Cosenza, quando Gratteri arrestò il Cinghiale

La scesa in campo del Cinghiale per magnificare Nicola Gratteri, al pari di tutti gli altri politici corrotti, è stata un’altra di quelle frequenti farse alle quali siamo stati costretti ad assistere in tempi più o meno recenti. E la farsa è ancora maggiore e per certi versi tragicomica perché periodicamente siamo quasi costretti a ricordare che fu proprio un giovane Gratteri ad arrestare Tonino Gentile poco più di 30 anni fa. Perché una città senza memoria è una città senza futuro.

Del resto, il rapporto dei fratelli Gentile (Cinghiale e compa’ Pinuzzu, ovvero il Cinghiale vecchio e più grosso) con la giustizia è sempre stato altamente produttivo, visti e considerati i loro variegati interessi e visto che sono considerati al di sopra della legge.

Dai tempi del crac della Carical (Tonino fu arrestato ma poi ne uscì “pulito” come il volo del gabbiano a cui si ispira), i Gentile sono stati attenzionati più volte dalla magistratura ma non ne sono mai usciti scalfiti. E sono passati indenni da Twister, nonostante le prove raccolte da Facciolla, da Why Not e finanche dall’inchiesta sull’Aterp nella quale Pino Gentile parla apertamente di carte da aggiustare con Oscar Fuoco. In molti, poi, prevedono che si arriverà presto alla prescrizione per le vicende legate all’edilizia sociale, nelle quali compa’ Pinuzzu è impelagato fino al collo per l’annullamento del bando e la sua successiva riscrittura. Con uno spreco di fondi pubblici vergognoso.

L’AFFARE CARICAL

L’unico passo falso (sanzionato dalla magistratura si capisce perché l’animale è corrotto praticamente già da quando aveva i calzoni corti…), fino ad oggi, Tonino il Cinghiale lo commise a metà degli anni ‘80 quando fu arrestato (ma poi prosciolto) per una storia legata alla Cassa di Risparmio della Calabria e della Lucania: il capo della Mobile di Cosenza era Nicola Calipari, il giudice istruttore si chiamava Nicola Gratteri.

Nel 1979 all’interno del Psi si consuma una crisi profonda tra i vari gruppi dirigenti. Del caos ne approfitta Tonino Gentile, abile a tessere accordi e alleanze, che diventa a 29 anni il più giovane segretario provinciale del Psi dei tempi d’oro. Un ruolo mica male che gli permette di estendere i suoi rapporti dalla città al territorio. Ma è solo il primo passo.

All’epoca delle lottizzazioni erano i partiti a indicare i membri del Cda degli istituti bancari e il Psi indica per la Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania appunto Tonino Gentile, c’è chi dice all’insaputa del gruppo dirigente. Qui si consuma il primo grosso strappo tra Mancini e Gentile che intanto, dalla postazione del Cda Carical, comincia a tessere nuovi rapporti, questa volta con il gruppo che fa capo a Riccardo Misasi e alla Dc cosentina, che nell’istituto di credito calabro-lucano ha un peso forte.

L’ex senatore (in attesa di potersi riciclare…) di quell’ampio fronte che unisce centrosinistra e centrodestra in nome del malaffare e della corruzione si dedica quindi a fidi e mutui fino al crac della Carical.

E’ il 1987 quando un giovane pm di Locri, Nicola Gratteri appunto, spicca un ordine di arresto per Tonino Gentile e gli altri vertici della banca. Gratteri sa bene chi è il Cinghiale e ne conosce inclinazioni, furbizie, rapporti inconfessabili.

Nicola Gratteri

L’ipotesi di reato è di appropriazione indebita aggravata. Alla Jonicagrumi di Caulonia, infatti, furono concessi fidi facili per 47 miliardi, che si tradussero in una perdita secca per l’ istituto di credito calabro-lucano.

Vengono rinviati a giudizio in quindici: Francesco Sapio, democristiano, uomo di fiducia del ministro Misasi, all’ epoca presidente della banca, i membri del comitato di gestione che avevano approvato le operazioni di fido, cioè i socialisti Luigi Bloise, ex senatore e vicepresidente e Antonio Gentile, e i democristiani Francesco Samengo e Mario Mancini.

E ancora il direttore e il condirettore generale, Alvaro Jannuzzi e Vincenzo Serafini, il vicedirettore Raffaele Jacoe e alcuni funzionari (Francesco Lione, Corrado Plastina, Paolina Surace) che avevano istruito la pratica con parere favorevole, e i tre revisori dei conti: Angelo Albano, Salvatore De Simone (ex senatore comunista), Renato Scarnati, perché non avevano effettuato i dovuti controlli.

Dopo qualche mese, essendo intervenuta una sentenza della Cassazione secondo cui i banchieri pubblici non sono imputabili del reato di peculato aggravato, lo stesso magistrato sollecitava al giudice istruttore Marcello Rombolà di concludere l’ indagine con un non doversi procedere.

L’insabbiamento aveva avuto la meglio.

Si fece solo un processo-farsa che si concluse, come da copione, in una bolla di sapone.

Prima che cominciasse e prevedendone l’esito, Giacomo Mancini aveva interrogato il ministro del Tesoro per sapere se la banca calabro-lucana aveva provveduto a tutelarsi in giudizio, perché, a suo avviso, c’era un aperto tentativo di minimizzare le responsabilità politiche e personali del gravissimo dissesto bancario, con l’ occultamento organizzato delle azioni giudiziarie in corso.

Dalla Carical ovviamente nessun commento.

E così il Cinghiale la fece franca e da allora nessuno ha osato più indagarlo. E non certo perché non ha continuato a praticare la sua solita “politica”.

Tonino ha addirittura espresso belle parole per l’insediamento di Gratteri nonostante avesse lavorato sottotraccia per boicottarlo. E adesso gli esprime pure gratitudine per quello che farà. Della serie: continuiamo così, facciamoci del male.