Mafia-stato, Lodato racconta. Carabinieri e polizia “punciuti”: Subranni e Contrada

L’intervista di Andrea Purgatori nella puntata “Dopo Capaci”
di Karim El Sadi

Fonte: Antimafia Duemila (http://www.antimafiaduemila.com/)

I più grandi fatti di sangue mafiosi ed eversivi, spesso, spessissimo, sono accompagnati da ombre, buchi neri, depistaggi che portano sino ai palazzi del potere e delle istituzioni. Sia nei momenti salienti, in cui questi episodi vengono posti in essere, che in quelli immediatamente successivi, con le prime indagini degli organi inquirenti. In questo senso la storia della Sicilia è tristemente ricca di episodi simili.
Il 28 maggio scorso, nello speciale di “Atlantide”, “Dopo Capaci”, andato in onda su La7, il giornalista e scrittore Saverio Lodato ha elencato alcuni di questi fatti. Nel suo intervento ha ripercorso uno spazio temporale che va dagli albori della nostra Repubblica (post seconda guerra mondiale), fino al biennio stragista di inizio anni ’90 di cui hanno ampiamente parlato altri ospiti, su tutti il magistrato Nino Di Matteo.

Per Lodato la presenza di “mani esterne” si avvertono in Sicilia almeno da 70 anni. “Se proprio vogliamo fissare una data – ha ribadito – è il 1950, all’indomani della fine della caduta del banditismo in Sicilia con l’uccisione del bandito Salvatore Giuliano”. “In quell’anno – ha proseguito – il famoso ‘Turiddu’, il bandito che aveva dato vita alla stagione sanguinaria in Sicilia prima con l’acquiescenza della mafia e poi con la contrapposizione della stessa, viene trovato cadavere a Castelvetrano. Un grande “battage” pubblicitario dei Carabinieri di allora, che non era per fortuna l’arma dei Carabinieri di oggi, annunciò che morì per un conflitto a fuoco con loro. Venne in Sicilia un inviato di nome Tommaso Besozzi, del settimanale l’Europeo del quale Enzo Biagi dirà che “è da considerare il principe dei cronisti italiani di queste vicende””. “Besozzi ascolta tutte le ricostruzioni sulla morte di Giuliano – ha raccontato il giornalista – e inizia il suo reportage intitolando: “Di sicuro c’è che è morto”. Io credo che, in merito a tutto ciò che accadde dopo, questa frase possiamo declinarla al plurale dicendo: “Di sicuro c’è che sono morti” e ne sono morti davvero tanti”. Sul tema delle “mani esterne alla mafia” Lodato ha riportato al pubblico di Atlantide altre vicende siciliane di cui si è occupato e si occupa da 40 anni, nelle quali sono state dimostrate giudiziariamente come queste siano state inquinate in fase di indagini, e non solo, da parte di appartenenti a mondi istituzionali.

Il caso Impastato
“Faccio un altro esempio. – ha continuato Lodato – Nel 1978 muore a Cinisi un giovane militante di Democrazia Proletaria, Peppino Impastato, famoso perché conduce dalla sua radio privata una battaglia durissima contro il boss Gaetano Badalamenti e i boss di Cinisi. In quell’occasione i Carabinieri che ricostruirono l’attentato sosterranno per vent’anni di trovarsi di fronte al corpo di un giovane che aveva fatto un attentato terroristico sulla ferrovia. Di fronte allo stupore di tutti i militanti di Democrazia Proletaria, i quali sottolineano come Impastato si fosse distinto per le sue campagne contro la mafia, i Carabinieri lo trattano con sufficienza. Ci vorranno decenni perché alla fine il boss mafioso Badalamenti venne condannato per il delitto”. Quegli stessi decenni, ha spiegato Saverio Lodato, “furono necessari perché venisse archiviata e prescritta la posizione di un giovane ufficiale dei Carabinieri che in quegli anni aveva contro ogni evidenza sostenuto la pista terroristica, Antonio Subranni, che decenni dopo ritroviamo tra i condannati nel primo grado al processo trattativa Stato-mafia. La posizione di Subranni venne archiviata per prescrizione. Lui fece carriera presso l’arma dei Carabinieri ed è andato poi in pensione da generale. Questo per raccontare un altro episodio che segnava la presenza di un’arma dei Carabinieri che non aveva niente a che vedere con quella di oggi”.

