Vibo. Facinorosi in Consiglio, cronaca di una seduta sui generis (di Rocco Tripodi)

Facinorosi in Consiglio Comunale

di Rocco Tripodi 

Proprio così. Il consigliere ANTONIO SCHIAVELLO minaccia blocchi, catene e occupazioni al Palazzo della Regione, sfidando le recenti leggi “sicurezza” promulgate dalla presidente Meloni al cui fascio egli stesso appartiene, contravvenendo alla disciplina di partito, e che prevedono l’arresto. Questo è il solo episodio rilevante dell’intera giornata, quando si discuteva dell’abbandono al loro sempre più precario destino, da parte della Regione, dei tirocinanti in carico al Comune di Vibo.

Ma procediamo con ordine. Sono le ore 9.00 quando entro nella Sala delle Adunanze Consiliari del Palazzo Municipale… E che è!? Intimidatissimo, con passo e occhio prudenti, entro nella Sala del Consiglio. Solo, e solo resto nello spazio riservato ai cittadini fino alle 15.00, con presenze alternate di tre altre persone e, sul finire, di quattro lavoratori tirocinanti non stabilizzati.

Prima che la seduta inizi, assisto con olimpico e distaccato silenzio tra i banchi della sala, a quella che sembrava una spensierata, festosa, nostalgica (patetica?), RIMPATRIATA tra ex compagni di scuola, reunions che io personalmente punirei col 41bis. Baci, abbracci, strusciamenti in disinvolta e consapevole promiscuità (politica), quasi non si vedessero dagli esami riformati dal decreto Sullo del 1969. Ma dico uno, soltanto uno, non c’è che porti un sano covato rancore per quella volta che, uscito per fare pipì, gli hanno fregato la colazione con la soppressata e pane di casa di San Nicola da Crissa. O una che non potrà mai rimuovere un accumulo di odio, verso chi, avendo lei datole il proprio fazzoletto per fermare un pianto per la perdita della nonna (mai scomparsa) per il tramite del prestante fidanzato, ha perso fazzoletto e fidanzato. Uno solo. Niente, non c’è: PANTA REI. Clima da raduno di Comunione e Liberazione con incontri di approfondimenti spirituali e crescita in comunione.

Dopo le 10.00, si ricompongono e si inizia con l’appello e mi accorgo ad ogni chiamata che rimango spesso disorientato dal lato dell’emiciclo da cui mi sarei aspettato la risposta, questo in base all’appartenenza storica che io ricordavo dei politici che venivano chiamati; ma mi rendo presto conto che la causa va ricercata nello squieto poltronico che ormai affligge tutti loro. Svolto questo preliminare, quasi come da obbligo istituzionale, buona parte degli attori tira fuori il cellulare da dove pochi minuti prima lo si era adagiato come fosse una tenera creatura in sonnolente riposo, e si accanisce su quello che sembra essere un logorante quotidiano, ininterrotto “impegno civico”. Il più inossidabile è Giuseppe Russo. Dalle 10.30 (è arrivato in ritardo) alle 14.00 (è andato via prima) è rimasto, eccezion fatta per una tonificante pausa caffè, più di tre ore, spalle al pubblico, a smanettare come un adolescente brufoloso.

La prima a prendere la parola è la consigliera MARIA ROSARIA NESCI, fino a quel momento isolata, non partecipativa e visibilmente contrariata, non si capiva se perché ostracizzata dai colleghi o se per consapevole scelta. Irritata, forse anche rabbiosa, muove a non meglio precisati colleghi o assessori, non meglio precisate accuse motivate dalla insensibilità e spietatezza da loro mostrate in vicende personali di cui personalmente non ne conosco i contorni. Solidale con lei anche io, dove siano state tirate in ballo faccende personali.

Un appunto invece di altra natura, il mio. Una donna così curata, elegante, che, mi sia concesso, non passa inosservata per l’attenzione che riserva alla sua persona e alla sua immagine, eviti, se posso, insisto, permettermi, sempre e in special modo in un contesto istituzionale, di partecipare e perdipiù parlare, rivolgendosi ad altri masticando ininterrottamente chewing gum. In primo luogo perché è una modalità classificata “cafonal”, ma lei può legittimamente dissentire. In secondo luogo, perché si ha difficoltà a capire interamente e correttamente quello che lei dice.

