La tragica scomparsa di Salvatore Iaccino, storico ultrà del Cosenza Calcio, all’interno della clinica psichiatrica Villa degli Oleandri, ha scosso l’opinione pubblica e acceso i riflettori sulle condizioni di vita dei pazienti nella struttura. Secondo la versione fornita dai responsabili della clinica, Salvatore si sarebbe tolto la vita impiccandosi all’interno della propria stanza con una “corda (verosimilmente le lenzuola)”, attaccata alla grata della finestra, intorno alle 18:30 di lunedì 17 febbraio. Questa circostanza sarebbe stata confermata da un residente della zona, il quale, notando dal balcone di casa sua una sagoma penzolante da una finestra della struttura, avrebbe tentato più volte, senza successo, di avvisare il personale sanitario. Solo dopo vari tentativi andati a vuoto, i sanitari della clinica sarebbero stati allertati e avrebbero rinvenuto il corpo di Salvatore intorno alle 18:50.
Per quanto la versione fornita dai responsabili della struttura possa apparire credibile, considerate le condizioni di salute di Salvatore, sorgono alcuni legittimi dubbi sulla ricostruzione degli eventi. Innanzitutto, Salvatore era totalmente in balia di psicofarmaci, somministrati in quantità massicce, una condizione che avrebbe potuto compromettere la sua capacità fisica di compiere un gesto simile in maniera autonoma. Inoltre, chi lo conosceva bene fatica a credere che Salvatore possa aver deciso di togliersi la vita. Nonostante i tanti demoni che affollavano la sua mente, amava la vita e lottava per viverla, libero dagli spettri che lo perseguitavano. Era un combattente e, per questo, l’idea che abbia scelto di “farla finita” con un lenzuolo legato al collo suona troppo facile, troppo comoda, ma difficile da accostare alla sua persona. Per comprendere meglio ciò che è accaduto, è necessario ripercorrere gli eventi che hanno preceduto la sua morte, mettendo in relazione il suo stato di salute con le condizioni di vita dei pazienti a Villa degli Oleandri.
Salvatore si trovava agli arresti domiciliari nella clinica da agosto, in quanto ritenuto incompatibile con il regime carcerario. Per quanto questa condizione gli stesse stretta, l’aveva in qualche modo accettata, senza mai perdere la speranza di potersi curare in un luogo diverso, dove il rispetto della dignità umana venisse garantito.
Ma questo, a Villa degli Oleandri, non avveniva e non avviene. In questa struttura, l’abuso e la violazione sistematica dei diritti umani nei confronti dei pazienti psichiatrici sembrano essere la regola. Numerose testimonianze raccontano di una gestione che non garantisce dignità e sicurezza ai pazienti, caratterizzata da trattamenti farmacologici eccessivi, sedazioni forzate. Pazienti lasciati senza assistenza e sottoposti a trattamenti degradanti, condizioni che ricordano gli ex ospedali psichiatrici giudiziari, l’assenza di una reale riabilitazione psichiatrica, aggravata dalla carenza di personale qualificato e di un serio supporto psicologico e sociale: sono queste le accuse che emergono dalle numerose denunce. Il sistema adottato dalla struttura non punta alla cura del paziente, ma al suo contenimento chimico, attraverso una gestione basata esclusivamente sulla somministrazione forzata di farmaci.
A Villa degli Oleandri, la terapia farmacologica viene imposta come unica soluzione, senza alternative terapeutiche che possano offrire ai pazienti una possibilità di reintegrazione sociale. Ed è questo che non accettava Salvatore, non accettava la sua esclusione forzata dalla società. Era consapevole del suo malessere e voleva curarsi, ma voleva anche un’altra possibilità. Possibilità che in quella struttura non vedeva. E a questo si ribellava. Tra alti e bassi cercava di resistere, motivato anche dalla consapevolezza di avere seri problemi da risolvere, sperando di uscire presto da quell’inferno, ma non sempre riusciva a domare i suoi demoni e, per questo, era considerato dalla direttrice sanitaria Bruna Scornaienchi un paziente “cronico”, la cui unica cura era la sedazione perpetua.
Da mesi, Salvatore, così come tutti gli altri pazienti della clinica, era sottoposto a massicce dosi di antipsicotici, la cui disponibilità a Villa degli Oleandri non manca mai. Si dice che molti pazienti abbiano libero accesso a questi farmaci, il cui abuso può provocare reazioni extrapiramidali, ipotensione e, in casi estremi, si può manifestare uno stato comatoso con depressione respiratoria e ipotensione arteriosa grave, che può portare alla morte. Come è successo nel gennaio 2021 a Gianmatteo Broccolo, un altro paziente della clinica deceduto in circostanze mai del tutto chiarite. Il padre di Broccolo ha denunciato una gestione brutale della struttura, parlando di un “lager”, dove i pazienti vengono immobilizzati e sedati con farmaci potenti fino a diventare incapaci di reagire.
Ed è in questa condizione che si trova Salvatore: sedato e libero di far uso a piacimento di potenti psicofarmaci. Ma un brutto mal di stomaco lo affligge, e nei giorni precedenti alla sua morte, chiede più volte al personale di essere portato in ospedale per accertamenti. Ma la sua richiesta non venne mai presa in considerazione, il che provocò una giusta reazione da parte di Salvatore, che iniziò a manifestarsi con ripetute urla e richieste di aiuto. Una situazione che si protrasse per giorni, e che, come da prassi, trovò soluzione nella solita sedazione forzata, a cui Salvatore tentò di ribellarsi.
Così come fece anche il 17 febbraio, ma nonostante i suoi tentativi, il personale, contenendolo fisicamente, riuscì a immobilizzarlo e a sedarlo. Benché sedato, Salvatore, in un disperato tentativo di sfuggire a quella realtà, dopo essersi divincolato, corse nel cortile nel vano tentativo di scalare il muro, ma venne subito fermato fisicamente e con forza bruta dal personale. Circostanza confermata dai residenti della zona, che sentirono chiaramente le urla di Salvatore verso le 15:30 di lunedì 17 febbraio. Poi più nulla. Alle 16:30, dopo essere stato contattato con urgenza dalla dirigenza, evidentemente per lo stato di agitazione di Salvatore, arriva in clinica l’avvocato di Salvatore.
L’avvocato ha riferito di un colloquio durato una ventina di minuti in cui “Salvatore era certamente frustrato dalla detenzione, ma stava bene. Lamentava solo mal di pancia e si erano accordati per chiedere al giudice di potersi recare in ospedale per visite specialistiche”. Dopo il colloquio Salvatore pare essersi calmato, l’effetto del sedativo inizia a farsi sentire, alle sei si reca in mensa, non mangia, resta lì una ventina di minuti e si congeda dagli altri dicendo di voler andare in stanza a fumare una sigaretta. Cosa abbia fatto in quei tragici minuti Salvatore nella sua stanza non è del tutto chiaro. Una cosa è certa: Salvatore viene trovato impiccato. Cosa abbia spinto Salvatore a compiere questo gesto – sempre se davvero l’ha compiuto lui – è tutto da chiarire. E una domanda sorge spontanea: quel giorno, alla luce di tutto questo, Salvatore aveva davvero la capacità fisica e mentale di compiere un gesto così estremo, dopo essere stato sedato e costretto all’immobilità?