Omicidio Bergamini: i depistaggi, la rabbia di Padovano e la faccia di bronzo di Abbate

Il Cosenza 1988-89. Da sinistra in piedi: Simoni, Caneo, Lucchetti, Lombardo, Marino, Castagnini. Accosciati: Padovano, De Rosa, Galeazzi, Urban, Bergamini

Oggi nella 30^ udienza del processo per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis Bergamini, in corso in Corte d’Assise a Cosenza, è prevista la testimonianza di Michele Padovano. L’ex attaccante del Cosenza, compagno di squadra di Denis per quattro stagioni, divideva con lui l’appartamento da qualche mese ed era con lui nella camera d’albergo dove ricevette la telefonata che lo attirò nella trappola che gli è costata la vita. Padovano aveva rilasciato dichiarazioni durissime quando, a pochi giorni dai fatti, iniziavano ad uscire fuori i depistaggi pilotati.

Martedì 21 novembre 1989, all’indomani del funerale, diversi media pubblicano la notizia della misteriosa intimidazione ai danni di Denis Bergamini in un ristorante di Laurignano. In più, iniziano le congetture sul possibile uso della Maserati per trasportare droga. Si parla di difficoltà economiche, di amicizie chiacchierate e persino di totonero. E’ un’agenzia di stampa romana che avanza quest’ultima ipotesi e l’indiscrezione viene ripresa dai deputati radicali Francesco Rutelli, Emilio Vesce e Mauro Mellini, che rivolgono una interrogazione parlamentare ai ministri dell’Interno, di Grazia e Giustizia e del Turismo.

E’ poco probabile che in questa vicenda possa entrarci in qualche modo una delusione d’amore – si legge nell’interrogazione – visto che lo stesso Bergamini aveva interrotto la propria relazione con la signorina Internò”. L’interrogazione proseguiva poi domandando “cosa ci sia di vero sulle notizie di un coinvolgimento in questa vicenda della malavita del Cosentino e sulle ipotesi che dietro questo episodio ci sia il giro del totonero”, e terminava con la richiesta di “verificare l’eventualità di un coinvolgimento della malavita all’interno del mondo del calcio come già in passato è venuto alla luce”.

Quanto basta per indispettire i compagni di squadra.

Il giornalista Santi Trimboli, che all’epoca lavorava per il Corriere dello Sport-Stadio, rivela di aver ricevuto una telefonata “di fuoco” da Michele Padovano.

«Sto leggendo cose incredibili, assurde – diceva l’attaccante al giornalista -. Sono tutte cattiverie: lo state uccidendo una seconda volta. Da questo momento faremo il silenzio stampa. Donato non aveva alcun motivo per uccidersi, è tutto falso. Denis aveva dei genitori eccezionali, amava il suo lavoro, non aveva rapporti con gente chiacchierata, non soffriva di disturbi psichici. Giovedì sera abbiamo cenato insieme. Nessuno, come invece è stato scritto, è venuto a prenderlo al ristorante. Finito di cenare, siamo tornati subito a casa. Io non so cosa possa averlo spinto sabato, mentre eravamo al cinema, a telefonare a Isabella che non vedeva più da tre mesi e a lasciare Cosenza. Mi sento di poter escludere che abbia voluto uccidersi».

OTTAVIO ABBATE

Ottavio Abbate – al centro – in una foto recente al Tribunale di Campobasso

In molti si interrogano sui motivi che hanno indotto la Procura di Castrovillari a non autorizzare l’autopsia sul cadavere di Bergamini. E nello scorso mese di maggio il tema è stato centrale nel corso della 17^ udienza del processo che ha visto tra i testimoni anche l’allora pm Ottavio Abbate (http://www.iacchite.blog/omicidio-bergamini-17-udienza-lispezione-cadaverica-e-falsa-ma-lex-pm-abbate-non-se-lo-sa-spiegare/). Vengono ordinate solo alcune perizie tecniche e viene stilato un calendario di interrogatori (Isabella viene sentita nuovamente cinque giorni dopo la morte di Denis). Ai carabinieri viene anche affidato il compito di indagare nella vita privata di Denis e a quanto pare, sia pure non ufficialmente, è quanto farebbe anche la questura di Cosenza.

Giovedì 23 novembre Isabella Internò entra nello studio di Abbate per essere interrogata. Il colloquio dura circa un’ora. Cosa dica la ragazza all’epoca fa parte del segreto istruttorio. Inutile saperne di più. Anche perché Isabella è brava, grazie pure alle premure di alcuni suoi parenti, ad evitare in slalom i giornalisti.

Il pm Ottavio Abbate viene intervistato da qualche giornalista volenteroso e le sue risposte sono quantomeno imbarazzanti.

«Noi non abbiamo piste privilegiate da cui partire – dichiarerà a Santi Trimboli –. Voglio dire che il magistrato penale si muove nell’ambito delle competenze istituzionali specifiche che prevedono determinati campi di indagine. Che sono poi quelle previste dal codice. Noi dobbiamo fare chiarezza sui fatti, successivamente potremo trarre le opportune conclusioni, che in questo momento sarebbero fuori luogo. Stiamo indagando, il caso non è stato mai archiviato e non c’è mai stata una richiesta di questo tipo: deve farla il pubblico ministero, in questo caso io, e non ho ancora concluso il mio lavoro. Quanto all’autopsia, abbiamo ritenuto che le cause della morte fossero sufficientemente accertate. “Era fin troppo chiaro che la causa di decesso del ragazzo fosse lo sfondamento del suo addome travolto dal mezzo pesante. Non c’era bisogno di fare l’autopsia…”.

Insomma, il nulla. Con l’aggravante di aver dichiarato che “non c’era bisogno di fare l’autopsia”, salvo poi essere costretto a richiederla solo qualche settimana dopo.

No, non si può neanche stendere un velo pietoso.

Il 27 novembre il giro degli interrogatori prosegue con l’allenatore Gigi Simoni e Michele Padovano. Il 29 novembre è la volta del presidente Antonio Serra e del direttore sportivo Roberto Ranzani, il 30 novembre toccherà a Domizio Bergamini.

Quanto al camionista, lo stesso pm Abbate, dall’alto delle sue “sicurezze”, dichiarerà: «Lo sentiremo, se necessario, nelle forme di legge e, comunque, soltanto dopo il risultato dei rilievi tecnici».

Il magistrato, tuttavia, non può fare a meno di riconoscere che, se ha disposto nuovi accertamenti tecnici, non si fida troppo della versione di Isabella. «La ragazza ha raccontato la sua verità – dice Abbate – ma più volte è caduta in contraddizioni».

Eppure, non si decide a fare l’autopsia! (La disporrà soltanto oltre un mese dopo…). 

Quanto agli interrogatori, nessuna indiscrezione.

«Personalmente – afferma il presidente Serra – non ho fatto altro che ripetere le cose che sto dicendo a tutti e cioè che Donato era un bravo ragazzo: educato, serio, gran lavoratore. Strano negli ultimi tempi? Assolutamente no. Anzi, era su di giri, lo vedevo assai stimolato. Voleva recuperare il tempo perduto a causa del grave incidente dello scorso anno. Se dovesse emergere qualcosa sul suo conto, sarebbe per me un fatto davvero sconvolgente». No, sul suo conto non è emerso assolutamente nulla: il suo unico errore è stato quello di conoscere una mantide, che non ha esitato ad armare le mani dei suoi assassini.