San Demetrio Corone: è morto Pino Cacozza, grande cantautore arbereshe

Ci sono cose che non vorresti mai scrivere, perché quando le scrivi le parole sono sormontate dai ricordi, soprattutto belli; oggi è uno di quei giorni che ti prende la malinconia, che chissà quando ti passa; oggi è uno di quei giorni in cui vedi scorrere all’indietro il nastro e come per incanto, per magia, la immagini, quella “cassetta magica” sul registratore; c’è qualcuno che lo ha premuto e scorre, scorre, poi senti un tac, e premi play, le immagini sono sbiadite, ma nella mente nitide, come in un film di Kusturica; le musiche le associ al canto, alla valia, ma anche alla magia degli anni 70, alla radio, poi il Festival, da qui Pisepiselle, poi l’impegno nella Cooperativa, che è impegno anche politico per una cultura morente, ma che non può morire; poi il teatro, le canzoni i libri, poi all’improvviso lo senti di nuovo quel tac, il tasto play si è alzato, per un attimo il silenzio, cala il sipario, poi cominci a somatizzare la notizia, immagini che ti mancherà qualcosa di qui a poco, ti mancherà qualcuno.

Ecco, tutto questo è stato oggi, dopo aver appreso la ferale notizia: parole sovrastate da ricordi, immagini, canzoni, e tanti quadretti familiari che nessuno ci porterà mai via.

Pino Cacozza è morto! Muore con lui la parte più prolifica e più importante della cultura arbereshe; certo, vivrà attraverso di lui, attraverso la sua opera, certamente; ma Pino non ci sarà più, non potrà continuarlo il suo lavoro di ricerca continua, di studi, sfociato in una miriade di scritti straordinari.

L’immagine che più mi sovviene in questo momento è quella di un uomo con un mantello nero, con una vecchia lanterna in mano, che lo porta innanzi, che cerca di illuminare il cammino…

Il ricordo degli anni 70 è indelebile: lo straordinario rapporto con mio padre, che lo volle da subito, lui giovane universitario, nell’organizzazione del 1° Festival della Canzone Arbereshe, quella manifestazione che ha vinto tante volte con canzoni che rimarranno per sempre nella nostra mente.

Amava scrivere il suo mondo, del suo mondo, ha pubblicato tanti libri, ricordo Jemi një kulturë çë ngë mënd vdes (1988), bellissimo; lo custodisco gelosamente, bellissima anche l’immagine di copertina, regalo del comune amico Cenzino.

Recitava benissimo, rimasi incantato quando lo vidi la prima volta: la mimica straordinaria, l’enfasi, la sofferenza e poi la sua voce che riempiva e ti faceva inorgoglire, ti faceva sentire si arbereshe, ma figlio di una cultura viva, che non vuol morire.

Credo, e non penso di esagerare, che la sua opera omnia sarà valorizzata e studiata e si parlerà di lui come del nuovo poeta degli arbereshe, di chi continuò sul solco tracciato agli inizi del novecento da Girolamo De Rada.

Poi ci sono tanti ricordi personali, le feste di San Basilio, il suo concerto alla seconda festa di Liberazione a San Demetrio Corone; quando a Macchia Albanese cantammo insieme Varsavia del suo amico e grande cantautore Pierangelo Bertoli; quando l’ho ricantata a casa, con i miei amici, ho sempre pensato a quella grande opportunità che mi diede; ricordo quando andammo insieme a sentire Pierangelo Bertoli a Cosenza, al teatro Rendano, poi passammo dal camerino a salutare il grande cantautore emiliano, che era un suo amico ed aveva promesso che avrebbe cantato una sua canzone; ricordo quando salimmo insieme sul tetto dell’ex istituto agrario per manifestare contro il degrado degli affreschi di quella struttura…

Basta, basta, quando i ricordi sono tanti vuol dire che stai parlando di uno che conoscevi, di uno che è salito quasi insieme a te sul carrozzone della vita ed è sceso prima, ma scenderai anche tu, tutti quanti scenderemo … allora capisci che è importante lasciare dei segni del tuo passaggio, delle tracce, che magari altri coglieranno e continueranno a perseguirle; ecco Pino le tracce le ha lasciate e ne ha lasciate tante.

L’ultima volta che l’ho visto, a Rossano, in un posto insolito, prima di Natale, il 22 dicembre: ridi e scherza, tra pandemia e festività, la mente è rivolta al suo paese, che lui amava in maniera viscerale, dove tornava non appena possibile, quel paese che domani gli tributerà il giusto e meritato riconoscimento.

Ciao caro Pino, noi continueremo a portare avanti quel vessillo, a non far seccare quel garofano rosso, ma non so se ne saremo capaci.

San Demetrio Corone, li 20 febbraio 2021                                       Adriano D’Amico