Vibo e la sanità (pubblica) negata

di Rocco Tripodi 

Chi come me è ormai “strudutu” dagli anni, ricorderà  una vecchia barzelletta, struduta anche essa per quanto raccontata, che aveva come protagonisti un socialista e un democristiano (oggi sarebbero ben accompagnati).

Uno dei due sposta mazzette di banconote dicendo: questo a te, questo a me e – facendo una vrazzata (il gesto dell’ombrello) – questo all’ India. Questa scena, nella realtà, si ripropone nelle stanze dell’ente Regione dove l’allegro ROBERTINO (che presto vedremo segretario di Forza Italia, o più probabilmente galeotto modello in abituccio con righe orizzontali) maneggia e attribuisce disinvoltamente, assieme ai suoi brillanti suggeritori, i fondi che spettano alle 5 province, necessari alla gestione (sopravvivenza per alcune) delle strutture sanitarie.

Anche in questa ripartizione, Vibo si segnala per una spropositata sperequazione che la vede assegnataria di una quota (in milioni) punitiva, addirittura 1/5 rispetto alla provincia di Crotone che conta lo stesso numero di abitanti. Un tempo si sarebbe detto: VIBO FIGLIA DELLA SERVA. Non una ma ben 5 VRAZZATE. Nelle carte, beninteso ufficiali, che si premurano di leggere, o di far leggere ai loro fidi pennivendoli che si sanno accontentare di poche ghiande, espongono programmi di aperture di nuovi postiletto, ricoveri, reparti che torneranno operativi a Vibo a Soriano, a Serra, a Tropea, ma, accidentaccio, mancano tutti di copertura finanziaria. Stessa cosa per strutture già accreditate e poi lasciate “all’urma”.

Un bel risparmio di risorse deviate su province più “sodali” o con più piombo nelle palle. A Vibo chi dovrebbe vigilare perché si evitino alla fonte queste ruberie di regime sarebbe l’ESTABLISHIMENT Provinciale, un parolone per dire: una MANICA DI PIRLA che “‘nzamaddio” arrivi ad esporsi già per chiedere lo STRAORDINARIO, ma che si fa fottere persino il DOVUTO ORDINARIO che già di suo nasce RISICATO.

A quei bei tomi, faccia di tolla, in particolare medici, consiglieri regionali, ma anche a tutti gli altri politici medici e non, graduati e sottoposti, che dimostrano di essere accorti, sapienti ed intraprendenti imprenditori nei loro affari privati, in quale dirupo dell’Aspromonte latitano quando necessitano perché  dignitosamente, e se necessario energicamente,  sostengano i diritti negati di quei cittadini che mensilmente gli assicurano una paghetta, che per loro sarà anche briciole, ma che se ne guardano bene dal rinunciarci?

Non ultimi quelli accucciati sulle panche del consiglio comunale che questi temi non trattano perché parlano di pidocchi, cani randagi, cinghiali, gabbie, selettori, schiamazzi notturni, cose che un agente municipale anziano e “svertu” potrebbe risolvere in una settimana, e magari, se presente durante le commissioni o il consiglio, potrebbe “selezionare”, non i cinghiali, ma il prossimo sconzato di cervello che va lì a prendere a mascate i consiglieri.

Sono convinto che non è sufficiente coinvolgere Prefettura, ancor meno la Protezione civile. Io partirei da chi di questo sistema MALATO ne è vittima. Provate una volta tanto a coinvolgere i cittadini, i sindacati, le tante associazioni, le varie categorie di lavoratori, i professionisti del settore, volontari organizzati, su una problematica che tocca tutti nessuno escluso. Questo perché vi siete impossessati della DEMOCRAZIA e vi siete rivelati i peggiori custodi. CE L’AVETE ANNACATA, detto papale papale, in campagna elettorale annunciando propositi di DEMOCRAZIA PARTECIPATA. Ma si è rivelata una puzzetta non trattenuta, e come tale considerata da tutti. Provate una volta a darvi una mossa. Osate e usate le bellissime e capientissime macchine che vi abbiamo comprato per accompagnarVI, ogni qualvolta occorra, a farci VEDERE e SENTIRE insieme alla REGIONE e rivendicare quanto ci viene arbitrariamente rubato. La benzina la mettiamo noi. Se queste logiche sono per voi irricevibili perché vi manca spirito, formazione, interesse e coraggio per farlo, abbiate il pudore di ammainare gonfalone e bandiere di partito e rintanarvi a casa vostra.

A Vibo succede, per esempio, che il sottoscritto, in ottobre, avendo prenotato un piccolo intervento veloce in una struttura pubblica cittadina, subito dopo essermi accomodato, molto gentilmente mi è stato chiesto di pazientare e rinviare di qualche giorno l’intervento, essendo intervenuti non meglio specificati problemi tecnici. Altrettanto educatamente ho aderito alla richiesta. Mi sono ripresentato dopo più di un mese e in questa seconda occasione mentre ricostruivano le ragioni della mia precedente convocazione, sono certo di aver sentito dalla bocca di uno dei presenti che il rinvio era motivato dalla constatazione che gli anestetici che erano stati destinati alla azienda di Vibo, o perlomeno in quella struttura, erano scaduti.

Da qui il buon senso del medico che ha disposto il rinvio. Ora mi chiedo…è o non è lecito pensare che un’operazione rutinaria di invio da parte del fornitore e la successiva accettazione di un medicinale così importante non possa non sottostare ad un controllo attento e severo da parte non solo di chi invia ma anche di chi riceve? E che mai dovrebbe succedere che ad accorgersene sia uno scrupolosissimo utilizzatore finale. Non credo ci sia solo distrazione e leggerezza… C’è chi ci lucra? Tutto questo ed altro ancora accresce sempre più il discredito verso chi ci dovrebbe tutelare.

Ancora una volta prendo atto di fronte a tanto immobilismo, cinico distacco e strafottenza, dell’inutilità di una rappresentanza politica provinciale che in alcun modo mi rappresenta. Che fare? Niente di concreto. Ma non mi si può impedire, concedetemelo assumendomene la responsabilità, di ricorrere ad uno strumento arcaico per me liberatorio, pacificatore e rigenerante, quindi catartico: ‘a JISTIMA. Tenetevi pronti: MALANOVA MU VI COGGHJI; BOTTA ‘I SANGU MU VI VENI; MALA SUMERA MU VI PIGGHJIA; MALA PASCA, TRIVULU E SCUNTENTIZZA! AHH!!! PS Azzardo comunque una modesta mia soluzione: Visto, che persino i medici cubani scappano, provate a stipulare una convenzione con CUBA che consenta a noi calabresi di essere ricoverati e curati nei loro ospedali.