Vibo. Li Turchi so’ arrivati. Cronaca di una mattinata movimentata al Comune

di Rocco Tripodi

Questa mattina, Dio che paura! Stavo per essere TRADOTTO coercitivamente dalla Polizia Municipale nella cupa cella a fianco dell’ufficio del sindaco, il solo affidabile garante dei diritti di un prigioniero, per il GARBO che lo distingue in qualunque ruolo.

Andiamo all’antefatto. Nei mesi passati, a fronte di una lunga serie di contestazioni sulla qualità dei lavori in corso, ebbi un approccio estemporaneo, cortesemente accordatomi, dall’assessore ai Lavori Pubblici Salvatore Monteleone, durante il quale, tra le diverse preoccupazioni, manifestavo la mia previsione per cui la straordinaria e quasi unica (per lo stato di conservazione) pavimentazione storica di via L. Razza, sulla quale anche lì erano previsti quei funesti lavori di rigenerazione, una volta rimossa, mai sarebbe più stata riposizionata secondo criteri rigidi di intervento di recupero e conservazione.

L’assessore  si impegnava ad accertarsi che l’impresa procedesse col metodo del MOSAICO (di questo si tratta) attraverso identificazione numerica delle singole basole, con mappatura e con attenta documentazione progressiva fotografica, per poterle giustapporre in fase di ripristino nella forma e posizione originarie. Oggi, in totale spregio a tale impegno, parte l’impresa caricata e spavalda, mettendo incolpevoli operai in groppa di un escavatore scalcitante, che azzanna con denti d’acciaio le ultime testimonianze di una cultura che trova complice sostegno solo nelle più becere dottrine e narrazioni nostalgiche e mai nei fatti. Dopo di che le masticano e le accumulano scompostamente come fossero scarti di politici trombati. L’ennesima brutalizzazione di importanti, ormai residue, tracce di un Passato sicuramente MENO CINICO del Presente.

Ma al Comune di Vibo, il FATTACCIO della giornata da raccontare con orrore e raccapriccio, negli atri e nei corridoi che magnificamente (costruzioni del passato) amplificano suoni e voci, è che il sottoscritto avrebbe offeso deliberatamente, in preda a delirio, la R.U.P. del progetto, Lorena Callisti, e la sua concattedrata lì presente, della quale non conosco il nome. E bene, a loro, che educatamente mi hanno accolto, dopo altrettanta educata mia richiesta e attesa, avrei arrecato inaudito oltraggio, rivolgendomi ad entrambe usando il titolo oltremodo offensivo di… SIGNORE, anche ripetutamente. Sconcertate da tanto irriguardoso mio approccio, rivendicavano il titolo di DOTTORESSE (o più probabilmente DOTTORI), perché (udite, udite), improvvisandosi portavoce di un frangia tra le più  radicali delle associazioni più emancipate di femministe mi puntualizzavano con viscerale energia: “NON SIAMO SIGNORE NOI SIAMO INGEGNERI. IL TITOLO VIENE PRIMA”.

Non è  servito sottolineare che si stavano offendendo da sole, svilendo il loro (delle altre donne e delle loro madri) nobilissimo status di SIGNORA. Io stesso, cercavo di far capire,a mia difesa, che  mai mi sentirei offeso se chiunque si rivolgesse a me chiamandomi SIGNORE, pur essendo stato io, senza aiuto di alcuno,  a solo 16 anni, nominato vicecapo scout della squadriglia “pantere”, anche se, in tutta onestà, è  stata questa la più prestigiosa qualifica riconosciutami in vita. Prendo atto: Non SIGNORA, bensì DOTT., ING, RES.UN.PROC. Anche perché l’1,6% dell’importo base di gara dei tanti progetti a lei affidati, viene generosamente da noi contribuenti riconosciuto a LEI e agli altri tecnici, oltre allo stipendio, non in quanto SIGNORA, ma in quanto DOTT., ING. RUP. Sono 3, che faccio? Lascio?

