Vibo e Cosenza capitali dei “contratti pirata”: lavoro sfruttato, giovani in fuga e… Finanza che dorme!

La Calabria si vanta di “ripartire”, ma riparte sempre dallo stesso punto: quello dove si lavora tanto, si guadagna poco e si tiene la bocca chiusaVibo Valentia guida la classifica del dumping contrattuale (pratica di concorrenza sleale in cui un’azienda applica contratti collettivi nazionali (CCNL) stipulati da sindacati o associazioni datoriali non rappresentativi, al fine di ridurre i costi del lavoro attraverso condizioni economiche e normative inferiori rispetto a quelle dei contratti di categoria) nei pubblici esercizi, Cosenza la segue a ruota. Ma non è una gara: è un funerale dei diritti.
Il giochino è semplice: contratti pirata, sindacati fantasma, associazioni nate ieri, stipendi tagliati e diritti evaporati.
Stesso lavoro, paga più bassa. Tutto perfettamente “a norma”.
Il trucco non è l’illegalità: è la legalità corrotta.
CONTRATTI PIRATA: LA MAFIA SENZA PISTOLE
Non servono minacce e intimidazioni alla vecchia maniera. Basta un contratto “firmato” da sigle che non rappresentano nemmeno i parenti di chi l’ha creato.
> Cameriere a 750€ al mese.
> Barista senza ferie né riposi.
> Stagionale a 12 ore al giorno “con passione”.
E poi l’imprenditore piagnucola: “Eh, ma il turismo è sacrificio.”
Sì, sacrificio degli altri.
IL RICATTO DEL PASSAPAROLA: LA CONDANNA INVISIBILE
I giovani non denunciano non perché siano codardi, ma perché sanno come funziona il mercato del lavoro in città piccole e omertose come Cosenza:
> “Se fai vertenza, ti faccio terra bruciata. Nessuno ti assume più.”
Questo è il ricatto strutturale: o accetti il salario da fame o vieni cancellato.
Denunciare significa suicidarsi professionalmente.
E lo sfruttatore lo sa.
NON SOLO COMMERCIO: ANCHE LE ASSOCIAZIONI FANNO BUSINESS SPACCIATO PER “VOLONTARIATO”
La parte più disgustosa? Quando lo sfruttamento si maschera da solidarietà.
Associazioni, enti “no profit”, presunti volontariati che:
> prendono fondi pubblici,
> gestiscono servizi essenziali,
ma pagano manodopera con rimborsi spese, non stipendi.
Stesse tecniche dei ristoratori, ma con l’aggravante morale:
Ti sfruttiamo, ma in nome del bene comune.
È lavoro non retribuito dipinto come missione sociale.
E IL TOCCO FINALE: LE ISTITUZIONI CHE LEGITTIMANO TUTTO
Qui si passa dal marcio al criminale.
Molte di queste associazioni vengono avallate, finanziate e convenzionate da enti pubblici:
> Comuni che affidano servizi senza controllare i contratti
> Regioni che assegnano fondi a realtà che sfruttano
> Enti che usano volontari per sostituire lavoratori retribuiti
> Politici che si fanno la foto accanto agli schiavisti col logo del terzo settore
Lo Stato risparmia, l’associazione incassa, il lavoratore scompare.
Un affare perfetto. Per tutti tranne che per chi lavora.
LE IMPRESE PERBENE? SCHIACCIATE E FUORI MERCATO
Chi paga stipendi veri, chi fa contratti regolari, chi rispetta la legge non fallisce per sfortuna: fallisce perché compete con chi abbatte i costi sfruttando carne umana.
Qui essere onesti non conviene.
Ed è questo lo scandalo, non il nero sotto banco del barretto sul lungomare.
NON È MANCANZA DI LAVORO: È MANCANZA DI DIGNITÀ
Perché i giovani se ne vanno?
Semplice:
> Non scappano dal Sud perché manca lavoro.
Scappano perché qui il lavoro è pagato una miseria.
E quando fai lo stesso mestiere a Milano o a Berlino e prendi cinque volte di più, la patria lascia il posto alla sopravvivenza.
Non è fuga: è autodifesa.
CALABRIA, SVEGLIATI: STATE PREPARANDO IL FUTURO DEI VOSTRI FIGLI
La cosa più grave non sono gli sfruttatori.
È chi guarda e tace: istituzioni, Guardia di Finanza, Ispettorato del Lavoro, NAS, sindacati, associazioni di categoria, Camere di Commercio.
Tutti complici, perché l’immobilismo è complicità. E prima di nascondervi dietro il “non sapevamo”, pensateci bene:
> domani ad essere sfruttati saranno i vostri figli.
Chi oggi chiude un occhio sulle condizioni altrui domani piangerà quando toccherà al sangue del proprio sangue.
E allora l’appello è semplice: intervenite, senza favoritismi, senza amici da proteggere, senza guardare in faccia nessuno.
Perché uno Stato che tollera lo sfruttamento non governa: si arrende.
Cosenza quindi non è solo vittima di un sistema malato.
Ne è complice, manutentore e sponsor ufficiale.
Finché questa sarà la normalità, non parliamo di sviluppo.
Parliamo di schiavitù di provincia in doppiopetto istituzionale.
E ora finite i sto cacchio di cappuccino…  Il turno non è ancora finito!