La vincitrice dell’edizione italiana 2023 di X Factor è la calabrese Sarafine, nome d’arte di Sara Sorrenti, 34 anni, di Vibo Valentia, poi trasferitasi a Bruxelles e che per il suo sogno di vivere di musica ha lasciato il suo lavoro da assistente amministrativa. Sarafine ha conquistato il pubblico del televoto con un duetto internazionale con gli Ofenbach, l’inedito “Malati di gioia” (il brano più ascoltato di questa edizione sia su iTunes sia su YouTube) e un medley dei suoi “cavalli di battaglia” ad X Factor (Tutto il resto è noia di Califano, Habanera di Bizet e Get up stand up di Bob Marley). La vittoria è arrivata al termine di una finale avvincente durante la quale i quattro concorrenti in gara (secondi si sono classificati i Stunt Pilots, terzo Il solito Dandy) si sono sfidati all’ultima nota.
Sarafine è una cantautrice il cui stile musicale avvolge elementi legati alla musica elettronica e leggera. Nei suoi brani si intrecciano influenze musicali Dubstep, Tecno, Trap, Drill, Pop. I testi, in italiano e inglese, e le melodie seguono armonie e sonorità inquiete che trasmettono un forte desiderio di rottura dalla monotonia della vita di tutti giorni. Esprimono prepotentemente la necessità di deviare da un universo fatto di prevedibilità e rigore, per arrendersi all’incertezza, grande fonte di paure ma soprattutto di speranze.
Gianmarco Aimi, di Rolling Stone, aveva intervistato Sara qualche ora prima della finale, quando già gli addetti ai lavori la davano per favorita per la vittoria finale.
di Gianmarco Aimi
La prima che aggancio è Sara Sorrenti, in arte Sarafine. Non tanto perché è la nuova favorita (chiedete ad Angelica se le ha portato fortuna esserlo dalle Audition), quanto perché nata negli anni ’80 e quindi, a differenza degli altri, troviamo subito alcuni punti comuni tra appartenenti alla generazione-mai-una-gioia. Come il bagliore delle serate in disco con alla consolle dj Franchino, che al tempo ho ascoltato dal vivo e lei invece ha scoperto nella sua seconda chance dopo la malattia, ancora con la voglia di fare musica e raccontare le proprie “favole” su basi trance-techno.
«Vedo gli altri e mi sembrano con le idee più chiare rispetto a noi alla loro età», spiega. «Io faccio parte di una generazione un po’ sfigata, che ha fatto da ponte, ma che oggi è in mezzo a tutto». Ci siamo sacrificati per loro, scherzo, guardando i suoi compagni di avventura, e lei sembra d’accordo: «Dici? Può essere. Infatti loro, oltre alla produzione, pensano alla gestione dei social, dell’immagine, del merchandise, e sembrano avere le idee più chiare. Io invece sono ancora alla ricerca del mio stile, o almeno ho più dubbi».
Sarà a causa del suo percorso, non a X Factor ma precedente. Originaria di Vibo Valentia, in Calabria, dopo essersi laureata in Economia Aziendale ha faticato nella sua terra a trovare un lavoro che non facesse rima con sfruttamento. «Mi ricordo ancora le 12 ore al giorno da impiegata in un centro commerciale e per una paga minima. A quelle condizioni non potevo restare». Così decide, come molti altri ragazzi del sud, di partire. Prima con destinazione Lussemburgo, «dove però la gente era molto fredda e schematica». Non rimarrà a lungo, per poi spostarsi in Belgio dove ha trovato una realtà più effervescente, ma nella quale è comunque stato difficile inserirsi: «L’impatto è sempre tremendo, ho avuto problemi a relazionarmi con le persone a Bruxelles. Non a caso ho smesso di suonare per sei anni. Poi tutte quelle frustrazioni, a un certo punto, le ho trasferite in musica».
Nell’ottobre scorso decide di licenziarsi dall’azienda nella quale si occupava di tasse e contabilità e prova a incidere il primo EP: «Ho affiancato come vocalist per qualche tempo un cantante marocchino-belga che ho seguito in tour e poi ho tenuto qualche concerto nei locali di Bruxelles, cercando di arrivare a fare un disco, ma senza darmi una scadenza. A un certo punto è arrivato X Factor». Sembra questo il momento sliding doors: non darsi alternative. «Ero diventata molto introspettiva, stavo tanto da sola, quindi ho alimentato delle turbe che ho espresso con l’arte».
Autodidatta, a parte le lezioni di pianoforte che ha preso per un anno da bambina e un corso online durante la pandemia per migliorare nella produzione, ora vorrebbe tornare a studiare: «Sento di avere delle carenze, suono chitarra e piano, ma vorrei approfondire altri strumenti». Nonostante le insicurezze, forse sempre legate alla generazione-mai-una-gioia, con la loop station ha dimostrato di saper compiere delle magie. Persino Max Pezzali è rimasto colpito dalla sua rivisitazione di Hanno ucciso l’uomo ragno al quinto Live: «Mi ha fatto piacere, gli proporrò la versione clubbing dei suoi brani». Ora è uscita con l’inedito Malati di gioia, dove esorcizza i ricordi giovanili e sforna un manifesto di chi ha vissuto a cavallo di un tempo dove c’erano ancora speranze e un altro dove sono scomparse quasi del tutto, e non ha alcuna aspettativa per la finale: «Sarà una festa per tutti e vogliamo godercela come tale». Non sapeva ancora che oltre una festa sarebbe stata un trionfo. Complimenti.