Per cui ritengo che, sia per la completezza di TITOLI che per i soddisfacenti ritorni economici che da questi le derivano, mi sarebbe lecito di trovare in quell’ufficio una pers… pardon… una DOTTORESSA rilassata che sappia ascoltare le segnalazioni di un vecchio cittadino già vicecaposquadriglia con onore. Ma, come sempre accade, quando tu, SOLO, cerchi una qualunque interlocuzione non gradita, con potenti, IN COMPAGNIA, scatta immediatamente il comodo tormentone in autotutela: “Lei mi sta aggredendo, chiamate la polizia municipale”, “vandiando”, aprendo la porta e assicurandosi la testimonianza dei tanti colleghi all’esterno. Che, vi confesso, era quello che io avrei voluto, per dare seguito alla questione posta,riconducendola in altri ambiti e con ben altro clamore.

Ancora, come in un qualunque pessimo dibattito di una delle tante reti televisive dove vengono comandati ad argomentare col manganello, giornalisti arruolati e armati di sorda ignoranza, si ripropone la solita tecnica. Tu chiedi ragguagli e loro, svicolano  accusandoti di saper solo criticare. E poi, inevitabilmente: “E poi dove era lei, quando…?”. Nel mio caso mi chiedeva dove fossi io quando hanno asfaltato via del Gesù (più di 40 anni fa). Ovviamente io che oggi critico quel vergognoso disastro della nuova pavimentazione completamente saltata dopo solo una settimana dalla consegna in via del Gesù, appunto. Non permettendo a me di chiedere dove fosse piuttosto lei che aveva il dovere di controllare i lavori.

Quando ho cercato di rispondere, invano, non dandomene modo, anzi ha minacciato  l’intervento della polizia municipale. Tutto questo teatrino lo poteva evitare. Bastava che ascoltasse la risposta che io avevo alla sua domanda: 40 anni fa vivevo a Milano e mi sarebbe tornato difficile spostarmi per seguire i lavori di Vibo Valentia. Per quanto, avrei voluto informarla che l’asfalto di cui lei parla e che doveva interessare tutto il centro storico (compresa via L.Razza), fu interrotto dal provvido intervento dell’avv. Francesco Tassone che allora si precipito’ in Municipio per impedire che proseguissero oltre in quello scempio.

Il mio rammarico è quello di non essere stato fermato né rinchiuso in cella a fianco dell’ufficio (lui in poltrona, io su un tavolaccio) dell’Aggarbatuni. Perché, nel frattempo, tra una folla richiamata al grido di “ALLARMI, ALLARMI. Li Turchi so’ arrivati alla Marina”, come un Mosè pacificatore,  si fa largo l’assessore ai L.P. Monteleone, che, con l’abituale calma ed educazione che non gli sono mai state disconosciute, mi ha fatto accomodare nel suo ufficio, dove mi ha ascoltato. Non so se abbia condiviso, ma (lui sì) certamente ha compreso che non ero lì  per offenderlo, chiamandolo SIGNORE. HA RACCOLTO la mia segnalazione, quindi ci siamo lasciati.

con l’impegno da parte sua non di bloccare i lavori, ma di recarsi subito in cantiere per verificare se il modo di procedere rispetti le regole concordate. Anche se temo che il guasto è  già fatto. Ultima annotazione. Prendiamo atto che la RUP è certa, così si è  espressa, che verrà  fatto un lavoro ad arte pur procedendo, come stanno facendo, a botte di palate di ruspa, sulle sciocche basole refrattarie a un precoce pensionamento, per dar spazio al buon cemento nuovo che avanza. È  il turnover, bellezza!

Su tutto ciò  una riflessione.

Ma è  concepibile se non tollerabile che nessuna Autorità, con o senza titolo accademico, che in tutto questo sconvolgimento generativo urbano che esaspera una intera cittadinanza (tranne l’intera classe politica, mai così coesa e solidale tra loro), nessuna Autorità, dicevo, trova ragioni che motivino un intervento?

Che l’unica volta che si chiede l’intervento di qualcuno con divisa e stellette e comunque con compiti investigativi o repressivi, lo si faccia per arrestare un vecchio scout vicecaposquadriglia che ha avuto l’ardire  di lamentare apertamente di non essere capace di registrare la dichiarazione della RUP con la quale affermava con sicurezza che le ruspe, utilizzate in modalità Salvini, non avrebbero pregiudicato il corretto ed ordinato riposizionamento delle vecchie basole. Questa cosa, a fronte di tanta sicumera, le avrebbe dato modo un domani di smentire le mie previsioni pessimistiche.

Ancora, solo per capirci. Nessuno si senta escluso. Anche il Dott. Soprintendente, pur non avendo stellette e pistole, ha titolo per indagare o quanto meno dire la sua.

21 gennaio 2025