Castrovillari, le talpe del Ministero della Giustizia e l’inerzia di Bonafede

di Saverio Di Giorno

L’operazione “Pacta sunt servanda” condotta dalla Procura di Castrovillari apre la luce su un giro di usura e altri reati che riguardano in maniera trasversale professionisti e gruppi criminali locali. Un lavoro che evidentemente affonda le sue radici nel periodo in cui a capo della procura c’era Eugenio Facciolla. Non un nome a caso. Tra i vari nomi nelle carte salta fuori quello dell’ex procuratore di Castrovillari Agostino Rizzo e sono proprio questi due procuratori i protagonisti di una vicenda ormai risaputa che però ha strascichi meno conosciuti che arrivano fino a Catanzaro, al procuratore Gratteri, e gettano un’ombra soprattutto sullo stesso ministro Bonafede.

Quando l’ex procuratore Agostino Rizzo viene a sapere di essere attenzionato proprio dalla Procura della quale è stato a capo, tenta di stabilire un contatto informale, ufficioso con Facciolla. Quest’ultimo non lo riceve. Tutta la famiglia del dottore Rizzo si dice contrariata ed esprime disappunto per il “trattamento” ricevuto. Strano, però, perché proprio essendo colleghi avrebbero dovuto formarsi a principi e regole ferree scritte nell’animo prima ancora che nei codici. Il dubbio che sorge è: fa parte di una mala pratica meridionale agire attraverso amici oppure, peggio, nelle Procure tutti  agiscono in questo modo?

Il dottore Agostino Rizzo è suocero di Andrea Maradei, indagato principale dell’operazione, che scopre di essere indagato grazie ad Antonio Pace, funzionario del palazzo di giustizia e quindi dipendente del Ministero della Giustizia retto da Bonafede. Scrivono gli inquirenti: “MARADEI sta cercando di organizzare un incontro tra il Procuratore di Castrovillari e RIZZO Agostino, e tanto poiché è convinto che il suocero possa risolvere la questione…”. Fin qui quello che si è appurato.

In realtà ci sono alcuni documenti che raccontano anche un’altra parte della storia. I tentativi di avvicinamento al procuratore Facciolla hanno visto la “complicità” di due impiegati e non solo di uno. Uno di questi era stato arrestato e sospeso per nove mesi dal servizio, mentre per l’altro impiegato invece sono stati inoltrati gli atti a Catanzaro per competenza. Ed è qua che arriva la parte più interessante della storia e che merita di essere approfondita. Perché si tratta di una non chiusura.

Da Catanzaro nessuna notizia. Magari si sta indagando su una operazione enorme, ma sono passati due anni e non è improbabile, magari, che se ne siano “dimenticati” (speriamo solo temporaneamente) proprio mentre si indagava su Facciolla. Per quanto invece riguarda il ministro Bonafede, che è stato sollecitato più volte sia dal procuratore Facciolla che dal procuratore generale di Catanzaro dell’epoca ovvero Otello Lupacchini, gli viene chiesto più volte formalmente di prendere provvedimenti sui dipendenti “infedeli” ma anche in questo caso lettera morta. Bonafede non solo non allontana nessuno come ci si aspetterebbe, ma fa di più: l’impiegato sospeso verrà reintegrato.

Nel frattempo, il ministro dormiente sulle questioni di una remota procura della periferia d’Italia, si adopera per direttissima nel trasferire il procuratore capo di quella stessa procura per un’altra questione. Dimostrandosi quindi molto più attento. Come è possibile? Sicuri che l’atteggiamento del ministro sia di piena serenità? Delle due l’una: o è disattento e quindi inadatto o Bonafede è in malafede.

Dal punto di vista logico rimane un ultimo aspetto: ma un procuratore che resta con la schiena dritta anche per quanto riguarda il ricevere un indagato “protetto” da un collega, per giunta suo predecessore in quella stessa Procura, poi potrà mai essere responsabile di episodi di corruzione?  Perché, ricordiamolo, è questa una delle accuse, causa del trasferimento di Facciolla. L’unico, a quanto pare, di quella Procura. E i trasferimenti non li decide la Dda di Catanzaro, per quanto possa essere potente, ma il Ministero della Giustizia. Sempre ammesso che ancora esista…