Cosenza, il summit tra Pino e il Cinghiale e il “patto” Spagnuolo-Tursi Prato

I pentiti storici della ‘ndrangheta lo definiscono «il Salvo Lima reggino». Il bandolo di questa storia porta il nome di Paolo Romeo. Poco più di settantanni, avvocato anche lui, come il suo referente mafioso Giorgio De Stefano, Romeo è un ex ordinovista di Gallico, che dopo essere stato tra i protagonisti dei moti di Reggio, nel 1979 ha regalato la latitanza a Franco Freda (pesantemente coinvolto per la strage di piazza Fontana), con un passaporto omaggio delle cosche reggine, con cui Romeo ha precoce dimestichezza e mutua convenienza.

L’asse politico-massonico-mafioso tra Reggio Calabria e Cosenza è ormai una realtà consolidata, sotto gli occhi di tutti. Non solo perché gli imprenditori Barbieri e Morabito vincono le gare senza rivali con la complicità e la connivenza della politica.

In ballo c’è molto di più: il controllo del voto, degli affari, delle assunzioni, il riciclaggio del denaro sporco, le tangenti, il rapporto con lo stato deviato che consente ancora il dilagare della corruzione. Il sistema Reggio-Cosenza è quello più solido per un motivo semplicissimo: a Reggio c’è la ‘ndrangheta ma a Cosenza si lava tutto il denaro sporco perché lo stato è deviato e consente di tutto grazie ai legami massonici.

Secondo Filippo Barreca e Giacomo Lauro è Paolo Romeo a muovere le fila della politica a Reggio Calabria, grazie ai contatti organici con le cosche e la massoneria.

Ma l’influenza di Romeo è giunta fino a Cosenza.

All’alba degli anni Novanta, Romeo ha conosciuto Pino Tursi Prato, che già due anni prima è finito in una brutta storia di concussione. Arrestato nell’ambito della “guerra tra bande” del PSI che evidentemente condiziona e non poco la procura di Cosenza, guidata dal procuratore Nicastro. Sono in molti a dire che il vero mandante è Antonio Gentile e uno dei più convinti è Giacomo Mancini, che con Tursi Prato ha quasi sempre avuto un rapporto privilegiato. 

Pino Tursi Prato nel 1988 aveva 38 anni, ed era un emergente e ribelle socialista cosentino, amico personale di Gianni De Michelis, consigliere comunale ed ex capogruppo del Psi, fuori dal partito perché senza il placet dei dirigenti (leggi famiglia Cinghiale-Gentile) si è fatto eleggere presidente dell’ Usl e non vuole lasciare l’ incarico. Una mattina la procura della Repubblica di Cosenza dispone il suo arresto.

PINO TURSI PRATO E LA GUERRA TRA BANDE

“… Per molti l’ arresto di Tursi Prato – scrive Pantaleone Sergi su Repubblica – non è altro che un episodio di quella guerra per bande che si sta consumando all’ interno del PSI cosentino, un partito che il vicepresidente socialista del consiglio regionale, Pino Gentile, definisce un condominio di inimicizie, guidato da lobby di questioni di potere. Tursi Prato, consigliere e capogruppo dal 1985, candidato alla Camera dei deputati nell’ 87 (non viene eletto ma prende quasi 30 mila preferenze), si è ribellato alla maggioranza interna del Psi governata da Pino e Tonino Gentile ed è stato eletto presidente dell’ Usl con l’ appoggio di altri consiglieri socialisti, del Pci, del Psdi e di alcuni indipendenti. Viene espulso dal partito e si è ancora rifiutato di dimettersi dopo un nuovo accordo di maggioranza tra Dc, Psi e Pci. Proprio per il giorno in cui Tursi Prato sarebbe comparso davanti al magistrato, era in programma una nuova assemblea dell’ Usl che dovrà discutere dei nuovi assetti.

Strana coincidenza, commenta Giacomo Mancini, con il quale ha quasi sempre avuto un rapporto privilegiato: volevano cacciarlo a tutti i costi e non ci sono riusciti. Siamo di fronte ad uno dei tanti misteri di Cosenza”..

L’ accusa è di concussione. Con più azioni criminose, recita il provvedimento del giovane sostituto procuratore della Repubblica di Cosenza, Dionigio Verasani, e abusando della qualifica di consigliere comunale avrebbe costretto l’ imprenditore Giovanni Battista Cundari, a promettergli la somma di lire 300 milioni come indebito corrispettivo da versare per ottenere l’ incarico, senza gara d’ appalto, per la costruzione del terzo lotto dei mercati ortofrutticoli di Via Gergeri, un affare da 5 miliardi (la stessa impresa si era aggiudicata i lavori per i primi due lotti). Tra novembre e dicembre. E per Tursi Prato, che aveva avviato una campagna di denuncia contro gli sprechi e le presunte irregolarità commesse dai suoi predecessori nella gestione dell’ Unità sanitaria locale, si sono spalancate così le porte del carcere di Via Popilia.

TONINO GENTILE E PINO TURSI PRATO

Quella vicenda costerà parecchio a Tursi Prato. Che, tuttavia, appena esce dal carcere, si rimette in moto per studiare il “piano B”. Lasciare il PSI dove ormai lo guardano come un appestato e abbracciare la causa di Paolo Romeo nel PSDI, che nel 1990 punta forte alle elezioni regionali. Al vertice del partito c’è Antonio Cariglia, un vecchio filibustiere che raccoglie quanto di peggio c’è in tutta Italia.

