Finisce ancora una volta sotto la scure della magistratura il Consiglio comunale. A quattro anni da “Rinascita”, l’inchiesta “Fangopoli”, coordinata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, chiama in causa uno degli eletti di “Palazzo Luigi Razza”. Si tratta di Giuseppe Russo, attuale capogruppo di Azione, ma soprattutto già assessore all’Ambiente nel corso della passata consiliatura. Eletto con “Vibo Unica”, nel 2019 Russo è poi transitato nel Pd, quindi in Forza Italia, prima di aderire, dopo una rapida transizione nel Gruppo Misto, a Coraggio Italia ed infine, per l’appunto, al partito di Calenda. In mezzo, la candidatura al Consiglio provinciale.
Il provvedimento, vergato dal Gip di Catanzaro Gabriella Pede, che ha spedito tre indagati in carcere, cinque ai domiciliari, dieci all’obbligo di dimora nel comune di residenza, per Giuseppe Russo ha previsto «il divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali». Sotto la lente d’ingrandimento, la Procura ha posto la sua attività di direttore tecnico dell’azienda G&D Ecologica, finita nel calderone giudiziario, come traspare dal sequestro preventivo, ai fini della confisca, tra le altre cose, di un complesso immobiliare a destinazione industriale nel comune di Curinga, appartenente proprio a tale impresa e di alcuni automezzi.
Il capogruppo di Azione avrebbe consentito lo stoccaggio non autorizzato di rifiuti presso l’impianto della società G&D Ecologica SpA insieme ad altri rappresentanti dell’impresa. Tutti assieme “in concorso materiale tra loro e nelle rispettive qualità – si legge nell’ordinanza – al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative e organizzate, facenti capo alla ditta G&D Ecologica SpA, avrebbero gestito abusivamente, in assenza e in violazione delle relative autorizzazioni, ingenti quantitativi di rifiuti”.
In sostanza, Gioacchino Rutigliano, titolare dell’azienda, Giuseppe Frija, amministratore unico, Giuseppe Russo, responsabile tecnico della G&D Ecologica, la cui attività primaria è costituita da trasporto e intermediazione di rifiuti, ed altri componenti l’impresa, avrebbero “disposto e realizzato il trasporto di rifiuti della frazione organica, di fanghi da depurazione provenienti da diversi impianti comunali calabresi, nonché di altra tipologia di rifuti, compresi materiali misti prodotti dal trattamento meccanico dei medesimi”. E successivamente li avrebbero stoccati “presso la sede aziendale in assenza delle autorizzazioni necessarie e in area non idonea.
Lo stoccaggio si sarebbe reso funzionale alla riduzione del numero dei trasporti verso gli impianti di destinazione finale. Infatti gli automezzi venivano caricati fino alla massima capienza anche miscelando tra loro le tipologie di rifiuto allo scopo di abbattere a proprio vantaggio i costi connessi al servizio. Operazione che avrebbe apportato non poche conseguenze negative all’ambiente e alla salute pubblica.
Peraltro, le conversazioni captate tra titolare e dipendenti consentono di sostenere che tutti fossero consapevoli. Nella fattispecie Giuseppe Russo, responsabile tecnico della società. risulta del tutto inerte, visto che avrebbe dovuto vigilare sulla corretta applicazione della normativa nell’organizzare la gestione dei rifiuti. Attività che invece veniva svolta dall’amministratore e da un altro dipendente. Fonte: Gazzetta del Sud