Le cantate di Franco Bruzzese: Paolini e gli zingari

Nonostante le rigide misure adottate questa volta dai magistrati della DDA per bloccare ogni fuga di notizie, sulle cantate di Franco Bruzzese qualcosina riesce a trapelare lo stesso.

Qualcuno che ci tiene a farci sapere il “tenore” dei racconti di Bruzzese. Più i cosentini sono consapevoli ed informati sui fatti che interessano il malaffare in città, tanto più si annulla il rischio, come è sempre successo in passato, di insabbiamento o ammucciamiantu di inchieste dove i reati sono sotto gli occhi di tutti: chi vuole, prende coscienza.

Chi no, può continuare tranquillamente a pensare che a Cosenza va tutto bene, ca nessuno arrobba, e che tutti i politici di Cosenza in testa Occhiuto sono persone per bene e oneste. Nonostante la povertà diffusa in città e l’enorme bisogno materiale e di servizi che hanno i cosentini. Mancanze, ovviamente, che derivano dall’arrobbamiantu, altrimenti non si spiega dove finiscono i soldi pubblici, se non vanno ai cittadini.

Franco Bruzzese
Franco Bruzzese

Ognuno è libero di interpretare le cose che scriviamo come meglio vuole. Chiunque è di Cosenza può farsi tranquillamente la propria idea su quello che scriviamo noi, cioè che malavita e politica camminano insieme. Se questo per qualcuno è una chiacchiera, beato lui che evidentemente vive in un mondo fantastico nel quale tutti vorremmo vivere.

Evidentemente perché è abbuttu, e allora, come si sa, non può capiri u diuni.

Dopo le indiscrezioni sul ruolo di Daniele Lamanna e i contatti con la pubblica amministrazione, in particolare con il duo Occhiuto/Potestio per accaparrarsi appalti e affidamenti diretti, Bruzzese continua a cantare. Narra fatti e circostanze ai PM antimafia, che, al di là della giusta conferma e verifica che abbiamo svolto prima di riportarveli attraverso il nostro amico/a, sono fatti facilmente intuibili da tutti i cosentini che conoscono le dinamiche malandrinesche degli ultimi anni in città.

Nel senso che ai cosentini onesti, che vivono del proprio lavoro, non serve né il verbale né il pentito per affermare che al Comune e al tribunale di Cosenza c’è sempre stata la “mafia”, e che i voti, così come le sentenze, da noi possono e sono stati comprati. Lo sanno tutti. A cominciare dagli elettori che quei soldi per votare Paolini, Occhiuto, Manna e tutta a zimbunia che sapete, hanno effettivamente preso.

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Non serve una indagine alla Sherlock Holmes per scoprire questo. Basta conoscere i quartieri e le persone, per trovare sempre qualcuno disposto a raccontarti della 100 euro data per mettere la crocetta sulla scheda. Una storia che si ripete a Cosenza dagli anni 80. Quando le bollette e la spesa nei quartiere popolari, a ridosso delle elezioni, era prassi pagarle alla gente, da parte dei politici, in cambio del voto.

Perché un lavoro a tutti non si poteva e non si può trovare, e quindi c’era anche chi, come oggi, si accontentava per disperazione e bisogno anche solo della spesa e delle bollette pagate. E anche allora chi raccontava questo veniva visto come visionario, un matto, un mistificatore, un prezzolato e chi più ne ha più ne metta. Nonostante questo squallido baratto fosse sotto gli occhi di tutti.

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Tant’è che questa storia delle bollette e della spesa col tempo, che è sempre galantuomo, è entrata di diritto, perché vera, concreta, reale nella memoria collettiva della città. Piuttosto che dire che se niente succedeva per ripristinare la legalità perduta, ieri come oggi, la colpa era ed è della collusione e della corruzione dei giudici con potenti e malavita, si preferiva e si preferisce dare del visionario al giornalista che le scrive con tanto di riscontro popolare.

Infatti, oggi, nessuno, e dico nessuno, nega il pagamento delle bollette e della spesa di ieri, in cambio del voto. Si chiama verità storica, e questa del voto di scambio da noi è la verità storica per eccellenza.

Oggi, come allora, c’è ancora chi non crede che nella campagna elettorale del 2011 ci sia stata una compravendita di voti tra politici e malandrini. Gli stessi che evidentemente sperano che nulla accada perché in un modo o in un altro collusi o legati ai politici corrotti. E come ieri dicono che sono i giornalisti che si inventano le cose. Nonostante abbiamo pubblicato le carte che raccontano questo. Vero, non vero quello che dicono i pentiti, sarà la magistratura ad accertarlo, sempre se ci sarà un processo.

Sta di fatto che per le stesse cantate, oggi, molti si trovano al 41 bis e non capiamo perché se queste cantante valgono per loro, non debbano valere anche per i politici. Forse che loro ce l’hanno più sopra? Perché quello che vale per tutti i cittadini, i morti di fame e tutti i piddrizzuni che se chiamati in causa per qualcosa da qualcuno scattano subito manette e galera, non vale anche per tutti questi politici corrotti che lo sanno puri i petri i mianzu a via che sono tali? Pare che per qualcuno chiedere questo semplice atto di Giustizia, sia una offesa alla dignità dei politici chiamati in causa. Mentre della dignità dei cittadini offesi e vilipesi in tutti i modi non gliene frega niente a nessuno. Perché il cittadino a differenza del politico corrotto non parla, sta zitto, e si coddra tutti gli abusi.

A riprova che a Cosenza esiste il voto di scambio, Bruzzese conferma quanto dichiarato da Foggetti. In particolare racconta dell’accordo alle elezioni del 2011 del suo gruppo, al primo turno, con Paolini.

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Parla dell’attacchinaggio e delle “pampine” in contanti distribuite – come facevamo i boss di un tempo a Cosenza vecchia quando accompagnavano il politico nei quartieri per “presentarlo” agli elettori morti di fame – ai loro “sodali/elettori” in cambio del loro impegno per il voto a Paolini.

Parla di incontri con “emissari” dell’avvocato Paolini, per stabilire cifre e voti. Racconta anche dei contrasti avuti con Paolini, al ballottaggio, quando la cosca decise di appoggiare Occhiuto. E di come l’avvocato, dopo questo “sgarro”, si sia rifiutato di continuare a sborsare denaro per una operazione, quella della sua elezione, che non era riuscita.

Più volte, racconta Bruzzese, Paolini ha risposto picche alle loro richieste di saldare e onorare gli impegni presi. Perché, a detta di Bruzzese, si sentiva tradito. E quindi riteneva di non dover pagare per un “servizio non reso”. Cosa che non andò giù agli “zingari” che iniziarono un serio “accerchiamento” dell’avvocato. Che subì minacce, ed altro, alcune delle quali documentate da denunce presentate presso le autorità competenti. Fino all’incendio della sede del PSE a via Popilia…

GdD