Occhiuto vuole “disneyficare” Ferramonti e la Calabria (di Battista Sangineto)

Robertino il parassita non rinuncia al suo delirante progetto di incentivare il cosiddetto “turismo ebraico”. Sono passati più o meno tre mesi da quando ha iniziato a delirare ma purtroppo continua, alimentato in questa assurdità anche dalla complicità di alcuni governanti locali che probabilmente non hanno ancora capito con chi hanno a che fare. Questo è un articolo di Battista Sangineto risalente allo scorso 12 aprile che in questi giorni torna di sconcertante attualità.  

di Battista Sangineto

Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha avuto, è su tutti i giornali locali di domenica 3 aprile, un’idea originale per portare turisti in Calabria, un’idea che fa il paio con il metaplasmo mitopoietico dell’assessore Orsomarso, il “Tesoro di Talarico”. Un’idea straordinaria e innovativa che non aveva avuto nessun’altro: promuovere il turismo ebraico.

Peccato che la stessa originale e straordinaria idea l’avesse avuta, 5 anni prima, il presidente Oliverio che l’aveva presentata il 18 maggio 2017, come si evince dal comunicato stampa dell’epoca della Regione Calabria.

Le stesse frotte oliveriane di turisti ebrei, israeliani e non, verranno in Calabria, secondo Occhiuto 2022, non solo perché ‘la regione è ricchissima di quartieri ebraici o giudecche’ (sic!!! ndr); non solo perché “abbiamo il cedro” (sic!!! ndr); non solo perché ‘abbiamo molti cognomi calabresi che sono fra i più importanti della comunità ebraica’ (sic!!! ndr); non solo perché “…Proprio nel nostro paese nel 1475 fu stampato il primo libro in ebraico che porti la data di pubblicazione: il primo volume edito in caratteri ebraici della Storia, il “Commento al Pentateuco”. Il saggio, scritto dal rabbino francese Salomone Isaccide, fu infatti stampato a Reggio Calabria, utilizzando la tecnica dei caratteri mobili, per mano del tipografo reggino di origini tedesche Avraham Garton(Oliverio 2017).

I turisti ebrei, però, verranno soprattutto perché la nostra regione ospita il sito di Ferramonti “…l’unico campo di concentramento dal quale non è partito un solo internato, un solo treno per Auschwitz e dove sembrava, o sembrerebbe, che chi lo gestiva fosse uno di Reggio (sic!!! ndr), che alla fine in qualche modo gli internati li aiutava (sic!!! ndr). Dobbiamo valorizzare questa idea della Calabria, che nelle tragedie più terribili, è comunque una regione di grande accoglienza (Occhiuto 2022). Del resto, e questo argomento taglia davvero la testa al toro del turismo ebraico, “il 40% dei calabresi, secondo alcuni studiosi, discende da ebrei costretti a scegliere il cristianesimo per forza o per necessità” (ma non erano molto accoglienti i calabresi?! ndr.).

Un pot-pourri di leggende come quella che vorrebbe Reggio Calabria fondata da Aschenez, figlio di Gomer a sua volta figlio di Iafet e dunque pronipote di Noè, o come quella che vorrebbe che il libro custodito a Parma, di cui si reclama la restituzione, sia la prima Bibbia ebraica stampata (Occhiuto 2022!!! ndr) e non, com’è davvero, solo un ‘Commento al Pentateuco’ (più correttamente Oliverio 2017 ndr), mescolate alla sovradimensionata presenza ebraica nella regione del tutto priva di fondamento, fino ad arrivare, nella versione di Occhiuto 2022, alla cosa più grave: la colpevole autoassoluzione per il campo di concentramento di Ferramonti.