Il rapporto con il PSI e con i fratelli Gentile è ormai compromesso e logorato. Eppure, Tursi Prato e i Gentile sono stati molto legati.

In una prima fase Tursi Prato si presta addirittura a fare da “prestanome”: è a lui che Pino e Tonino Gentile intestano i terreni sui quali, in seguito, Piero Citrigno costruirà le ville cosentine dei due fratelli.

«Mi chiesero questo favore in quanto lui all’epoca (Pino Gentile, ndr), all’inizio degli anni Ottanta, era sindaco della città. Nell’85 diventai consigliere comunale e i terreni furono intestati a mio cognato. Alla fine fu lui che gli passò le ville», ha dichiarato ai microfoni di “Servizio pubblico” l’ex enfant prodige del socialismo cosentino.

Citrigno

E in un’altra intervista, rilasciata a Calabria Ora, il giornale di Citrigno, che in questo caso lo usava come una clava nei confronti dei Gentile, Tursi Prato dichiarava testualmente: «Senza il mio apporto non sarebbe stata possibile l’elezione, prima a sindaco di Cosenza e poi a consigliere regionale di Pino Gentile. Né tantomeno la nomina a membro del Comitato di gestione dell’allora Cassa di Risparmio, del fratello senatore Antonio Gentile. A riprova della nostra amicizia sono stato fiduciario di alcune operazioni immobiliari per tutti e due, sia Pino che Tonino».

Ma perché Gentile e Tursi Prato entrano in rotta di collisione? Ufficialmente per lo “strappo” della presidenza dell’USL ma sostanzialmente perché Pino ha altri progetti per il futuro e smania per scappare via dal regno dei Cinghiali. Troppo riduttivo fare il “prestanome” e per portarlo via dai Gentile, oltre a Paolo Romeo, si impegna anche Giacomo Mancini, che all’interno del PSI ormai da tempo ha rotto con Craxi e non sta certo dalla parte di Pino e Tonino.

Poi, una bella mattina, l’arresto di Tursi Prato e l’inevitabile addio al PSI. Ma, data la caratura dei personaggi, non era possibile che, prima del passaggio al PSDI di Paolo Romeo, non si arrivasse ad un chiarimento con tanto di interventi “pesanti”.

IL SUMMIT ROMEO-PINO NELLO STUDIO CARUSO 

Ed è qui che entra in scena in prima persona Paolo Romeo con una preziosa opera di intermediazione con i clan cosentini. Che si sposa alla perfezione con l’estorsione messa in atto per appropriarsi del servizio di ristorazione ospedaliera, visto che Tursi Prato era ancora saldamente a capo dell’USL della discordia di Cosenza.

Fu Romeo, si legge negli atti del processo “Olimpia”, a organizzare «l’estorsione Sar per ottenere un miliardo e cento milioni di lire dall’imprenditore Montesano che si era aggiudicato in Cosenza una licitazione privata per il servizio di ristorazione ospedaliera». E lo fece «accompagnando Magliari Pietro, mafioso della zona di Altomonte, presso il Montesano a Reggio Calabria per ottenere “l’adempimento” degli impegni assunti».

Tra le frequentazioni cosentine di Romeo anche il boss Franco Pino, poi pentito storico della ‘ndrangheta. Nell’ordinanza si parla della partecipazione alla fine degli anni ‘80 «ad una riunione in Cosenza presso l’avvocato Franz Caruso, nel corso del quale, alla presenza del capo cosca cittadino Franco Pino, si compose un contrasto tra i politici Giuseppe Tursi Prato e Antonio Gentile».

L’intervento di Paolo Romeo aveva placato gli animi, “apparato” la situazione e addirittura creato i presupposti per accogliere la candidatura al Senato del Cinghiale nel 1992. Intanto, Tursi Prato vola nel PSDI e nel 1990 il risultato delle Regionali è strepitoso: il partito del sole nascente totalizza il 5,64% dei voti in una tornata elettorale che vede la DC al 38%, il PSI al 22,3% e il PCI al 19,4%. Un trionfo acclarato dai due seggi conquistati, che vanno proprio a Paolo Romeo e Pino Tursi Prato.

IL PATTO CON SPAGNUOLO

Tursi Prato

La vicenda dell’Usl di Cosenza che va a finire nell’operazione Olimpia viene stralciata e diventa di competenza della procura della Repubblica della città bruzia dove ha iniziato a farsi strada un giovane magistrato che si chiama Mario Spagnuolo. Tursi Prato è ancora presidente dell’Usl, viene coinvolto ancora pesantemente e per mettere a posto le sue pendenze con la procura si dichiara disponibile a uno di quegli accordi che si definirebbero “inconfessabili” ma che almeno lo mettono al riparo (nell’immediato) da altre brutte sorprese della procura cosentina, sulla quale ieri come oggi Tonino Gentile esercita tutto il suo potere. E così Tursi Prato, tra gli atti della sua gestione della sanità cosentina, nomina dirigente facente funzioni dell’Ufficio Vaccinazioni un certo Ippolito Spagnuolo, fratello del giovane magistrato rampante. Lo nomina facente funzioni perché non ha i requisiti per vincere un concorso che non si svolgerà mai.

Il fratello di Spagnuolo rimarrà a capo dell’Ufficio fino a pochi anni fa, quando l’inchiesta dei furbetti del cartellino coinvolgerà pesantemente anche lui stesso…

Quanto a Tursi Prato, quando Spagnuolo, pochi anni dopo, diventa il “regista” del pentimento di Franco Pino, tornerà sulla graticola e sarà l’unico a pagare per le “cantate” del pentito. E’ storia.