAGLIARLI? (anonimo).