Calabria 2020: programmi di carta, ribrezzo e il ruolo dei giornalisti (di Emiliano Morrone)

di Emiliano Morrone

Le elezioni regionali sono vicine, di là dalla data ufficiale che tarda ad arrivare. Tra di noi giornalisti, che per mestiere conosciamo fatti e retroscena, sale il sentore che il risultato delle urne riproponga schemi e metodi risaputi. Intendo dire che i programmi di cambiamento potrebbero restare teorici, virtuali, di carta. Fosse così, non capiremmo le differenze di contenuti tra i vari contendenti. Questo voto, lo pensiamo in tanti, sarà condizionato in larga misura dai sentimenti più popolari che i social registrano da tempo: sfiducia, disincanto, ribrezzo, rassegnazione.

È assai probabile che cresca il “partito” degli astensionisti, sia perché a Roma – secondo canone – non si muove foglia, sia perché il dibattito politico, non soltanto regionale, è fermo alla ricandidatura o al ritiro del governatore Mario Oliverio, al suo scontro muscolare con il Pd; all’accordo tra “gialli” e “rossi” che a cicli lunari appare «così vicino così lontano», per citare un capolavoro del cinema; all’incerta riunificazione del centrodestra calabrese, Lega compresa, nel nome di qualche “Varenne” su cui scommettere per occupare le poltrone di comando.

A poche settimane dai comizi elettorali, da parte dei consiglieri regionali uscenti, e in generale degli eletti, non c’è un ragionamento articolato sulle urgenze e sulle priorità, in sintesi sulle misure concrete per colmare il divario tra la Calabria e il resto dell’Italia, dell’Europa. Né si sente un solo discorso sull’emigrazione attuale, fenomeno e prospettiva che coinvolge molti giovani laureati e perfino i loro genitori, con tutte le conseguenze economiche e culturali che ne derivano. In Calabria manca il lavoro, sia perché gli apparati pubblici sono stracolmi di dipendenti e ancora bellamente disorganizzati; sia – aspetto che diversi sindaci faticano a realizzare – per il grande caos sulle assunzioni in ambito sanitario, eterodiretto da un manipolo di burocrati dei ministeri vigilanti; sia perché l’iniziativa privata da noi risente, a sud del Sud, della carenza di interventi infrastrutturali e di agevolazioni fiscali vantaggiose.

E inoltre: il Servizio sanitario regionale vive il suo momento peggiore. Nel merito: i conti non tornano, il che è un vecchio problema alquanto ignorato, e l’indirizzo gestionale non ha timone, bussola, rotta; intanto poiché la normativa sul commissariamento del governo si è rivelata inattuale, inadeguata, inadatta a garantire il rientro dal disavanzo sanitario e soprattutto il diritto alla salute. Tuttavia essa è per molti versi divenuta un dogma: un po’ perché il parlamento non esamina e non discute più le questioni di sistema; un po’ perché i parlamentari, ridotti in virtù dell’eco interminabile della «Casta» (di Stella e Rizzo), sono comunque espressione di un meccanismo elettorale che ne sminuisce e comprime prerogative e funzioni.

Nel contesto calabrese noi giornalisti dovremmo essere più presenti ed incisivi sul piano della critica e dell’opinione, malgrado le nostre differenti sensibilità cercando di mantenere, ce lo impone la deontologia, un ruolo esterno al “gioco” delle parti politiche. Il guaio, passatemi il termine, è che siamo come monadi isolate: ognuno di noi cammina per conto proprio e non riusciamo a fare squadra. Eppure abbiamo risorse, conoscenze, esperienze che ci consentirebbero di, fatemelo dire, dare una scossa, se vogliamo una raddrizzata a larga parte della politica nostrana, che talvolta ci considera e tratta come puri microfoni della propria irrinunciabile vanità.