Dei 48 campi di concentramento dislocati in tutta Italia, quello di Campagna e quello di Ferramonti, col maggior numero di ebrei sono divenuti terreno privilegiato di innumerevoli narrazioni autoassolutorie che oscurano la complessità di quella memoria. E propongono come “vera essenza” dei campi fascisti quella sintetizzabile nell’idea del campo di concentramento “buono”, o, più sbrigativamente, del “campo all’italiana” (cfr.: Carlo Spartaco Capogreco, Ferramonti. La vita e gli uomini del più grande campo d’internamento fascista (1940-1945), La Giuntina, Firenze 1987 e sempre Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Einaudi, Torino 2004).

Non dovrebbe essere consentito a nessuno, per primo ad un alto rappresentante delle Istituzioni della Repubblica Italiana, come un Presidente di Regione, fare affermazioni sbagliate che conducono a rappresentazioni autoassolutorie e autoingannatrici. Gli italiani, ed anche i calabresi, hanno contribuito alla Shoah, per esempio, con le leggi razziali del 1938, con quel complesso di altre leggi emanate successivamente e con i comportamenti razzisti e antisemiti ampiamente diffusi nella popolazione. I campi di internamento fascisti, come quello di Ferramonti che nasce il 10 giugno 1940, non erano collegati in alcun modo alla Shoah, ma erano “solo” campi di concentramento per gli oppositori politici, per i cittadini di stati nemici, per i rom e per gli ebrei. Quei campi non erano mai stati destinati a rifornire i campi di sterminio, nemmeno durante gli anni della guerra condotta dall’Italia al fianco dei nazisti.

Solo dall’8 settembre 1943 e solo dai territori occupati dai tedeschi, partirono i treni destinati ad Auschwitz, Mauthausen, Dachau, Buchenwald e Bergen-Belsen. Nessun treno e nessun internato è partito da Ferramonti per Auschwitz, né prima né dopo il ‘43, e, quindi, “uno di Reggio” non poteva aver “aiutato” nessuno perché non c’era nessuno da salvare dallo sterminio, ma eventualmente, se proprio si fosse voluto essere “accoglienti”, ci sarebbero stati molti internati da liberare dalla prigionia. Da questa vicenda non si può evincere, dunque, che la Calabria ed i calabresi siano più disposti di altri all’accoglienza.

Un turismo, questo dell’Olocausto, che, all’insaputa dei due presidenti della Regione, ha suscitato e suscita un acceso dibattito fra gli intellettuali e il popolo ebraico sull’opportunità di favorire e di far sviluppare un simile tipo di attività turistica. L’opinione tranchant di Susan Sontag, espressa nel libro del 2003 ‘Regarding the Pain of Others’, è che “The problem is not that the people remember through photographs, bur that they remember only the photograph“. Herbert Marcuse, per fare un altro esempio, era del tutto contrario perché riteneva che fossero stati troppi i cambiamenti e le ricostruzioni dei campi di concentramento nel corso degli anni (come, del resto, anche nel caso di Ferramonti del quale rimane poco o nulla delle strutture originarie) tanto da fargli pensare ad una totale perdita della sostanza storica autentica.

Ma il dilemma maggiore ruota intorno alla loro presentazione al pubblico, e alle modalità in cui questa memoria deve essere mantenuta e non semplificata, anche – e nonostante – la domanda del turismo di massa la cui presenza in quei luoghi appare come un’immagine incongruente, se non, addirittura, grottesca. Gli ultimi studi, basati sulle reazioni osservate nei visitatori di Auschwitz e Dachau, portano a ritenere che non solo si corre il rischio della “musealizzazione” dei campi di concentramento, ma che, addirittura, si potrebbe ottenere la “Disneyficazione” dei siti della memoria (D. I. Popescu, Performative Holocaust Commemoration in the 21st century’ in the ‘Holocaust Studies Journal’,2019).

Sono certo che il presidente Occhiuto vorrà provvedere a ritirare al più presto possibile, prima di presentarlo alla Bit di Milano in corso proprio in questi giorni, questo progetto incentrato su miti infondati e su un uso improprio, incongruente e inesatto della Storia.