L’episodio del Questore Immordino


“Per parlare però di cose più attinenti alla discussione di questa sera – ha aggiunto Lodato nella sua analisi – è utile sapere che nel maggio 1980 un questore di Palermo, Vincenzo Immordino, consegna in caserma interi reparti di polizia facendoli chiudere a chiave e staccando i telefoni. Questi funzionari e poliziotti comuni vengono isolati per alcune ore poi nel cuore della notte arriva l’ordine dal questore Vincenzo Immordino di andare a fare un blitz nella città di Palermo che porterà alla cattura di 55 mafiosi dei clan Spatola – Gambino – Inzerillo. Cattura e blitz che verranno qualche giorno dopo sottoscritti dal procuratore di Palermo Gaetano Costa. Lo stesso che, alcune settimane dopo aver firmato i mandati di cattura su richiesta del questore Immordino, viene assassinato in via Cavour. Quello che non si sa è che anni dopo un giudice si occuperà di questa vicenda e segnatamente della decisione di consegnare in una caserma i poliziotti dell’epoca. Se ne occuperà perché il dottor Contrada, che in quel momento è capo della Criminalpol assieme ad un suo collega, denunciò Immordino per abuso d’atti d’ufficio. Viene fatto un regolare processo e si giunse al fatto che la denuncia di Contrada viene totalmente respinta dal giudice con la motivazione che il questore Immordino aveva fatto benissimo a chiudere in caserma i poliziotti per evitare che ci fosse una fuga di notizie sul blitz notturno contro gli Spatola – Gambino – Inzerillo (clan che in USA saranno condannati in via definitiva nell’ambito del processo “Pizza Connection”). Il giudice che firma nel 1984 questa sentenza di tribunale è Giovanni Falcone, il quale – ha spiegato il nostro editorialista – respinge totalmente le denunce di Contrada dando atto, invece, di essersi comportato correttamente al questore Immordino”.

La strage di via Carini
E ancora. “Andando avanti nella storia possiamo parlare del 1982 e dell’operazione Carlo Alberto Dalla Chiesa che porterà all’uccisione del prefetto e di sua moglie Emanuela Setti Carraro, mentre percorrono da soli in macchina la distanza di un paio di chilometri che li separa dalla prefettura dove lavorava Dalla Chiesa alla sede privata della Prefettura. Mentre i killer di mafia stanno trucidando Dalla Chiesa e la moglie – ha raccontato lo scrittore – qualcuno in tempo reale entra nella camera da letto presso la residenza privata della prefettura del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa aprendo e svuotando una cassaforte (che sarà trovata vuota). Il generale non faceva mistero di nascondere le carte – ha spiegato – che considerava fondamentali ai fini delle sue indagini in quei suoi cento giorni a Palermo. Era ipotizzabile che fossero dei mafiosi ad entrare nella camera da letto di una prefettura che teoricamente avrebbe dovuto essere guardata a vista in quanto abitazione privata del prefetto?”, Si è chiesto Lodato. “Francamente no”.

Gli omicidi di Montana, Cassarà e Antiochia
Sempre su questa linea il giornalista ha inserito anche l’omicidio Cassarà.
“Andando avanti possiamo parlare del 1985. Estate di sangue. Siamo nei mesi di luglio e agosto. Viene assassinato prima il poliziotto Beppe Montana a Porticello perché dava, su ordine e con la collaborazione del poliziotto Ninni Cassarà, la caccia ai mafiosi di allora che poi finiranno in un rapporto a firma congiunta di Ninni Cassarà ed Angelo Pellegrini, in quello che sarà il primo rapporto storico nella storia della mafia firmato finalmente a doppia firma da Polizia e Carabinieri. Cassarà – ha affermato il giornalista – si mette sulla pista degli assassini di Montana e 8-9 giorni dopo viene ucciso sotto casa insieme al poliziotto Roberto Antiochia: 6 agosto 1985. La stranezza lì – ha sostenuto Lodato – sta nel fatto che per mesi le indagini andranno alla ricerca di quella che fosse la talpa che in questura, cioè all’interno della polizia in quanto si tratta di anni in cui ancora non esistevano i cellulari, ha avvertito il commando in agguato e pronto ad intervenire che quel giorno per la prima volta dopo 20 giorni Ninni Cassarà stava andando a mangiare un panino a casa insieme alla moglie e alle figlie. Tanto che verrà ucciso barbaramente e fatto a pezzi esattamente tra la sua macchina blindata e l’ultima rampa di scalini mentre la moglie vede tutta la scena dalla finestra”, ha concluso.
Impastato, Dalla Chiesa, Cassarà, Falcone, Borsellino. Si tratta di un elenco infinito di nomi di servitori dello Stato, giornalisti e attivisti sulle cui morti permangono tuttora, a distanza di decenni, domande senza risposta. Di certo c’è, come ha dichiarato il giornalista a inizio intervento, “che sono morti”.