Cosenza, conflitto d’interessi alla digos: trasferite il vicequestore

Si sa, l’Italia è la terra dove il conflitto di interessi prospera e prolifica alla grande. In Italia è normale nominare Dracula primario del centro trasfusioni. Così come non c’è niente di male ad affidare la tesoreria di stato alla Banda Bassotti, o il Quirinale a Berlusconi. Nessuno si scandalizza, in Italia, se il politico, dal più grande al più piccolo, prima ancora di diventare tale e di assumere una qualche carica pubblica, era ed è un potenziale portatore di interessi privati (grandi e piccoli) in palese conflitto con gli interessi pubblici. L’Italia è tra i pochi paesi al mondo dove è tollerato intrecciare l’interesse pubblico con quello privato. Il terreno giusto dove coltivare un altro prezioso frutto del malaffare italiano: la corruzione, che in Italia vale oltre 200 miliardi di euro all’anno.

In Italia, per fare un esempio di come il “conflitto d’interessi” è oramai una cattiva “consuetudine” accettata dalla società, non è difficile trovare in una qualsivoglia Università italiana il prof che interroga il figlio, titolare di un bell’assegno di ricerca (tanto per cominciare) nel dipartimento diretto dal padre, con il tacito assenso di tutti gli studenti che frequentano lo stesso corso. E questo serve anche per dire che il conflitto di interessi non è solo di “stampo economico”, le sue “estensioni” possono avere radici diverse.

Come quella che si è venuta a creare, per esempio, tra il dottor De Marco, dirigente digos della questura di Cosenza, e Saverio Greco del gruppo iGreco, baroni incontrastati della sanità privata in Calabria. Non sappiamo con esattezza la natura del loro stretto legame, ma di sicuro possiamo affermare che il vicequestore De Marco, nell’esercizio delle sue funzioni, quando ci sono di mezzo iGreco, non è mai imparziale. Una qualità fondamentale per lo sbirro che ha la responsabilità di mantenere l’ordine pubblico durante le “proteste”, e che ha il dovere di non schierarsi mai (come Costituzione e deontologia vuole) né dalla parte dei manifestanti, né dalla parte dei padroni. Che non significa che il poliziotto non può avere un suo pensiero su qualsivoglia argomento, ma nell’esercizio delle sue funzioni è chiamato, più di chiunque altro, a mantenere quella correttezza formale e istituzionale (rappresentata dalla divisa, e dal senso del dovere) che si deve a tutti i cittadini, senza preferenza alcuna. Correttezza che vuol dire cosciente e convinta adesioni ai valori democratici dello stato enunciati nella Costituzione. In una parola onestà, che è quello che tutti i cittadini si aspettano da chi indossa una divisa.

Il conflitto d’interessi del dottor De Marco è sotto gli occhi di tutti, questore compreso. E si palesa ogni qualvolta che il vicequestore si trova in piazza per gestire l’ordine pubblico durante qualche protesta nei confronti del gruppo iGreco, trasformando, attraverso le sue relazioni, quelle che in città (e in tutto il mondo) sono sempre state delle pacifiche e legittime manifestazioni di protesta, in eclatanti casi giudiziari dove, dietro la vivacità del sindacalista o dell’attivista, si ipotizza sempre qualche oscuro potere sovversivo che mina le fondamenta del vivere civile e democratico dello stato, e per questo va fermato con ogni mezzo necessario. E giù con fascicoli, ipotesi di reato, procedimenti, processi, e tutto il cucuzzaro che, stando all’eccessivo quanto incomprensibile zelo esercitato dal De Marco, nulla hanno a che fare con la Giustizia e la Legalità di cui il vicequestore dovrebbe essere un “guardiano”. E che sono stati clamorosamente sconfessati dal Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, che ha rigettato la ridicola proposta di sorveglianza contro due attivisti avanzata dal soggetto di cui parliamo.

Con questo, ovviamente, ma è sempre meglio specificarlo, non vogliamo dire che il funzionario di Pubblica Sicurezza non debba rilevare le eventuali infrazioni alla legge commesse dai manifestanti, ci mancherebbe, ma da qui a farne ogni volta un esagerato caso giudiziario che finisce in procura con tanto di inchiesta, e di personale impegnato a trovare “l’isola che non c’è”, lascia legittimamente pensare ad una propensione del De Marco a gonfiare le inchieste per creare attorno al sindacalista o all’attivista, quell’alone giudiziario di pericolosità sociale necessario per delegittimare ogni loro azione di protesta, ponendoli al pari di mafiosi e assassini. E la domanda sorge spontanea: questo assurdo e già visto lavoro di taglia e cuci, copia e incolla investigativo, palesemente messo in capo dal De Marco, cui prodest? Di sicuro al gruppo iGreco, visto che l’impegno del De Marco porta vantaggi ai baroni della sanità privata “togliendogli di mezzo” (senza alcun motivo realmente legale) i sindacalisti che fanno le pulci alle loro aziende. Questo è un fatto. E l’esagerazione nel trasformare ogni semplice azione di legittima protesta, in una inchiesta penale, che sa molto di minaccia istituzionale, è la prova del “reato”.

Il vicequestore De Marco – specie dopo la sentenza del Tribunale di Sorveglianza – non è più compatibile con il suo ruolo di capo della digos per un palese conflitto di interessi che non gli permette di essere corretto nei confronti di sindacalisti e attivisti, nell’esercizio delle sue funzioni. Spostarlo da qualche altra parte è necessario per ridare serenità all’incrinato rapporto tra manifestanti e forze di polizia, ma soprattutto per ritornare a garantire, a tutti i cittadini, il regolare svolgersi del sacrosanto diritto a manifestare, senza per questo dover temere ritorsioni istituzionali. Spetta ai vertici cella polizia adesso la decisione di trasferirlo ad altro incarico, il che non dovrebbe essere difficile visto che il via vai di funzionari, dirigenti e questori, presso la questura di Cosenza, è cosa di tutti i giorni.