Cosenza, deriva culturale senza precedenti: il caso-limite del Teatro Rendano (di Pasquale Rossi)

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di Pasquale Rossi

Abbiamo appreso dalla stampa che, con la gestione Occhiuto-Citrigno, il Teatro Rendano verrà trattato, nel triennio 2018-2020, come un normale Teatro lirico e non più come uno di Tradizione. Bisognava che l’Amministrazione Occhiuto rispettasse alcune regole che non sono state rispettate: quantità e qualità delle rappresentazioni (almeno 50 fra prosa, lirica, balletto e musica “colta”), una stabile e autonoma struttura organizzativa, almeno 6 diversi organismi di produzione, il sostegno finanziario della Regione etc.etc.

Il mancato sostegno finanziario della Regione è, in questo caso, da addebitare interamente al Comune di Cosenza che non ha chiesto, nei modi e nei tempi giusti, il finanziamento. Le altre regole, più semplicemente, non le hanno rispettate per inadeguatezza dell’Amministrazione. Per questo triennio, dunque, il Rendano non verrà più finanziato come Teatro di Tradizione e non siamo in grado di sapere se potrà ancora esserlo finché l’Amministrazione non sarà in grado di soddisfare le regole succitate. Le ridicole Opere multimediali che hanno minacciato di mettere in scena in primavera ricordano molto il contenuto multimediale (non c’è altro) del Museo del Nulla-Alarico e saranno, parimenti, sbeffeggiate dal Mibac.

In questi giorni abbiamo dovuto leggere, con un certo raccapriccio, i conti della serva fatti dal duo Calabrese-Santelli riguardo al costo dell’Opera lirica: 450.000 euro ad Opera che, per 1.600 persone che la seguono, fanno un costo di 280 euro cadauno, mentre l’indimenticabile concerto di Capodanno è costato “solo” 300.000 euro per una spesa pro capite di 5 euro (secondo i due c’erano 60.000 spettatori, dunque!). Se ne deduce, pertanto, che per l’Amministrazione di Cosenza è più proficuo organizzare oceanici concerti di artisti del calibro di Fabri Fibra o di Soler che elitarie e sorpassate Opere liriche.

C’è da dire, per prima cosa, che un’Opera lirica può costare anche mezzo milione di euro se si coinvolgono tenori, soprani, bassi etc. molto famosi, ma se ci rivolge a cantanti meno famosi, ma comunque bravi, il costo si può ridurre di due terzi.
In secondo luogo bisogna ricordare alla populistica Amministrazione di Cosenza che l’Opera lirica è lo spettacolo italiano per eccellenza e va tutelata, conservata e continuamente ripresa come Patrimonio culturale nazionale vivente, un vero e proprio patrimonio immateriale. Secondo la definizione dell’Unesco: “Si intendono per ‘patrimonio culturale immateriale’ pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e i saperi – così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”.

L’Opera lirica, nata e sviluppatasi in Italia nel XVI secolo, è, a pieno titolo, uno dei più importanti patrimoni culturali intangibili che si possano avere in una città italiana, tanto più se si possiede (forse bisogna dire: si possedeva) un Teatro di Tradizione.
Mentre in tutto il mondo occidentale, anche in Italia, si allestiscono Opere liriche che hanno un enorme successo di pubblico, a Cosenza, invece, si preferisce, nei fatti, l’arte di Fabri Fibra e di Soler e si arriva persino a vantarsene, teorizzando, ex post, la scelta populistica a favore di insulsi concerti da masse oceaniche.