NICO CONSOLE, anche lui ha parlato. Lui mi ricorda quella testa di pupazzetto (non è una parolaccia) in quel gioco dove tu con un martelletto di plastica aspetti che esca velocemente da uno dei tanti buchi di un tavolo e tu non sai mai quale, per colpirla. Imprevedibile. Molto atteso il suo intervento. Lui è un vero birbante. A quante marachelle ci ha abituato. Lui, o chi per lui, fa cerchi con il compasso, ma poi fatica a starci dentro. Comunque un discorso, il suo, pacato e prudente, come nel suo stile. Ha ripercorso brevemente la sua storia salterina, attribuendosi glorie ed onori a pompa, e ha (minacciato, dico io) rassicurato (dice lui) che proseguirà per come ha sempre fatto nelle esperienze precedenti. Ed ha ribadito, così come ha sempre fatto con gli altri sindaci, che anche il Sindaco Aggarbatuni può contare sulla sua lingua (di impareggiabile affabulatore…s’intende).

Ottima performance anche quella di DANILO TUCCI. A lui mettigli una tunica addosso e sopra una toga e via a smarronarci, senza pietà, le sue “Orazioni”. Ma duballe! Andasse a stressare il primo Catilina che incontra a casa sua. NESSUNO TOCCHI CICERONE! Per 20 minuti ce li ha triturati, ma vi assicuro non riesco a ricordare nulla di quello che ha detto. NULLA!

GIUSEPPE CUTRULLA’, che non sta mai bene dove sta, e che, in evidente stato confusionale, si trascina antichi rancori verso il compaesano cugino assessore SORIANO che saranno anche motivati, ma non ce la può smazzettare a noi. Ma i veri i soli, inimitabili ed incorreggibili mattatori, il Signore li abbia sempre in gloria, di cui non riusciremmo a starne senza, sono loro due: il sindaco di destra del Rione Sanità, ANTONIO SCHIAVELLO; e il sindaco di sinistra dei Quartieri Spagnoli, CICCIO COLELLI. Loro sì che hanno studiato. Sì che sanno recitare. Non strapazzoni di infima categoria, ma professionisti degni della corte trumpiana. Il ruolo di primo attore se lo sono guadagnato sul campo, lottando.

Quanto mestiere nella scelta dei tempi, la gestualità, l’enfasi, i toni ondivaghi, le pause, le pose, le mosse, gli ammiccamenti e le stoccate, istrionismo e tanta tanta platealità. Loro e sempre solo loro come da copione studiato, provato e condiviso. Apparentemente l’un contro l’altro armato con toni, volumi, linguaggio e provocazioni che solitamente appartengono alla cultura della Garbatella romana. L’entrata e l’uscita dai banchi, il passeggiamento nervoso poco istituzionale lontano dai loro posti, il tutto nell’indifferenza di tutti i loro colleghi che, solo quando il presidente suonerà la campanella, poseranno il cellulare, e, dietro suggerimento, esprimeranno il LORO voto. Tre minuti per concordare tutti insieme in quale locale prenotare due spaghetti allo scoglio e giù il sipario. Solo allora ho capito il senso dell’avviso all’ingresso della sala: È FATTO DIVIETO AL PUBBLICO DI INTRODURRE GATTI MORTI.

Due note veloci: il Presidente ha l’autorità, nella sua mansione, di un bidello sessantacinquenne ancora precario nel lavoro, in famiglia e su questa terra. Il Sindaco Aggarbatuni, arrivato alle 13.00 dopo un incontro infruttuoso con la Giunta regionale, nonostante i 30 gradi, appariva bisognoso di una coperta calda sulle spalle e un termometro in bocca: spiaggiato e recuperato dalla Guardia costiera; per cui gli auguriamo una pronta ripresa e avrò tempo per dare un giudizio.

Un giudizio su cosa si sia deciso alla fine della seduta? Per saperlo fate come la maggior parte di loro: aspettate di leggerlo sui giornali. Però mi va di dare un giudizio spensierato sulla presenza di una sola figura reale, rispettosa del ruolo, composta, diligente, professionale ed educata: l’agente di Polizia municipale ininterrottamente, lui, presente in aula.