La riforma fiscale del governo Meloni: concordato per Partite Iva e «grazia» di pene e multe per gli evasori

Taglio delle sanzioni amministrative «troppo elevate». Che nei confronti dei contribuenti italiani sono «espropriative» rispetto al resto d’Europa. Revisione di quelle penali. La riforma fiscale del governo Meloni sarà presentata a febbraio. E punta, ha spiegato il sottosegretario Maurizio Leo in commissione al Senato, «a riscrivere non solo le regole di un sistema tributario ormai datato e troppe volte rattoppato, ma soprattutto il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuenti». Come? Cancellando la sanzione penale per gli omessi versamenti. E rivedendo le norme sulla dichiarazione infedele. Perché «il contribuente rischia il penale per il superamento lieve di certe soglie che all’estero sono punite solo con la sanzione amministrativa». Un colpo di spugna per l’evasione fiscale che potrebbe recuperare anche la «grazia» penale per chi si impegna a estinguere il debito con l’Agenzia delle Entrate.

La dichiarazione precompilata per Pmi e Partite Iva

Con ordine. Nella delega fiscale il governo punta a riformare aliquote e scaglioni Irpef, rivedere le tax expeditures (agevolazioni fiscali), i panieri e le aliquote Iva. Ma punta, racconta oggi Il Sole 24 Ore, anche a una rivoluzione copernicana. Con l’introduzione di un concordato preventivo per le partite Iva e le piccole e medie imprese. «Si tratta di un accordo preventivo sulle tasse che il contribuente si impegna a pagare nei due anni successivi. Oggi il Fisco dispone di una quantità infinita di dati. Grazie alla fatturazione elettronica, alle liquidazioni periodiche Iva, tra non molto alla dichiarazione precompilata Iva e alle pagelle fiscali (Isa), l’amministrazione finanziaria è in grado di avere una fotografia nitida e puntuale delle piccole e medie imprese».

La cooperative compliance

Sulla base di questa miriade di informazioni «il Fisco sa quanto poter chiedere di tasse al contribuente. E tutto quello che sarà in più a quanto concordato dichiarato potrebbe essere esente da imposte», ha detto Leo. Per le grandi imprese invece il viceministro conta di potenziare la cooperative compliance. Introducendo una sorta di «231 sulle criticità fiscali, che, accompagnata da un contraddittorio tra imprese, intermediari e fisco, consentirebbe all’Agenzia delle Entrate di avere un dialogo continuo con l’impresa, consentendole di entrare nei meccanismi decisionali in una logica cooperativa per capirne consistenza e redditività», ha concluso. Per gli interessi passivi invece «l’ipotesi più concreta è l’introduzione del carry back, un meccanismo che consenta alle imprese di poter compensare le perdite con utili o redditi degli anni precedenti». Infine, il ministero dell’Economia pensa anche di modificare la deducibilità delle auto aziendali.

Il colpo di spugna sulle sanzioni

Ma il sottosegretario ha puntato il dito anche sulle sanzioni. E, spiega oggi La Stampa, annuncia un colpo di spugna sui reati. Perché la soglia di punibilità per la dichiarazione infedele è oggi pari a 150 mila euro per ogni singola imposta. Oppure scatta per ricavi sottratti alle tasse pari ad almeno 3 milioni di euro, se superano il 10% degli attivi. La pena va dai due ai quattro anni e mezzo. L’omesso versamento invece scatta con una soglia di 150 mila euro per le ritenute d’acconto e di 250 mila per l’Iva. Difficile quindi considerarlo un «superamento lieve». In più, rimane il problema di cosa succederà a chi si trova già all’interno di un processo penale o di un procedimento amministrativo dopo il varo della riforma fiscale. Se, come si ipotizzava qualche tempo fa, si cancellerà tutto a chi trova un accordo con il fisco, si tratterà di una vera e propria grazia per gli evasori fiscali.