Politiche 2018, il clan Muto e l’onorata società si preparano alla “campagna” (di Francesca Lagatta)

di Francesca Lagatta

Fonte: http://www.francescalagatta.it

La cosca dei Muto di Cetraro è più viva che mai e per noi de La Lince è tutto fuorché una sorpresa, tanto che a 24 ore dall’arresto del boss, e cioè il 20 luglio del 2016, scrivevamo un articolo dal titolo Operazione “Frontiera”, finisce in manette il boss Franco Muto. Ma la cosca è tutt’altro che sgominata (clicca qui per leggerlo) in cui scrivevamo senza fronzoli che «sembrerebbe avventato parlare di cosca sgominata, considerato che da Amantea a Sala Consilina, amici, picciotti e inservienti del boss pullulano. Dentro e fuori le istituzioni. E non aspettano altro che riappropriarsi dell’ “onore” perduto».

I fatti non ci smentiscono. E’ il 30 agosto 2016, 1 mese e 22 giorni dopo l’arresto del boss, e la pagina facebook dedicata a Giovanni Losardo, detto Giannino, l’assessore al Comune di Cetraro e segretario capo della Procura della Repubblica di Paola in lotta con le ‘ndrine locali trucidato la notte del 21 giugno 1980, scrive: «A Cetraro la cosca Muto ci tiene a far sapere che nonostante il boss Franco e diversi suoi scagnozzi siano rinchiusi in cella, questa è ancora viva e presente sul territorio».
Giannino Losardo

Chi conosce il territorio della Riviera dei Cedri sa che l’inchiesta Frontiera, sfociata in operazione Frontiera, ha delle falle. C’è chi viene tirato dentro con qualche piccola forzatura, e infatti poco dopo comincerà il valzer delle assoluzioni, e c’è chi viene tenuto misteriosamente fuori. Gente che in carcere avrebbe dovuto entrarci prima del boss. E non perché lo sosteniamo noi, che giudici non siamo, ma perché abbiamo letto le carte.

Ma subito si diffonde una teoria, che aveva pure una logica. Chi viene tenuto fuori è perché dovrà indirizzare le indagini su altri soggetti, scovare anche estorsioni, piazze di spaccio e affari loschi, cosicché la presunta Frontiera 2 avrebbe dovuto chiudere nel sacco, come una trappola, tutti gli scagnozzi rimasti fuori.

Ma così non è e succede altro. I piccoli ras sfuggiti alle patrie galere seminano terrore in città con piccoli attentati, così da far capire che loro ci sono e sono vivi e vegeti, gli affari della cosca si spostano su Napoli, per lo scambio di favori con la camorra a cui hanno fatto spazio per lo spaccio di droga sul Tirreno, le società cambiano nome ma non la ragione sociale e nemmeno il mercato.Dopo poche settimane è tutto come prima. Il monopolio del pesce è salvo, anzi, si rafforza, grazie alle maggiori entrate ricavate da un aumento spropositato del costo del pesce a cui le attività commerciali e ricettive della Riviera devono sottostare senza fiatare e gli uomini di Muto o degli amici di Muto nelle istituzioni continuano a creare bandi ad hoc per impiegare o favorire gli uomini fedeli all’onorata società. Franco Muto non c’è più, è rinchiuso in una fredda cella del carcere duro, ma è come se non se ne fosse mai andato.

Ma cosa aspetta la magistratura ad intervenire? La risposta è molto più semplice di ciò che si potrebbe pensare. In realtà l’operazione Frontiera bis, o operazione parallela, ha già preso forma nelle scartoffie della Procura antimafia quando all’alba del 19 luglio 2016 si materializzano i primi arresti. Ma su quei fogli i nomi non sono quelli degli squattrinati spacciatori di quartiere figli di nessuno, sono nomi che bruciano. Tanto che si ha paura persino a pronunciarli e invece di sbatterli in prima pagina, come succede per tutti gli altri, su quelli la Procura mette un bell’omissis. Anche perché sono indagini riservatissime. Si rischia il caos.

E infatti il caos, di lì a poco, scoppia. I documenti riservatissimi finiscono nelle mani di qualche giornalista. Anzi, no, noi non vi prenderemo in giro, e vi garantiamo che i documenti riservati, a meno che non li rubi e non ci sembra questo il caso, qualcuno te li porta. Qualcuno che sta dentro le Procure. Di quelli che hanno un piede dentro e uno fuori. I motivi sono due: o vuoi screditare il magistrato che conduce l’indagine per punirlo di aver messo sotto indagine qualcuno o qualcosa di cui non si doveva occupare o vuoi muovere i fili della politica servendoti delle indagini della magistratura. Oppure prendere semplicemente due piccioni con una fava.Stando a quanto riporta la stampa, in quelle carte ci sarebbe scritto che Franco Muto avrebbe un referente (uno!?!?!?) in politica e che la sanità in Calabria potrebbe essere legata a doppio filo alla ‘ndrangheta. Roba che la scoperta dell’acqua calda meriterebbe d’un tratto il Premio Nobel per la Scienza.

E allora a quel punto, a carte scoperte, le cose da fare erano solo due: o la Dda di Catanzaro autorizzava gli arresti, creando uno scompiglio socio-politico senza precedenti e mettendo in imbarazzo le più alte autorità dello Stato, o si “promuoveva” l’autore dell’inchiesta e, togliendogli i fascicoli, costringendo il nuovo titolare a rifare tutto da capo e a prendere (leggi: perdere) tempo.

Secondo voi, delle due, cosa sarà successo?

E così, con Pierpaolo Bruni promosso a procuratore capo della Procura di Paola, tutto è pronto da Cosenza in su per una nuova, soddisfacente, quanto imminente, campagna elettorale. Senza ostacoli.